Homeimprese & dealersDodici anni dopo: quale futuro per le aziende di servizi?

Dodici anni dopo: quale futuro per le aziende di servizi?

I tanti mali del settore

Quali? Purtroppo non c’è che l’imbarazzo della scelta, sono talmente tanti (e gravi) che riesce difficile addirittura trovare un criterio per dettagliarli. La perdita del TFR, innanzitutto, è ormai questione trita ma non per questo meno allarmante. Come tutti gli addetti ai lavori sanno, il progressivo accantonamento costituiva un’importante cespite di autofinanziamento, importantissimo a maggior ragione perché un’impresa di pulizia, che ha nel personale l’80 per cento (e la stima è in difetto…) dei costi, non ha praticamente nessuna possibilità di dilazionare i pagamenti. In termini più semplici e crudi: gli stipendi a fine mese vanno pagati!
A questo si aggiunge la pressione fiscale crescente, che provoca anche nelle imprese di servizi, come nel resto dell’economia italiana, una cronica mancanza di capitali propri. Numerose sono le imprese anche di medie dimensioni che stanno cercando acquirenti proprio perché strette nella morsa degli oneri fiscali. Per ricordare soltanto uno dei mille problemi, l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (Irap) va colpire, come è noto,tra l’altro, il reddito al lordo del costo del personale, gravando in particolar modo su imprese ad alta intensità di manodopera e riducendone la redditività. Proprio il caso delle imprese del nostro settore.
Punto terzo, la politica di saving di molti soggetti pubblici e i proverbiali ritardi nei pagamenti della PA: è evidente che in un momento di crisi le aziende private cerchino di risparmiare, ed è quasi fatale che una fetta di “saving” vada a ricadere sui servizi. Chi lavora con il pubblico, poi, deve essere ancora più corazzato: come poter fare affidamento su pagamenti che arrivano sì, ma dopo trecento, cinquecento o addirittura settecento (!) giorni? Altrove non va così…

Irregolarità diffusa

Un ulteriore denominatore comune fra la situazione attuale e quella di dodici anni fa risiede nell’irregolarità diffusa nel settore, secondo solo a quello dell’edilizia in questa graduatoria non certo virtuosa. Ormai, ed è un dato di fatto per quanto paradossale, il panorama delle imprese di pulizia non si distingue più sulla base della ragione sociale e di statuto dell’impresa stessa (società di capitali, coop, impresa artigiana, ecc.), ma sulla scorta della regolarità o meno dei soggetti imprenditoriali. L’auspicio, da più parti, è che il legislatore prenda provvedimenti e che il settore faccia fronte comune e le stazioni appaltanti siano più attente in fase di selezione dei fornitori di servizi. Niente di nuovo sotto il sole, e lo diciamo con la tristezza e il rammarico di chi sa che molte occasioni sono andate perdute.

Responsabilità in solido, adempimenti burocratici

La responsabilità solidale, in questo scenario, rappresenta un’altra mannaia per le imprese, costrette,in molti casi, a rilasciare fideiussioni a favore dei clienti a titolo di mallevadoria per i rischi economici connessi alla responsabilità in solido. Occorre dire che quest’ultima è per il nostro settore un elemento di forte criticità, in ragione dell’estrema complessità dei rapporti fra appaltante e appaltatori. Spesso, una piramide di società appaltatrici riconduce il lavoro a condizioni difficilmente controllabili, ove non addirittura irregolari. E’ un dato di fatto da non sottovalutare –e che fa certamente riflettere- che la maggior parte dei gravi incidenti sul lavoro avvenga proprio in società che lavorano per conto terzi. E che dire, poi, degli adempimenti burocratici sempre più gravosi cui le imprese sono quotidianamente tenute? Un onere molto pesante per imprese che devono gestire un personale numeroso.

Quando i grandi gruppi sono (solo) intermediari

Un altro aspetto di criticità, che si è senza dubbio acuito in questo decennio, è legato al ruolo di grandi gruppi che, caso unico in Europa, si propongono come semplici main contractors di più servizi, ossia intermediari dall’alto che non si occupano poi direttamente della prestazione del servizio di pulizia e della sua governance. Questi gruppi si aggiudicano appalti di servizi ad alto contenuto di manodopera con bassa marginalità, il che mette poi in difficoltà le imprese subappaltanti, costrette a lavorare con margini irrisori e in molti casi sono spinte all’illegalità.

I pregiudizi culturali: un problema in via di superamento?

Veniamo, last but not least, ai pregiudizi culturali. Fiumi di parole, anche e soprattutto negli ultimi dieci anni, sono state immolate sull’altare della cultura di settore. Parole a cui hanno fatto seguito importanti investimenti. Eppure, nonostante questo, la figura del “pulitore” è ritenuta poco professionale, improvvisata, e il lavoro di chi pulisce è ancora ritenuto umiliante. Questo atteggiamento deve essere necessariamente superato: chi pulisce è un professionista, e il prodotto finale di un buon lavoro di pulizia è un valore, e non un male necessario, né tantomeno un costo continuamente comprimibile. E forse è proprio questo il punto di svolta: quando al pulitore verrà riconosciuta una reale professionalità, allora tutto potrà cambiare, e l’intera filiera cadrà sotto una luce totalmente differente. E’ un compito gravoso che spetta, in primo luogo, ai protagonisti del settore: sta a loro crescere e svilupparsi anche sotto il profilo culturale, ma occorre riconoscere che si tratta di un processo di lungo periodo. Consolante è il fatto che la strada che si sta percorrendo è quella giusta: in questi dieci anni la stampa tecnica sta facendo molto per sviluppare una cultura di settore, per creare reti e network di informazioni, per sviluppare un know-how consolidato e condiviso. Almeno a questo riguardo, c’è forse di che essere ottimisti.

Simone Finotti

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