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I dispositivi medici: continua la lotta al payback

I rappresentanti del settore chiedono a gran voce l’eliminazione della norma che porterebbe conseguenze disastrose per ospedali, medici e pazienti. Il Direttore di Confindustria Dispositivi Medici, Fernanda Gellona: “Bene la proproga fino ad ottobre ma occorre una soluzione definitiva per tutelare la filiera”.

La norma sul payback è stata imposta dal Governo per far fronte agli sforamenti del tetto di spesa nella sanità pubblica. Prevede che le aziende produttrici di questo settore partecipino al risanamento di tali superamenti, effettuando versamenti in denaro in favore delle Regioni a cui fanno riferimento.  Chiede al settore di restituire oltre 2.2 miliardi di euro, inizialmente con una scadenza fissata a gennaio 2023, prorogata ad aprile e che ora si sposta ulteriormente ad ottobre. L’impatto del payback sulla filiera dei dispositivi medici è assolutamente devastante, considerando che il fatturato dell’intero sistema sanitario nazionale si attesta sui 9 miliardi, cui si aggiunge anche il fatto che gli anni conteggiati nel calcolo sono compresi tra il 2015 e il 2018, escludendo quindi tutto il periodo della pandemia.

Direttore Gellona, qual è la situazione dopo questi mesi di azione e di sensibilizzazione sulla gravità di questa norma per la filiera dei dispositivi medici?

Abbiamo indubbiamente accolto con favore la proroga ad ottobre della scadenza per il pagamento, perché l’abbiamo letta come una disponibilità del Governo a trovare una soluzione, sicuramente non semplice. Riconosciamo anche il merito di aver trovato 1,1 miliardi di Euro per sanare la prima tranche, ma non basta. Dobbiamo ragionare con il Governo e le Regioni per garantire la certezza della spesa sanitaria e della relativa governance, senza applicare regole che affossino totalmente l’intero settore. Dobbiamo ricordare che questa è una filiera non solo in grado di generare PIL e creare posti di lavoro, ma anche di proporre soluzioni terapeutiche migliori a partire dalla prevenzione, attraverso la cura e fino alla riabilitazione.

Quali sono le vostre richieste?

In assoluto l’eliminazione della norma sul payback. Stante questo, siamo costantemente aperti ad interlocuzioni singole, in attesa del tavolo che avevamo chiesto tra Ministero e Regioni, ma che non si è ancora riunito, per trovare soluzioni compatibili ed equilibrate. Non possiamo aspettare oltre. Le aziende sono molto determinate e molto compatte, oltre a manifestarsi assolutamente ferme nell’intenzione di non pagare, ma si dichiarano tutte aperte al dialogo. Questo anche perché il rischio è totalmente trasversale e abbraccia le grandi, le medie e le piccole imprese, pur con ripercussioni differenti. La piccola distribuzione viene condannata a fallire, mentre la produzione italiana è molto in pericolo. Nonostante questa situazione le aziende continuano ad investire in ricerca e sviluppo, ma per farlo ci voglio i capitali, compromessi dal payback.

La produzione e la distribuzione italiana saranno le uniche a risentirne?

Diciamo che le multinazionali non sono a rischio di fallimento, ma potranno decidere di chiudere in Italia facendo mancare molti posti di lavoro e mettendo di conseguenza ulteriormente in crisi il sistema. Inoltre voglio sottolineare che le imprese italiane hanno un fatturato di oltre 17 miliardi, con un grande successo anche all’estero. Sarebbe una vera follia farle chiudere. In conclusione, risulta sempre più evidente che la filiera è davvero da considerarsi nella sua completezza con soluzioni che vadano bene per tutti. Diversamente non si salverà nessuno.

Il mondo sanitario è consapevole dei rischi indiretti che corre e vi sostiene nell’interlocuzione?

Assolutamente sì. Abbiamo diversi momenti di sensibilizzazione e confronto con esponenti del mondo sanitario, attraverso le fondazioni e la partecipazione continua ad eventi e convegni. In generale c’è molta più consapevolezza del problema che non riguarda solo l’industria ma che, a cascata, interessa l’intero sistema sanitario. Anche con alcune associazioni di pazienti c’è un ottimo dialogo, senza voler mai creare allarmismo che risulterebbe dannoso, ma per aumentare la coscienza del problema e del suo impatto sulla salute di tutti.

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