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Progressioni economiche, il part-time non riduce l’anzianità

Come sappiamo il settore delle pulizie/ servizi integrati/ multiservizi è caratterizzato da un’alta percentuale di occupazione femminile e da una notevole incidenza di contratti a tempo parziale.  Per queste ragioni appare molto interessante prendere in esame quanto sancito dalla Cassazione con l’Ordinanza n. 4313 resa pubblica il 19 febbraio 2024.

Il fatto è lineare: una dipendente dell’Agenzia delle Entrate (ma la questione è trasversale), assunta a tempo parziale, contestava il calcolo dell’anzianità di servizio utile per le progressioni economiche, che a suo dire risultava illegittimamente ridotto proprio in relazione alla riduzione dell’orario di lavoro. In particolare, la dipendente riteneva di essere discriminata rispetto ad un collega con impiego full-time da un iniquo automatismo (meno ore di lavoro=meno anzianità).

Già in sede di giudizio di merito, il giudice di I grado e la Corte d’Appello avevano accolto la domanda risarcitoria, ordinando la cessazione del comportamento discriminatorio e condannando il datore al pagamento di circa 8.500 euro come maggiori retribuzioni maturate nel frattempo.

Una posizione confermata dalla Suprema Corte, che rigettava l’opposizione datoriale rilevando preliminarmente che non può esserci alcun automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio. Occorre piuttosto un’analisi in concreto, da effettuare di volta in volta, sulla tipologia di incarichi e mansioni, le modalità di svolgimento e l’effettivo impegno necessario: secondo gli Ermellini non è automatico che, a parità di anzianità lavorativa, il dipendente full-time abbia acquisito maggiore esperienza di quello part-time, essendo diverse, e non solo le ore lavorate, le variabili da tenere in conto.

Interessante soprattutto la questione della “discriminazione indiretta di genere”, espressione di una profonda riflessione giurisprudenziale su un dato di realtà: già “il giudice del merito -si legge in Ordinanza- è ricorso al dato statistico documentato della presenza di donne in stragrande maggioranza tra i dipendenti che chiedono di usufruire del part-time, per concludere che svalutare il part-time ai fini delle progressioni economiche orizzontali significa, nei fatti, penalizzare le donne rispetto agli uomini con riguardo a tali miglioramenti di trattamento economico”. Attenzione dunque anche nel nostro settore, fortemente interessato alla questione.

Link Ord. Cass 4313/24

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