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Repêchage

Torniamo sul tema del cosiddetto “repêchage” e sull’obbligo che, a tal proposito, grava (o graverebbe) su parte datoriale, per analizzare una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 19556 del 15 luglio. Nel caso in oggetto un lavoratore con mansioni direttive impugnava giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli a seguito di riorganizzazione aziendale con soppressione dello specifico posto di lavoro. Cos’era accaduto?

Possibile anche l’inquadramento a livello inferiore

Come si verifica di frequente – anche nelle “nostre” imprese -, il lavoratore lamentava il mancato ricorso da parte datoriale alla valutazione delle possibilità di reintegro mediante “repêchage” (circostanza poi puntualmente smentita): si tratta di un caso frequente nell’attività delle imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati, se si pensa ad esempio alla perdita di una commessa che comporta ad esempio la chiusura di un cantiere con soppressione del posto di responsabile. 

La proposta (rifiutata) della società

Il ricorso del dipendente era stato accolto in prima battuta dal Giudice del lavoro. Al che la Corte d’Appello, nel riformare la prima sentenza, sottolineava come la società gli avesse offerto le mansioni di “responsabile della prenotazione” con inquadramento al livello inferiore e riconoscimento del corrispondente trattamento economico, ma il dipendente, con comunicazione via “posta certificata”, avesse rigettato l’offerta dichiarandosi disponibile solo a valutare ruoli di pari livello e pari retribuzione. Inoltre dopo il licenziamento l’azienda non aveva effettuato nuove assunzioni.

Legittimo il comportamento dell’azienda

La vicenda sfociava così in Cassazione, per trovare conferma, nel pronunciamento degli Ermellini, dell’impostazione fatta propria dall’azienda: se il prestatore non accetta la nuova occupazione, e quest’ultima rappresenta l’unico rimedio conservativo possibile, il licenziamento si considera legittimo una volta che il datore abbia dimostrato la propria buona fede, vale a dire di aver offerto la possibilità di un ricollocamento (anche a mansioni inferiori) e non aver effettuato altre assunzioni su posti analoghi.

Crolla la barriera del ripescaggio “a pari mansioni e stipendio”

Il principio enunciato dalla Cassazione si basa sull’assunto dell’oggettiva prevalenza dell’interesse del lavoratore al mantenimento del posto di lavoro rispetto alla salvaguardia di una professionalità che sarebbe comunque compromessa dall’estinzione del rapporto. L’obbligo di repêchage e il mutamento delle mansioni consentito dall’articolo 2103 del Codice civile, infatti, prevedono finalità diverse e differenti obblighi (per il datore) e tutele (per il lavoratore), anche perché la disciplina civilistica – come plurimamente chiarito dalla stessa Cassazione anche di recente – opera in costanza di rapporto, e non quando si verifica un evento riorganizzativo.

Prevale l’interesse alla salvaguardia del posto

Ne segue che in caso di soppressione del posto di lavoro in seguito a riorganizzazione aziendale, deve prevalere il diritto alla conservazione del posto di lavoro rispetto alla salvaguardia della professionalità del lavoratore. E a tal proposito – si legge nell’ordinanza – il datore, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili situazioni alternative potendo procedere a recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore.

Il principio stabilito

In sostanza la Cassazione ha avallato il principio secondo cui “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”, così consentendo l’assegnazione a mansioni inferiori anche a prescindere dal consenso del lavoratore.

Valorizzata l’autonomia organizzativa dell’impresa, ma…

La Corte di Cassazione ha dunque concluso per il rigetto del ricorso con condanna del lavoratore al pagamento delle spese di lite. Un pronunciamento molto interessante anche in chiave di autonomia organizzativa e libertà imprenditoriale: attenzione però alle modalità con cui si opera, perché occorre sempre dimostrare di aver agito con trasparenza e buona fede. Il licenziamento deve costituire un’extrema ratio dopo che si siano esperiti (e messi nero su bianco) tutti i rimedi conservativi possibili. 

Link Ordinanza 19556/25

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