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Un giardino sul muro

(tratto da “GSA” n.2, febbraio 2010)

Continua la collaborazione dell’autore,architetto paesaggista,iniziata nel novembre 2008 e volta a suggerire via via soluzioni per la gestione degli spazi verdi negli alberghi. Qui ci presenta le possibilità e le applicazioni del verde verticale:come,dove e perché.

 


 

In un contesto densamente costruito, il sole e lo spazio sono gli elementi di maggior pregio. Costruzioni e infrastrutture si spingono insaziabili alla loro ricerca. La vegetazione è costretta ad accontentarsi di quel che resta, che è molto poco. Ma nessun angolo, anche il più piccolo e remoto può considerarsi un campo proibito per i paesaggisti dell’impossibile, che utilizzano le tecniche più moderne per risolvere situazioni senza scampo. È anche da queste soluzioni che esce un modo diverso di vedere il binomio verde-edificio: priorità architettonica, stato di abbandono, o scelta ecologica?

 

Verde che sale.

Ma questa non è una novità. È risaputo che la maggior parte della vegetazione si sviluppa in verticale. Cresce verso l’alto per cercare il sole, l’aria, lo spazio per sviluppare foglie e frutti. Le piante sono in eterna competizione fra loro per riservarsi il posto migliore. Giardinieri e frutticoltori hanno spesso assecondato questa caratteristica, gli architetti meno. Ma nell’ultimo decennio, stiamo assistendo ad una nuova epoca di ricerca, dove l’obiettivo è di portare il verde ad altezze sempre maggiori, in spazi sempre più ristretti, in condizioni estreme. Non solo per il gusto dell’assurdo, ma piuttosto per una esigenza sempre più pressante, che ha spinto molti tecnici a puntare su nuovi orizzonti.

 

Verde verticale: come, dove e perchè?

Ridurre il verde verticale a pura esigenza funzionale, sarebbe una grave ingiustizia nei confronti di chi studia l’estetica, il design, la botanica. Questi avrebbero molto da dire sull’argomento. Ho perciò tracciato una griglia per ordinare le finalità del verde di facciata. Prevede tre capitoli: uno per il verde come barriera, un altro al verde come architettura, e l’ultimo al decoro verde e tecnica. La tecnica è uno strumento trasversale ai due precedenti temi, che può trovare ugualmente applicazione qualsiasi sia il motivo o l’obiettivo.

 

Verde che sale: le barriere

Le barriere verdi che chiudono alla vista, al rumore e alle intromissioni fisiche, costituiscono l’applicazione più diffusa del verde verticale. L’utilizzo di sistemi di mascheramento e di separazione, quali siepi, graticci, e altre strutture più o meno complesse è alla base del verde verticale.

Una formidabile barriera, che costa poco, occupa uno spazio limitato e raggiunge altezze ragguardevoli. La classica siepe è lontana dal tramontare, anzi trova nuove applicazioni e nuovi estimatori. Da patrimonio indiscutibile del giardino classico e del “giardino del giardiniere”, si scopre oggi come un elemento di grande funzione ambientale. Non pensa solo a dividere o a proteggere, ma propone nuove sembianze. Al contatto con lo spazio aperto, riscopre la sua altissima valenza ecologica, mentre in città il tandem prato-siepe costituisce spesso l’unico elemento vegetale del giardino. Sembra uscito dal periodo buio dove si cominciava a pensare al giardino solo dopo aver piantato la siepe e seminato il prato. Un modello sempre identico, in ogni latitudine e ad ogni livello sociale, che vedeva impiegate spesso le stesse specie. Così da diventare una non-scelta. La siepe non va mai data per scontata: non è un obbligo civile e neanche un dovere verso il vicinato. Deve essere una libera scelta, che va affrontata consapevolmente, nel rispetto delle piante, delle persone, delle vedute. È facile non considerare qualcuno o qualcosa, compiendo gesti sgraditi che trasformano una risorsa in una avversità. Anche le piante stesse potrebbero non gradire. Per costringerle ad occupare poco spazio si fa ricorso a due sistemi opposti: il bravo giardiniere o il perverso tagliatore di legna. Entrambi riescono, chi con le buone chi con le cattive, ad ottenere una fitta barriera nello spazio che dispongono. La differenza sta nel risultato a lungo termine. Il buon giardiniere, con l’impiego delle piante giuste e dei corretti strumenti di potatura può contribuire a fare crescere la siepe folte e compatte, e mantenerla funzionale.

La siepe è la cellula minima di molti ambienti vitali per gli insetti, gli uccelli, le lucertole, o altri piccoli animali che possono vivere nel fitto intreccio di rami e foglie. Ma ha anche una funzione microclimatica spesso sottovalutata. Una siepe incide sul microclima del giardino riducendo la velocità del vento di circa il 30- 40%, rallenta l’evaporazione del suolo dal 25 al 30%, agisce sulla temperatura con effetti benefici sia in estate che in inverno. Di tale benefici ne traggono vantaggio sia le persone che le stesse piante, mostrando sensibili miglioramenti nella crescita.
Se in campagna una siepe che delimita un campo coltivato fornisce un rendimento del 10-15% superiore a quello di un analogo terreno privo di protezione, in città il beneficio si rivela a livelli di risparmio energetico e di in una maggiore ombra e frescura durante l’estate. Non male, per una esigenza di suolo così modesta.

Giardini verticali: le architetture

L’architettura contemporanea, prevede raramente la vegetazione come pelle finale della facciata. Nei decenni passati, questo fatto sarebbe stato assolutamente impensabile. Si pensa al verde soprattutto per la realizzazione di parti edilizie orizzontali, come giardini, corti, tetti pensili, balconi. Nonostante fosse molto utilizzato in passato e nelle architetture vernacolari, il verde in facciata è ritenuto sinonimo di degrado, abbandono, o al massimo, di decoro rustico. Gli architetti quando vedono pareti intere trattate con rampicanti e piante varie, sono colti da forti moti repulsivi. I medici nascondono i propri errori al cimitero, gli architetti dietro l’edera. Questo è uno dei concetti con cui sono cresciute generazioni di progettisti e quindi si guardano bene dal denunciare vergogna. Il verde è sinonimo di mancanza di coraggio, impurità, debolezza neoromantica.

In questo periodo però si vedono degli interessanti stravolgimenti, e sarà un caso, sono sempre accompagnati da scelte tecnologiche. La conclusione è che le soluzioni raffinate, piacciono anche agli architetti, pure se si tratta di verde. Tanto che alzarlo, portarlo in verticale, allontanarlo dalla sua condizione originale, sembra diventato una pratica molto diffusa. Di un certo interesse alcune opere dell’architetto Emilio Ambasz, attraverso le quali egli sembra proporre un patto di riconciliazione tra l’architettura e la natura. Il verde che utilizza è strettamente legato alla concezione complessiva dell’intervento e non è un accessorio decorativo. La struttura ascolta le esigenze della vegetazione e si conforma per esaudirle. Anche la distinzione fra verde orizzontale e verde verticale non trova più un senso compiuto. Il pensiero che domina l’opera di Ambasz è che la concezione di creazioni umane come entità assolutamente estranee alla natura non è più accettabile. Propone quindi di creare uno spazio filosofico dove l’architettura sia intesa come una parte della natura.

Il concetto ha un seguito molto attento nei paesi anglosassoni e nell’Europa del nord. Si sviluppano nuovi modelli di architettura ambientale. Ma faticano a varcare le nostre Alpi. Permane una barriera psicologica e culturale ad accettare una commistione totale, anche se dopo i grandi progressi del verde su soletta ci si può aspettare in futuro un seguito più fertile.

I Giardini Verticali di Patrick Blanc

Finché un giorno apparve Lui. Il messia del verde che vola. L’uomo che parla alle piante per convincerle a stare dove nessuno avrebbe immaginato. Il botanico che coltiva i giardini più impervi. Il giardiniere da parete, colui che ha scardinato con pochi giardini, preconcetti vecchi di secoli. Non sono proprio pochi e i preconcetti erano già abbastanza traballanti. Per lo meno all’estero. Ma in Italia, è stata tutta un’altra cosa. Il successo e la vasta eco delle sue realizzazioni ha costretto il popolo dei progettisti a confrontarsi con un tema nuovo, che essi avrebbero forse preferito ignorare, vista la poca dimestichezza che hanno con il verde.

In seguito alle sue proposte, la gente ha scoperto delle novità vecchie di secoli: la vegetazione della facciata non è un segno di trascuratezza, ha molti effetti positivi e benefici. La vegetazione non è una soluzione estetica o un nuovo tema in fatto di design; soprattutto concerne l’aspetto sanitario, ecologico e fisico della facciata. Svolge una funzione protettiva dei flussi energetici tra ambiente esterno ed interno, influisce sul benessere percettivo dello spazio urbano, proponendo un materiale biologico (ecologicamente sicuro), in armonia con l’uomo e la natura. Argomenti più che sufficienti per conquistare l’attenzione mondiale.

 

Muri grigi cercasi

Se quelli esistenti dovessero scarseggiare, (ma non credo) bisognerà farne apposta. Ciò che prima era ritenuta una condizione sciagurata è per molti oggi l’occasione di cimentarsi in una nuova moda: rinverdire l’impossibile, sia in esterno che in interno. Stupire con il verde, impressionare con le foglie di piante insolite e straordinarie. Trasformare l’angolo più disastroso in un’allegra esplosione di rami, foglie e fiori. Luce, colore, piante. Mancano le grida dei pappagalli e potremmo illuderci di essere nella foresta amazzonica. O quasi.

La sorprendente scenografia dei giardini in verticale di Patrick Blanc dà l’improvvisa sensazione di trovarsi in un altro luogo. Partito dalla Francia, ha realizzato a Parigi i giardini che l’hanno reso famoso nel mondo. Persino in Italia. Terra avara di fama per chi tratta il verde. Ma il gusto per l’invenzione, per il gioco, per la botanica, per la ricerca dell’assurdo non potevano negare fama ad un simile ingegno, che manipola la natura come fosse carta da parati. Ma non proviene dal campo artistico. È un botanico molto competente, grande conoscitore della flora e in particolare del sottobosco tropicale, da cui trae le piante e gli insegnamenti per cavarsela con terra zero. Gli serve solo l’acqua, unita ad una sapiente miscela di tecnologia e mestiere. Il risultato è eccentrico, splendido, grandioso. Piace a tutti. Grandi architetti gli commissionano intere pareti. A volte le creano apposta per fargliele rivestire. Altro che maquillage. Questa tecnica è diventata ben presto architettura. Strumento di mediazione fra interno ed esterno, fra orizzontale e verticale, tra arte e natura. Una mezza via che ha colto tutti di sorpresa. A partire dalla metà degli anni 90, dopo una lunga serie di collaudi, ha cominciato a diffondere per la Francia le sue famose creazioni.

Una nuova strada era stata tracciata, nonostante i numerosi problemi da risolvere: il substrato, il sostegno, la scelta delle piante l’irrigazione, la fertilizzazione, il contenimento della vegetazione, la protezione della parete di sostegno e cento altri piccoli dettagli.

 

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