Homeimprese & dealersJobs Act, licenziamenti nel contratto a tutele crescenti

Jobs Act, licenziamenti nel contratto a tutele crescenti

Entra nel vivo l’attuazione del Jobs act, che insieme alla legge di Stabilità sta cambiando il mercato del lavoro. Uno dei punti-caldi è quello della risoluzione dei rapporti di lavoro. Negli applicativi del Jobs act (legge 183/14) sono previsti tre tipi di conciliazione: alle precedenti obbligatoria e volontaria si aggiunge la facoltativa, che però vale solo per gli assunti dal 1° gennaio 2015.

Licenziamenti, dagli attuativi del Jobs Act tre tipi di “conciliazione”: obbligatoria (già Fornero), volontaria e facoltativa in caso di controversie di lavoro. Ecco le varie strade per risolvere il rapporto di lavoro evitando il contenzioso. E in molti casi il reintegro è sostituito da indennizzo economico. Il Jobs Act cambia la procedura dei licenziamenti e delle relative conciliazioni: se da un lato introduce il “contratto a tutele crescenti”, valido per gli assunti dal 1° gennaio 2015 (gli altri invece rimangono sotto il vecchio regime), dall’altro la legge 183/2014 (Jobs Act) e i suoi decreti attuativi portano a tre le strade per la conciliazione: accanto alla conciliazione obbligatoria, già prevista dalla Legge Fornero, e che resta in vigore per i già assunti all’entrata in vigore del Jobs Act (ma solo per le imprese con più di 15 dipendenti e solo in caso di il licenziamento economico), ci sono la conciliazione volontaria, già prevista dalla cd. “collegato lavoro” (183/2010) e quella facoltativa, prevista da un decreto attuativo dell’ultimo Jobs Act.

Le tre vie della conciliazione

La conciliazione, come è noto, è una procedura finalizzata alla risoluzione del rapporto di lavoro scongiurando contenziosi giudiziari.

Obbligatoria
– La via più “vecchia”, perché già prevista addirittura dalla legge 604 del 1966 (art. 7), poi modificata dalla Legge Fornero (92/2012), è la conciliazione obbligatoria in Direzione territoriale del lavoro. Resta in vigore per gli assunti prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, ma varrà solo per i licenziamenti economici e solo per le imprese con più di 15 dipendenti. Si svolge presso la Direzione Territoriale del Lavoro e può concludersi con un accordo esplicito di reintegro o con la risoluzione del rapporto sulla base di un’offerta libera (quindi non vincolata) da parte del datore. Se il rapporto viene risolto in modo consensuale, al lavoratore spetta comunque la Naspi (nuova Aspi), prevista anch’essa dal Jobs Act.

Volontaria- Accanto alla procedura obbligatoria, c’è quella cosiddetta “volontaria”, che resta attivabile presso una Dtl prima dell’avvio di qualsiasi controversia di lavoro. Si svolge presso la Dtl o le sedi previste dai Ccnl e dà a una delle due parti la possibilità di domandare lo svolgimento del tentativo di conciliazione. Si può concludere con un accordo o con un arbitrato, ma a causa delle sue difficoltà procedurali è stata la meno utilizzata.

Facoltativa- Ma la vera novità, introdotta da un decreto applicativo del Jobs Act, è la conciliazione “facoltativa”. Vale solo per i neoassunti (cioè gli assunti dopo l’entrata in vigore del Jobs Act), per i licenziamenti per qualsiasi motivo, senza distinzioni a seconda del numero dei dipendenti dell’azienda. Il datore di lavoro si recherà presso una delle sedi abilitate (Dtl, sindacati, enti di certificazione) e potrà offrire tramite assegno circolare una cifra al dipendente. L’offerta deve essere fatta entro 60 giorni dalla sua comunicazione e comunque dopo il licenziamento, con contenuto economico vincolato: una mensilità per anno di lavoro, da un minimo di 2 a un massimo di 18, con importi ridotti della metà per le aziende fino a 15 dipendenti, esente da tasse e contributi. La procedura si perfeziona con la semplice accettazione da parte del dipendente della somma offerta, che determinerà la decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento. La procedura non annullerà però eventuali questioni legate al rapporto appena risolto, come danni, impagati, differenze retributive, ecc, che al limite potranno essere risolte con un successivo accordo.

Cambiano i licenziamenti

Sempre in tema di licenziamenti, importanti novità sul fronte dei licenziamenti economici, disciplinari e collettivi.

Economici- Per i primi non è previsto il reintegro, nemmeno in caso di manifesta insussistenza del fatto che sta alla base del provvedimento, ma solo un corrispettivo economico (indennità) corrispondente a due mensilità dell’ultima retribuzione globale per ogni anno di servizio fino a 24 mesi  (le famose “tutele crescenti”).

Disciplinari- In caso di licenziamento disciplinare, il reintegro è previsto solo in caso di insussistenza del fatto materiale “direttamente dimostrata in giudizio”, altrimenti scatta l’indennizzo ma il licenziamento resta. In questo senso è ridotta anche la facoltà discrezionale dei giudici, perché il fatto che si contesta deve essere accertato nella sua componente materiale e non giuridica, senza criteri di proporzionalità tra il fatto e il provvedimento.

Collettivi- Per quanto concerne i licenziamenti collettivi,  sempre gli attuativi del “Jobs Act” cancellano la tutela reale (reintegro), precedentemente prevista, in caso di violazione nei criteri di scelta dei lavoratori, sostituendola da indennizzi monetari da 4 a 24 mensilità (2 mensilità per anno di anzianità in azienda). E anche nei casi di licenziamento viziato da errori formali è previsto “solo” un risarcimento pari a una mensilità per anno lavorato, da un minimo di 2 va un massimo di 12.

 

 

 

CONTENUTI SUGGERITI