HomeambienteLa raccolta differenziata in Italia: facciamo il punto

La raccolta differenziata in Italia: facciamo il punto

La congiuntura economica e il peggioramento della qualità dei materiali raccolti hanno fatto sì che, in alcuni casi, siano aumentati i costi di lavorazione o le relative rese, in altri si siano contratte le vendite del materiale riciclabile, inducendo di conseguenza i consorzi di filiera ad aumentare in maniera non marginale il contributo ambientale, ovvero il finanziamento dei costi della raccolta differenziata attraverso una sorta di auto-tassazione di produttori e utilizzatori degli imballaggi. Ad esempio il Corepla, Consorzio per il riciclaggio della plastica, ha dovuto aumentare ben due volte nel 2009 il contributo ambientale, portandolo una prima volta da 72 euro per tonnellata a 105 e successivamente da 105 a ben 195 euro per tonnellata, ed anche il Coreve, Consorzio per il riciclaggio del vetro, ha dovuto procedere a sensibili aumenti del contributo ambientale. Ciò non è sempre vero, e dunque ad esempio nel caso dell’alluminio il valore del materiale, ancorché diminuito, è sufficientemente elevato da coprire i costi di trattamento: quindi, in questo caso, non si è ravvisata la necessità di aumentare il contributo. Addirittura, nel caso di Comieco, Consorzio per il riciclo di carta e cartone, è stato possibile ridurlo, da 30 a 22 euro per tonnellata.

A fronte dei problemi sottolineati, il CONAI ha siglato il nuovo accordo-quadro con ANCI, l’Associazione dei Comuni Italiani, accordo che è giunto al traguardo dei 10 anni, ri-definendo gli aspetti quali-quantitativi e individuando tra le principali linee strategiche una spinta al miglioramento della qualità dei materiali raccolti, un sostegno concreto alle aree in ritardo (ad esempio fornendo assistenza nella elaborazione dei piani) ed un incremento dei contributi economici destinati alla comunicazione con il territorio. Le principali novità contenute in questo accordo riguardano:

  1. il ritiro di tutti i rifiuti di imballaggio, anche al di là degli obiettivi di legge
  2. l’incremento annuale dei corrispettivi, nella misura dei due terzi del tasso d’inflazione
  3. la promozione di modelli di raccolta volti a garantire un più elevato standard qualitativo
  4. il sostegno alla crescita della raccolta nelle aree in ritardo
  5. la sussidiarietà rispetto al mercato.

Per quanto concerne la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti, constatiamo con piacere che è salita al primo posto nella graduatoria quantitativa:

Materiale raccolto, 2007 % sul totale RD
Frazione umida e verde

32.5

Carta

30.1

Vetro

14.5

Legno, metallo e alluminio

11.2

Plastica

5.6

Ingombranti a recupero

2.2

RAEE

1.3

Altro

2.5

(fonte: Rapporto ONR)

Tradotto in peso, ciò significa circa 2.4 milioni di tonnellate, pari a 48,4 kg/abitante/anno. Naturalmente, anche in questo caso e forse più che nel comparto degli imballaggi, la disparità tra macro-aree appare molto evidente, infatti i 48,4 kg/abitante/anno sono la media tra gli 80 del Nord, i 32,2 del Centro e i 17,6 del Sud!

Quindi, se da una parte si può guardare con un certo grado di soddisfazione alla crescita complessiva della raccolta differenziata dell’organico ed al successivo compostaggio, da un’altra non si può passare sotto silenzio questi scarsi risultati del Sud, che rappresentano una chiara e preoccupante criticità.

Non è questa la sola criticità, poiché un’altra è certamente rappresentata da un numero decisamente insufficiente di impianti di compostaggio, che per inciso risultano tendenzialmente saturi. L’ONR sottolinea come nel 2007 gli impianti attivi siano soltanto 220, che si riducono a poco più di 100 escludendo quelli di taglia più piccola e quelli che trattano solo la frazione verde; la distribuzione territoriale di questi impianti è la seguente:

Nord               69%
Centro             17%
Sud                 14%

La conseguenza di ciò è che, anche laddove si sia tentato di avviare seri progetti di raccolta differenziata della frazione organica, tali tentativi siano miseramente naufragati per l’impossibilità di conferire i materiali raccolti ad impianti di compostaggio di prossimità, dovendo perciò affrontare costi elevatissimi per il loro trasporto fuori regione, spesso a diverse centinaia di chilometri dal luogo di produzione.

Gli impianti di cui sopra trattano complessivamente 3.180.000 tonnellate di materiali, così distribuiti:

Materiali

Quantità (ton)

%

Frazione organica selezionata (CER 200108)

1.271.310

40.0

Verde (CER 200201)

1.096.889

34.5

Fanghi

498.429

15.7

Altro

314.075

9.9

Totale

3.180.703

(fonte: Rapporto ONR)

In questo contesto, si osserva un interessante sviluppo dei processi di digestione anaerobica, utilizzati sia per il trattamento della frazione organica derivante da raccolta differenziata dei rifiuti urbani, sia per il trattamento degli scarti di lavorazione zootecnici e agroindustriali. Attraverso questi processi si ottiene da un lato un recupero di energia (biogas), da un altro recupero di materia in virtù del compostaggio del cosiddetto “digestato” con altre matrici selezionate quali scarti ligno-cellulosici, fanghi di depurazione, scarti della zootecnia e agroindustriali.

Da queste pagine, più e più volte si è trattato della raccolta differenziata, in termini anche di modelli gestionali; si è ripetuto che non esiste un modello unico applicabile in ogni contesto, per via delle infinite variabili in gioco; tuttavia, è oramai acclarato che la modalità che, in termini generali, assicura i migliori risultati, sia in termini quantitativi sia qualitativi, è la raccolta domiciliare, o porta a porta. Anche qui, le alternative sono diverse, e vanno individuate caso per caso in relazione alle caratteristiche dell’ambiente in cui si deve operare, ma è del tutto palese che la componente di servizio offerta dalla raccolta domiciliare è indubbiamente più elevata, e induce quindi comportamenti più virtuosi rispetto ai modelli basati sul conferimento volontario a manufatti stradali, spesso piuttosto distanti e scomodi da raggiungere.

Ciò premesso, è diretta conseguenza dell’adozione di un siffatto modello che si debba ricorrere ad un impiego di manodopera ben superiore rispetto al tradizionale modello di raccolta stradale, magari con un side-loader e un solo operatore; allora è chiaro che, se da una parte aumenta l’efficienza del modello, dall’altra aumentano i costi. È però evidente che tali costi crescenti vengono compensati, in tutto o in parte, dai minori costi dello smaltimento tradizionale in discarica, e ciò senza tenere in alcun conto i costi ambientali che la discarica comporta, e ben al di là della sua “vita” operativa. Sono comunque numerosissimi i casi in cui, attraverso una progettazione molto accurata, i recuperi di produttività hanno già consentito un risultato economico netto positivo, per la raccolta domiciliare, rispetto al conferimento in discarica.

Se dunque teniamo conto di queste evidenze, se consideriamo che la raccolta domiciliare consente un incremento occupazionale a livello Italia che si stima tra le 100.000 e le 200.000 unità, se consideriamo i benefici indotti dal recupero di materia in termini di riduzione della produzione di gas climalteranti, se consideriamo i minori consumi energetici del riciclaggio ad esempio di vetro e alluminio rispetto all’impiego di materie prime “vergini”, se consideriamo la minore produzione di biogas e percolati dal minore ricorso alle discariche e così via, ogni resistenza preconcetta allo sviluppo della raccolta differenziata “spinta” può essere facilmente debellata.

Fortunato Gallico

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