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TTR, un freno all’invasione dell’“usa e getta”

in collaborazione con Servizi Italia

Quante volte, in questi mesi di emergenza, abbiamo sentito raccomandazioni del tipo “gettare dopo l’uso”, o ancora “smaltire correttamente” o avvertenze simili? Mascherine, guanti monouso, calzari, cuffie per capelli e altri dispositivi di protezione anti-contagio, dapprima relegati in particolari reparti ospedalieri, hanno repentinamente invaso la nostra quotidianità: risolvendo, certamente, molte criticità, ma d’altra parte creandone altre.

Invasi dagli “usa e getta”

Non è certo una sorpresa, ad esempio, il fatto che il massiccio utilizzo di dispositivi usa-e-getta che ha caratterizzato e sta caratterizzando i mesi dell’emergenza stia aprendo una serie di interrogativi sulle modalità, i tempi e le conseguenze ambientali del loro smaltimento e può rappresentare un’occasione importante per ripensare e rivalutare alcuni sistemi e convenzioni, in ambito sanitario ma non solo.

Ancora troppe differenze da zona a zona

Ebbene, durante la pandemia, il monouso ha senza dubbio mostrato tutte le proprie criticità, non solo dal punto di vista produttivo, ma anche delle conseguenze ambientali. In effetti, soprattutto in alcuni settori, nonostante siano passati ormai mesi dal primo picco, la produzione tutt’ora arranca: in sanità, ad esempio, le forniture in genere si limitano al materiale di protezione individuale – mascherine, cuffiette, calzari-, senza riuscire a sopperire alle necessità che nascono dalle sale operatorie. Nei pochi casi in cui i grandi colossi del Tessuto non tessuto (TNT) riescono a fornire materiale per la sala operatoria, questo viene venduto a prezzi incredibilmente più alti rispetto al passato e con parecchie incertezze relative alla puntualità della fornitura. Per non parlare delle modalità di smaltimento, ancora (troppo) differenziate tra regione e regione, con molte buone prassi ma altrettante zone d’ombra. E così, se in Lombardia e in Emilia Romagna la quasi totalità dei
rifiuti viene conferita ai termovalorizzatori, non è così per il resto d’Italia, che ha ancora percentuali molto alte di conferimento in discarica.

Si rischiano grosse difficoltà

Ma ora è il momento di dare qualche numero, giusto per renderci conto delle dimensioni del problema con cui abbiamo – e avremo – a che fare. Recentemente A2A, la società che in Italia ha il maggior numero di impianti di termovalorizzazione dei rifiuti non riciclabili, ha dichiarato al Sole 24 Ore che “a titolo di confronto, i dispositivi di protezione individuale contro il virus possono generare in un anno fino a 300-400mila tonnellate di rifiuti, quando i due più grandi termovalorizzatori italiani distruggono circa 600 700mila tonnellate l’anno.” Queste enormi quantità di rifiuti non riciclabili rischiano di mettere in seria difficoltà la filiera destinata al loro smaltimento, con il timore di un danno ambientale senza precedenti.

Una risposta dal settore sanitario: il TTR

La risposta può venire, a questo punto, dal settore che continua ad essere più “esposto” e maggiormente interessato dal problema: quello sanitario, naturalmente. I rifiuti prodotti dalla sala operatoria e dalle attività sanitarie in generale sono tanti e il loro smaltimento si sta facendo sempre più complesso e oneroso; di fronte alla difficile gestione di questa enorme mole di
rifiuti, il Tessuto Tecnico Riutilizzabile (TTR) si pone come un’alternativa possibile, in campo medico ma non solo, verso l’abbandono del monouso. Il TTR è un materiale tessile sicuro e confortevole, adattabile a diverse esigenze sanitarie e in grado di coprire tutte le tipologie di tessuto che entrano in sala operatoria, dalla vestizione del personale di sala non sterile ai camici visitatore e degente, fino al vero e proprio campo operatorio, che include sia gli operatori che i pazienti.
Il TTR è conforme alla normativa UNI EN 13795, tutti i materiali utilizzati per la realizzazione dei camici e dei teli chirurgici vengono sottoposti a indagini chimiche, fisiche e biologiche per verificare che mantengano intatte le loro caratteristiche durante tutto il ciclo di vita. Ultima, ma non meno importante caratteristica del TTR, è il fatto che sia riutilizzabile, poiché mantiene inalterate le proprie caratteristiche di traspirabilità e impermeabilità anche dopo molti cicli di lavaggio e sterilizzazione.

Vantaggi anche sul fronte sterilizzazione

Mentre un camice monouso viene smaltito come rifiuto ospedaliero, il tessuto tecnico viene riprocessato e lavato nelle lavanderie industriali, che integrano in modo lineare la gestione di questo materiale all’interno dei flussi della biancheria ospedaliera, con evidenti vantaggi logistici (e ambientali). Anche dal punto di vista della sterilizzazione, c’è un significativo risparmio in termini di impatto ambientale.
Il TTR viene sterilizzato in autoclavi a vapore, cosa non possibile per il monouso, che viene invece sterilizzato a ossido di etilene (ETO). Il vapore, oltre a essere pratico ed economico, non presenta tossicità o pericolosità per l’ambiente, quindi l’utilizzo del tessuto tecnico all’interno delle sale operatorie diventa una scelta ecologica non solo per le caratteristiche del materiale, ma anche per le implicazioni di processo. La sterilizzazione a ETO del materiale monouso produce un gas di difficile smaltimento, mentre la sterilizzazione a vapore del tessuto riutilizzabile rilascia a valle dell’autoclave semplice acqua di condensa.

Un materiale all’avanguardia

Scegliere un tessuto tecnico affidabile e riutilizzabile consente di avere disponibilità di materiali sicuramente all’avanguardia, il cui processo produttivo è gestito interamente all’interno dei confini nazionali; con una filiera cortissima e l’utilizzo di manodopera locale, l’80% del valore aggiunto si concentra sul territorio nazionale, con evidenti risvolti a livello locale. Inoltre, l’immissione di una grande quantità di tessuti riutilizzabili sul mercato potrebbe contribuire alla creazione di un nuovo settore specifico: non solo produttori e lavanderie specializzate nel trattamento di questo tipo di materiali, ma anche confezionisti e trasformatori del prodotto finito in materiale rigenerato.

Una “seconda primavera”
Quando un tessuto tecnico arriva alla fine del proprio ciclo di vita in campo medico-sanitario, può trovare una nuova destinazione d’uso, per un materiale che si dimostra anche multifunzione e incredibilmente longevo. Una catena virtuosa del riciclo che, secondo un documento pubblicato da Assosistema (“Use & Reuse – L’uso dei prodotti tessili riutilizzabili – L’ambiente Ringrazia”) potrebbe portare alla creazione di oltre 6000 nuovi posti di lavoro a fronte di 300.000 kg di rifiuti in meno da smaltire, con un risparmio di 220.000 kg di CO2 da smaltimento.
Il TTR, dal canto suo, ha di fatto permesso di continuare le attività anche in assenza di forniture di materiali monouso provenienti dall’estero: il riutilizzabile sta tornando quindi in auge dopo anni passati nel dimenticatoio (o quasi) e le ragioni sono molteplici. Il TTR può essere riprocessato fino a 70-100 volte, senza modificare le proprie caratteristiche. Questo significa utilizzare 1 solo camice contro 100 camici in TNT e di conseguenza abbassare non solo i costi legati allo smaltimento dei rifiuti medicali, ma anche diminuire le spese di magazzino e ridurre le emissioni clima alteranti.
Si guarda ormai in ogni campo a stili di vita più sostenibili all’insegna dell’economia circolare e non deve fare eccezione l’ambito medicale, che potrebbe rappresentare un importante banco di prova.

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