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Primo comandamento? Lavarsi le mani

Il lavaggio delle mani, lo abbiamo sottolineato fino allo sfinimento in queste pagine, è il punto di inizio della sicurezza, caposaldo di ogni buona prassi.

Il primo veicolo di contaminazione

È indiscutibile, infatti, che le mani rappresentino il primo e più potente mezzo di trasmissione di microrganismi patogeni (con le mani facciamo di tutto), ed è per questo motivo che la raccomandazione primaria rimane sempre una corretta igiene. Sembra banale, eppure non è così sempre, e non ovunque né per tutti.

La crisi da Covid-19 ha riportato il tema sotto i riflettori

Non ci voleva certo una catastrofe sanitaria mondiale per dimostrarlo, anche se oggi, a più di un anno dall’inizio della pandemia da Covid-19, possiamo dire che il livello di attenzione sulla questione si sia innalzato a livelli mai raggiunti in precedenza: alla popolazione del mondo intero è stato consigliato l’utilizzo di prodotti igienizzanti e disinfettanti per le mani, al fine di prevenire la contaminazione da contatto con le superfici.

Il lavaggio delle mani inizia dai dispenser

Ma qual è il punto di partenza per interrompere la catena di trasmissione di microrganismi potenzialmente patogeni? Se pensiamo alla nostra esperienza quotidiana extradomestica (lavoro, tempo libero, viaggi, soggiorni in strutture ricettive, ma anche bar, ristoranti, centri commerciali, aeroporti, stazioni e così via), ma sempre di più anche privata, la risposta appare evidente: dai dispositivi di erogazione di sapone e gel, comunemente chiamati “dispenser”.

Occhio al sapone sfuso contaminato!

Ma questi ultimi sono sempre così sicuri? No, purtroppo non sempre. A questo proposito, molto interessante si rivela uno studio di alcuni anni fa da parte dell’American Society of Microbiology (titolo in italiano: Contaminazione batterica delle mani e trasferimento dopo l’uso di dispenser ricaricabili di sapone sfuso contaminato*), in cui si svela come sul versante dei dispenser non sia tutto rose e fiori. Anzi: i dati rivelano impietosamente che i dispenser ricaricabili di sapone sfuso sono soggetti a contaminazione batterica estrinseca almeno nel 25% dei casi esamina ti. Occhio dunque a quale tipo di erogatore si decide di scegliere.

Quali dispenser?

La riflessione parte da una semplice constatazione: in ambito sia privato sia professionale si usano diversi tipi di dispenser, spesso anche intensamente e a causa del flusso continuo di persone presenti nei vari ambienti di riferimento. Nell’ultimo anno abbiamo assistito alla diffusione di migliaia di dispenser di tutte le specie. Non è il dispenser più costoso e dal più accattivante design che è sinonimo di sicurezza per l’utilizzatore, ma è il tipo di dispenser che viene utilizzato e soprattutto come viene rifornito periodicamente di prodotto.

A rabbocco o a ricarica sigillata

Senza entrare troppo nel dettaglio, in commercio sono disponibili due tipi di dispenser: quelli con serbatoio contenitore di sapone o gel, chiamati “a rabbocco”, oppure dispenser che vengono riforniti con cartucce o sacche di prodotto sigillate e microbiologicamente controllate all’origine.

Attenzione alle contaminazioni

Nel primo caso, pur trattandosi della soluzione (almeno apparentemente) più economica, il rischio è quello della contaminazione del sapone: 1 dispenser di questa tipologia su 4 è risultato contaminato. Inoltre sono stati segnalati più volte focolai causati da questo tipo di dispositivo di erogazione di sapone o gel. Una situazione preoccupante, specie se “letta” in combinazione con la ripresa del mercato delle soluzioni a sapone sfuso legata alla crisi di reperimento di materie prime. Perciò è preferibile, secondo la ricerca, valutare l’utilizzo di saponi e gel confezionati in formati adattabili ai dispenser presenti in commercio, microbiologicamente testati all’origine e successivamente confezionati e sigillati (cartucce o sacche da 200 a 1000 ml) con pompa di erogazione, che si getta insieme alla ricarica esaurita.

Limitare manipolazione e contaminazione

Operando in tal modo, la pratica di rifornimento dei dispenser risulta ben diversa da quella di rabbocco del contenitore a prodotto esaurito. Un’osservazione ancor più chiara se corroborata – come ben fa lo studio americano – dalla disamina dettagliata di tutti gli step che l’operatore addetto al rifornimento deve eseguire nei due casi presi in esame. Senza entrare troppo nei particolari, la questione centrale riguarda la frequenza e l’intensità della manipolazione, che in caso di rabbocco è decisamente maggiore, con conseguente aumento significativo dei rischi di contaminazione.

Il dispenser va comunque disinfettato

In ogni caso resta fermo che, in entrambe le procedure, l’operatore dovrà detergere e disinfettare il dispenser sia internamente che esternamente. A tal proposito è preferibile l’utilizzo di formulati detergenti-disinfettanti compatibili con le superfici plastiche per evitare fenomeni di opacizzazione. Ricordiamolo ancora una volta: l’igiene delle mani rappresenta l’obiettivo finale, e non deve perdere di valore mediante dispositivi o modi di operare inadeguati.

Di Stefano Lodi

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