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Biodiversità urbana ed ecologia globale

La biodiversità, o la varietà di forme di vita presenti in una determinata area, è un elemento chiave per la conservazione e la valorizzazione dell’ecosistema urbano, ricco di specie animali e vegetali.

Nel corso degli anni è progressivamente aumentata la consapevolezza che all’interno delle aree urbane e periurbane si verifichino i presupposti per la riduzione di buona parte del nostro impatto sulla Terra. Sono molte le proiezioni statistiche sul futuro dell’umanità nelle città; quasi tutte concordano non solo sul fatto che esse ospiteranno circa la metà (se non oltre) degli esseri umani, ma anche sul fatto che siano responsabili di circa il 60-80% del consumo energetico del 75% delle emissioni di carbonio. Le considerazioni sul benessere della specie umana nel proprio habitat-città devono partire dall’assunto che, sebbene molto antropizzato e caratterizzato da una gradualità a volte anche effimera, esso è, di fatto, un ecosistema. Anche se sui generis, la sua caratteristica principale consiste nel fatto che la dinamicità dei sistemi è mediata principalmente dagli esseri umani più che da fattori abiotici come il clima o la geomorfologia.

Lo studio della biodiversità in città è (e sarà sempre più) a pieno titolo una delle materie fondanti dell’ecologia urbana: è in stretta correlazione con lo sviluppo della nostra specie sul nostro pianeta e sta catalizzando l’attenzione mediatica, politica e gestionale sia attraverso azioni pianificate e visibili, esplicitate nei diversi programmi internazionali di riduzione dell’impatto ambientale, sia involontariamente, come nel caso dell’evidente pressione degli animali selvatici sulle città durante i lockdown (solo per gli esseri umani) imposti durante la pandemia di Covid 19.

Le ricadute sono globali: il “rimescolamento” di specie a livello planetario è mediato e accelerato dalle attività umane, tanto che la biosicurezza è da anni una delle tematiche principali a livello continentale e mondiale. Sono molte, infatti, le frontiere della biodiversità, i punti di arrivo e di impatto delle specie animali e vegetali sui confini delle città. L’individuazione e lo studio di questi punti di impatto, su cui la natura esercita la propria pressione (favorita o meno dalle attività umane) e cerca di stabilire un proprio equilibrio, è solo il punto di partenza di un viaggio nella natura urbana, sempre ricordando che essa non è un luogo astratto e indipendente dalla natura stessa, ma ne è parte integrante e ne subisce le ricadute.

Ma che cos’è la città?

È molto difficile trovare una definizione univoca di città o di area urbana. Non esiste un accordo generale su una definizione universale di ciò che è urbano, soprattutto a causa dell’estrema difficoltà di individuare confini e delimitazioni precise di una città e delle sue componenti. Proviamo a immaginare una specie animale in grado di giungere nei pressi di un centro urbano.

Il contesto che, in prima ipotesi, può essere considerato peggiore per una specie animale o vegetale potrebbe essere la zona più antropizzata, con minor presenza di caratteristiche naturali o riconducibili ad esse, più asettica e meno adatta a sostenere nicchie ecologiche: il nucleo urbano. Il quest’area si concentrano prevalentemente le specie cosiddette “sinantropiche”, cioè che meglio si sono adattate alla convivenza con l’Uomo, cercando di trarne anche i migliori vantaggi. Il nucleo urbano, o urban core area, può avere molte definizioni, a seconda della materia, dell’argomento o degli scopi del nostro lavoro. In generale, si tratta di patch o cluster ad alta densità abitativa (es. 1.500 abitanti per km2) e senza lacune inframezzate tra esse.

Tali lacune possono essere costituite da piccole patch di terreno incolto, abbandonato o nativo, che possono essere presenti anche nelle matrici urbane densamente popolate. Sebbene siano occasionalmente presenti aree verdi artificiali, è difficile ipotizzare la presenza di aree selvagge o selvatiche, se non attraverso l’accidentale intrusione di corridoi ecologici, quali torrenti, canali, fiumi, siano essi all’aria aperta o tombati. A scala molto locale, infatti, il modello di sviluppo urbano determina il modo in cui l’habitat naturale si frammenta, e costituisce un fattore che determina il modo in cui viene influenzata la biodiversità autoctona e dove le specie invasive troveranno terreno fertile (tipico esempio quello della Zanzara tigre o dei Parrocchetti).

Le condizioni urbane, in alcuni aspetti replicate a livello globale (cibo disponibile, scarsa predazione, isole di calore, illuminazione costante, etc.) possono portare a vedere la stessa specie ricorrere in ambienti fortemente modificati, in parte perché alcune di esse si sono adattate così bene alle opportunità che abbiamo offerto loro (es. Ratti, Blatte, Colombi, etc.), e in parte perché le persone hanno deliberatamente, o meno, aggiunto e sottratto specie secondo alcuni preconcetti culturali o estetici (omogeneizzazione biotica). Un ambiente ad elevata densità abitativa è di norma scarsamente perturbato, abbastanza stabile e continuo, principalmente perché sono gli esseri umani che normalmente necessitano di un tale contesto.

Habitat urbani

Dove dobbiamo cercare la biodiversità? Per molte specie le nostre stesse “tane”, gli edifici residenziali o produttivi, sono habitat già pronti, con numerose migliorie studiate per noi esseri umani, che siamo mammiferi non particolarmente adatti alla vita in climi con elevate escursioni termiche o con scarsi ripari naturali.

Gli edifici o le costruzioni costituiscono al tempo stesso habitat per alcune specie e pericolo per altre. Ad esempio, alcune costruzioni umane (es. edifici e palazzi) fungono da habitat di nidificazione potenziale per avifauna e pipistrelli antropofili, ma possono costituire evidenti ostacoli agli uccelli migratori (ponti, linee elettriche aeree, ecc.) o fenomeni di inquinamento luminoso che possono impattare sulle abitudini migratorie, i cicli di veglia-sonno e la formazione dell’habitat (insetti, uccelli e pipistrelli).

Non solo le strutture dei palazzi possono costituire siti particolarmente adatti a molte specie animali; i sottoservizi di collegamento tra le diverse unità architettoniche (apparati fognari, reti elettriche e telefoniche, etc.) concorrono al realizzarsi di tutta una serie di habitat e microhabitat ideali, dalle specie più complesse a quelle più semplici, da quelle più utili alle più fastidiose: garantiscono habitat riproduttivi, punti di passaggio privilegiati e protetti da un sito di nidificazione ad un sito di alimentazione, al riparo da ogni influenza umana o predatoria esterna. Come avviene nelle intercapedini dei palazzi, accumuli d’acqua provenienti da condizionatori o aree molto umide vicino a centrali termiche possono causare una proliferazione incontrollata di ditteri, tra cui le zanzare, anche in periodi dell’anno decisamente non usuali. È infatti provato che le zanzare riescano a risalire nei tombini anche da diversi metri di profondità, rendendone possibile la fuoriuscita anche in climi rigidi.

Anche nella trascuratezza, le aree urbane abbandonate continuano ad assumere sempre più importanza, come dimostrato da alcuni studi, che hanno verificato come siano diventate essenziali per piante e invertebrati, a tal punto da sostenere che dovremmo integrare questa tipologia di ecosistema nell’ambiente urbano, anche se a prima vista “disordinato”.

Le porzioni di città “non  produttive”, ma anche quelle naturali che non possiamo e dobbiamo regimentare, come le aree umide e i corsi d’acqua, sia a carattere fluviale che torrentizio, sono habitat essenziali; alcuni studi si sono concentrati sull’importanza nella tutela della biodiversità ad essi associata, dal momento che molte città si sono sviluppate intorno ad un sistema ripariale ed alla vegetazione delle pianure alluvionali, che talvolta rimangono aree naturali non intaccate dall’urbanizzazione.

Tutto ciò collima con il fatto che, anche nelle città densamente popolate, l’essere umano sente un ancestrale bisogno di natura. Le aree verdi hanno effetti noti decisamente benefici sul microclima urbano e sul benessere psicologico dei cittadini. Gli alberi delle strade urbane, ad esempio, forniscono ombra ai cittadini su una scala di decine di metri e sono importanti siti di nidificazione, sosta e alimentazione per una varietà di specie animali. A livello di area vasta contribuiscono alla regolazione del clima e alla mitigazione dell’Isola di Calore Urbana.

È qui che l’ecologia incontra l’architettura del paesaggio: se da un lato si iniziano a privilegiare soluzioni maggiormente ecocompatibili (muri e tetti verdi, boschi verticali, water squares), è necessario ripensare la pianificazione urbanistica in un’ottica di maggiore tutela della biodiversità e contenimento delle specie infestanti o dannose: la creazione di un ecosistema urbano in grado di sostenere sé stesso e non limitare e danneggiare la biodiversità delle aree periurbane e rurali, può essere una colonna portante della riduzione del nostro impatto a livello globale.

 

 

 

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