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Di generazione in generazione, testimoni di valori

Massimiliano Ruffo, numero uno di Fimap e seconda generazione della storica dinastia veronese, si racconta a Issa Pulire 2025 tra innovazione, nuovi mercati, miti e leggende dell’automazione e l’avventura di YOR International, progetto da poco avviato dal figlio Gianmaria. 

Il grande stand di Fimap a Issa Pulire è un caleidoscopio di luci, colori, incontri, strette di mano, costruttivi confronti e relazioni, vecchi amici che si rivedono vis-à-vis e scambiano idee intorno a eleganti tavolini, meglio se in compagnia di raffinati calici di bollicine: la famiglia Ruffo, veronese doc, è nota anche per la ricerca enologica che la porta a realizzare gli apprezzati prodotti a marchio Tenuta Chiccheri. Ma questa è un’altra storia, che abbiamo già raccontato anni fa: torniamo invece nel cuore dello stand, nel bel mezzo del suo costante viavai. È proprio qui che ci accoglie il numero uno dell’azienda Massimiliano Ruffo, che a malapena riesce a ritagliarsi un po’ di tempo in una giornata frenetica per raccontarci, con il brio di sempre, cosa sta cambiando nel mercato e in casa Fimap. Una dinastia imprenditoriale tra le principali del cleaning italiano arrivata ormai alla terza generazione senza perdere i valori di sempre: entusiasmo, passione, competenze, visione strategica.

Prendiamo le mosse dal tema dell’innovazione, che fin dagli albori è nel Dna di Fimap “Tutti sanno che la mia è già una seconda generazione. Quando ho iniziato nel 1992 Fimap era ancora piccola, ma con un’eredità importante e ingombrante allo stesso tempo. Da un lato c’era la fortuna di aver avuto un padre visionario e un po’… folle, capace di fidarsi di me e darmi questa grande opportunità; dall’altro la necessità di distinguerci e definire le caratteristiche di un’azienda diversa. Ecco perché l’innovazione è stata per noi un obbligo, un dovere per creare la nostra identità e posizionamento: fare innovazione era proporre le cose da un punto di vista diverso, costruire la nostra identità. Oggi è un dato incontrovertibile che Fimap sia considerata ormai da molti anni un riferimento per l’innovazione, siamo nati così.”

Per chi costruisce macchine l’export è fondamentale, così come confrontarsi con player esteri. Parliamo di nuovi mercati, a partire dalla Cina. Come sono cambiati gli scenari globali? “Non è da oggi che si parla di Cina, è da ben prima del 2000: ora però ci sono circostanze geopolitiche che hanno rispolverato la “paura cinese”. Il dato di fatto è che il mercato è libero, ed è meglio così, perché la competizione e la concorrenza ti spingono a fare sempre meglio. È da almeno trent’anni che vado in Cina, l’ho sempre considerata una sfida ma soprattutto una grande opportunità che ti apre gli orizzonti e i confini: come loro vengono da noi, anche noi possiamo fare altrettanto. Se loro hanno idee nuove e sono veloci a realizzarle significa che anche tu devi cercare di esserlo. È una spinta a migliorare, così almeno la vedo io”.

La velocità oggi è un valore importante in ottica aziendale? “Fondamentale. Io dico sempre che al giorno d’oggi non è il più grande che “mangia” il più piccolo, è il più rapido che batte il più lento. Non è più questione di dimensioni, ma di ritmo: in certi casi più grande sei, più lento sei perché è più ingombrante la massa da spostare e la gravità da vincere. Tornando ai Cinesi: il confronto con questo mercato è in realtà stimolante, perché impone un ritmo che ti fa restare reattivo, sveglio e pronto.

Ma si può davvero fare in Italia? Non abbiamo una situazione diversa, a partire dal costo del lavoro? Decentralizzare la produzione è una soluzione? “No, non lo è in senso assoluto. Intanto bisogna dire che nel mondo non c’è solo la Cina, aprirsi al mondo significa considerare tutto il pianeta, e ci possono essere distretti d’eccellenza ovunque, dal Sudamerica all’Est Europa e altrove. Se il costo del lavoro è più alto bisogna lavorare per avere aziende solide, capacità di investire nel capitale umano e nell’efficientamento dei processi quando c’è bisogno e di mantenere gli equilibri. I problemi ci possono essere, ma o li subisci o li gestisci. Non c’è una via di mezzo, altrimenti si ricade nella zona grigia del non fare, che è proprio la cosa da evitare”. 

Parliamo di automazione, ora è davvero ovunque “La vede questa foto del 1997? (mostra sul telefono l’immagine di una lavasciuga futuristica, ndr) È la prima lavasciuga totalmente automatica che abbiamo realizzato: se guarda bene la foto vede un lidar alto 30 cm, oggi è intorno ai 5; i sensori intorno alla macchina erano blocchetti alti 10-15 cm, oggi sono praticamente dei bottoncini. Però c’era già tutto. E allora perché nel 1997 questa macchina non ha preso piede? Quando qualche anno fa è tornato in auge il concetto di automazione mi sono andato a rileggere i documenti dell’epoca: questa macchina nasceva dal bisogno di un’importante impresa di pulizie che voleva automatizzare un particolare processo di lavoro. Questa era un prototipo, che però scegliemmo di non continuare a produrre”.

Come mai? “Le ragioni? Il problema non è la tecnologia, ma come viene gestito l’intero processo. Quando si decide di automatizzare un processo è tutta la filiera che deve cambiare, non solo un anello: se io produco e offro una macchina autonoma, l’impresa di pulizia deve adattare piani di cantiere, interventi e frequenze; dal canto suo il committente deve dare finestre di lavoro specifiche e dedicate; il building dovrebbe essere costruito perché la tecnologia produca il massimo. Non c’era una comunione di intenti, visioni, metodologie e obiettivi tra la filiera: in parte è così ancora adesso, se parli con certe committenze te ne rendi conto immediatamente. Senza contare l’impatto sociale: già nel 2017, durante l’evento INNOVATION DAY, volli sottolineare che la tecnologia va verso la collaborazione, non la sostituzione del capitale umano: adesso parlano tutti di cobot. Ecco, questo è il primo motivo per cui la tecnologia fatica a prendere davvero piede: tutta la filiera deve essere allineata su obiettivi e strategie comuni. Secondo aspetto, altrettanto importante, è la strategia di implementazione che scegli per arrivare all’automazione”. 

Ci spiega meglio? “Certo. Noi la tecnologia la maneggiamo da almeno trent’anni, e non ci siamo mai fermati. Al nostro interno abbiamo sempre continuato a coltivare la tecnologia: però come puoi promettere a un cliente di automatizzare il processo di pulizia se non conosci esattamente come è impiegata la tua macchina, e come performa? Come gestiamo questa cosa? Nel 2003 abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che troppa innovazione rischia di ottenere l’effetto contrario: in quell’anno realizzammo la prima lavasciuga pavimenti operatore a bordo sotto i 5mila euro di costo, un concentrato di innovazione senza precedenti e senza rivali. Eppure, fu letteralmente massacrata dal mercato. Ma i concetti innovativi alla base di quella macchina hanno poi portato alla nascita dei modelli più iconici del nostro brand, modelli che hanno permesso di consolidare e affermare la nostra azienda a livello internazionale, che sono stati d’ispirazione anche per i nostri competitors e che hanno aperto nuovi segmenti di mercato: come Genie, che ha meccanizzato la pulizia delle piccole superfici, Mr che con la sua essenzialità ha reso accessibile il segmento delle lavasciuga pavimenti uomo a bordo in un momento in cui il mercato richiedeva macchine particolarmente convenienti o Mxr, la uomo a bordo che è entrata negli spazi delle uomo a terra.

Una lezione importante “L’innovazione va gestita: ad esempio, mentre gli altri si buttavano sull’automazione spinta, noi abbiamo implementato l’IoT a bordo delle macchine, con la prima telemetria completa: con FFM – Fimap Fleet Management abbiamo trasformato la macchina in un centro di comunicazione e informazioni condivise. Ci siamo proposti di fare in modo che l’operatore, quando gli si mette a disposizione una macchina collaborativa, abbia già la familiarità con la sua logica operativa: abbiamo implementato display touch, sensori anticollisione ecc., anche prendendo spunto da settori più evoluti come l’automotive. Il concetto è: dapprima cerchiamo di conoscere le nostre macchine e come vengono utilizzate; poi di rendere familiare la tecnologia, abituando operatori, clienti, rivenditori, tecnici a gestirla. Allora, e solo allora, è sufficiente costruire sistemi di navigazione: per questo siamo stati tra gli ultimi, l’automazione per noi è un punto d’arrivo. Oggi però abbiamo una banca dati straordinaria di utilizzo dei modelli in contesti reali: un patrimonio di informazioni che può essere trasformato in dati utilizzabili su diversi fronti, dall’impatto ambientale ai costi operativi”.

Una strategia che implica investimenti non da poco…“E’ un processo continuo, ma il problema non sono i costi o gli investimenti: bisogna sempre avere fisso l’obiettivo, il punto d’arrivo del processo. Dove ti portano certe scelte?  L’innovazione per noi è migliorare le condizioni di lavoro degli operatori del pulito e il livello di igiene nel mondo. Un operatore deve essere orgoglioso e contento quando usa una macchina. Per questo abbiamo investito tanto anche sul design e la progettazione: se sei soddisfatto e sicuro lavori meglio e ti senti più a tuo agio e orgoglioso: se stai meglio fai le cose meglio”.

Ma come si fa a trasmettere questi valori a chi lavora con te? “Tutti i giorni, con la presenza e l’esempio. Noi abbiamo realizzato già 20 anni fa un’azienda completamente open, “di cristallo”. Chiunque sente cosa si dice in azienda, così lo scambio di comunicazioni avviene nella maniera più naturale, il know-how si arricchisce giorno dopo giorno. Poi coinvolgiamo tutti con meeting, riunioni, incontri. Senza mai forzare, altrimenti ottieni l’effetto opposto. L’unico modo per farti seguire è cercare di ispirare le persone. E come fai, se non con l’esempio? Devi fare, rischiare. Essere presente.”

Veniamo… alle terze generazioni. Come suo padre ha fatto con lei, anche lei ha permesso a suo figlio Gianmaria, 22 anni, di intraprendere una sua personale avventura nel settore. Come sta andando? “Gianmaria, che studia ancora e si sta laureando in Economia, ha espresso la volontà di continuare a occuparsi delle aziende di famiglia. Quindi come io ho avuto la fortuna di aver avuto un genitore che mi ha dato la possibilità di esprimermi, la stessa cosa ho voluto fare con mio figlio, con un progetto esterno tutto suo: è nata così YOR International, che produce una lavasciuga verticale dotata della nuova tecnologia “Weightless”. Sta facendo la sua strada e le sue esperienze di gestione aziendale: mi piace definirlo un investimento nel futuro e nelle nuove generazioni”.

 

 

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