Campanello d’allarme sui recessi irrogati con la motivazione del mancato superamento del “periodo di prova”. L’argomentazione-chiave del Tribunale di Treviso, che nei giorni scorsi si è pronunciato in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro dichiarando l’illegittimità di uno di essi con sentenza 333/25, è l’impossibilità di attribuire validità ed efficacia al patto contenuto nella sola lettera di impegno all’assunzione, dal momento che non erano specificate le mansioni che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere nel periodo di prova.
Il caso
Ma veniamo al fatto: la menzionata sentenza n. 333 del 30 aprile scorso affronta il caso di un dipendente licenziato con la motivazione del mancato superamento del periodo di prova. A fondamento del recesso, la violazione del cd. “patto di prova”. Secondo la società datrice, infatti, il dipendente sarebbe venuto ripetutamente meno ai propri doveri di fedeltà e correttezza contrattuali, oltre a comportarsi con evidente negligenza, peraltro opportunamente comprovate.
Recesso invalido
Tuttavia a nulla è valso agli occhi del giudice l’invocato “sprezzo delle condizioni contrattuali”: “Il recesso in prova formalizzato dalla datrice di lavoro è invalido, in quanto nel contratto di lavoro non è presente alcuna pattuizione che manifesti la volontà delle parti di prevedere un periodo di prova”. Se anche però il patto di prova fosse stato espressamente previsto, continua il giudica, “si ritiene che non possa attribuirsi alcuna validità ed efficacia al patto contenuto nella citata dichiarazione di impegno, perché nello stesso non erano minimamente specificate le mansioni che il dipendente avrebbe dovuto svolgere durante la prova.”
Nel patto di prova vanno esplicitate le mansioni
Ed ecco l’importante principio generale: “Come noto, nel patto di prova devono essere indicate con precisione le mansioni affidate al lavoratore, il ruolo che questi andrà a ricoprire, nonché la durata del periodo di prova stesso e, ovviamente, perché sia valido, è necessaria la sua sottoscrizione da parte di tutti i soggetti coinvolti. In riferimento alle mansioni, questa indicazione specifica è un presupposto indispensabile da un lato per permettere al dipendente di poter preventivamente conoscere il contenuto della prova cui sarà sottoposto e sulla cui base sarà valutato dal datore di lavoro, dall’altro affinché il datore di lavoro possa esprimere validamente la propria insindacabile valutazione in merito all’esito della prova”.
Tutela indennitaria, no reintegro nel posto di lavoro
La tutela, tuttavia, non è reintegratoria, ma solo risarcitoria (6 mensilità più spese di lite): “Accertata dunque l’insussistenza e, comunque, l’invalidità dell’invocato patto di prova, il conseguente recesso basato esclusivamente sul mancato superamento della prova non può che essere illegittimo perché ingiustificato. La tutela spettante nell’ipotesi di licenziamento ingiustificato poiché comminato in assenza di un valido patto di prova, come nel caso di specie, è quella di cui all’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 2015 (le “tutele crescenti” di cui ci siamo spesso occupati in questa sede) che, ferma l’estinzione del rapporto di lavoro, prevede esclusivamente un’indennità risarcitoria in favore del lavoratore”. La lezione, però, è chiara: attenzione ad ogni superficialità, anche formale, all’atto della stipula del contratto di lavoro, e attenzione -in caso di patto di prova- a dettagliare le dimensioni su cui verificare il dipendente. Ogni errore può costare molto salato.