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Part-time: criticità nel Jobs act e non solo

In questi anni gli orientamenti giurisprudenziali sono stati chiari in tal senso: la Cassazione ha fissato dei paletti recepiti dal governo nella Riforma dei contratti (Jobs act) il 20 febbraio.

Il part-time, lo sa bene chi ha un’impresa di pulizie/servizi integrati/multiservizi, è una formula frequentissima nel settore, perché consente una gestione più flessibile e razionale del lavoro. Attenzione, però, perché come purtroppo ben sappiamo dietro un apparente part-time si può celare un meccanismo più o meno illecito, comunque sempre “al limite”, finalizzato all’evasione parziale, al mantenimento di un determinato dimensionamento dell’impresa, al contenimento dei costi. E così si vedono casi di continue prestazioni supplementari (che configurerebbero la necessità di un rapporto a tempo pieno), o dei “famigerati” straordinari fuori busta, oggetto di pesanti sanzioni amministrative a carico del datore. Si tratta del cosiddetto part-time non genuino. Attenzione perché i paletti si sono ristretti e le sanzioni possono essere pesanti.

Nel caso delle “ore extra” richieste in regime di part-time, gli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi anni sono andati in una direzione ben precisa: quella di fissare soglie ben precise oltre le quali è d’obbligo trasformare il rapporto in un tempo pieno. Ultima a esprimersi in ordine di tempo è stata la Cassazione, che ha dato indicazioni recepite dal Governo in fase di attuazione del Jobs act lo scorso 20 febbraio. Dei 4 decreti attuativi usciti in quella data, ci riferiamo a quello di riforma delle tipologie contrattuali: qui si prevede espressamente, al comma 5 dell’articolo 4, che il datore di lavoro possa “richiedere al lavoratore lo svolgimento di prestazioni di lavoro supplementare in misura non superiore al 15% delle ore di lavoro settimanali concordate”. Questo vale se il Ccnl di categoria non prevede altrimenti (nel caso del contratto “Multiservizi”, fa dunque fede l’articolo 33 che riportiamo sotto). Ovviamente ci si riferisce al tipo di part time orizzontale, quello cioè che prevede una riduzione dell’orario giornaliero. Al di là però del dato numerico, il fatto su cui ci sembra interessante riflettere è che, secondo l’ultima giurisprudenza, si corre il rischio della trasformazione in tempo pieno allorquando si faccia uso continuativo e costante di lavoro supplementare fino ad un orario simile al full time nonostante un formale part time  (sentenza Cassazione 11905/2011). Inoltre, stando sempre al dettato della Cassazione, a determinare la conversione del tempo parziale in un rapporto a tempo pieno sarebbe l’assenza di una precisa esigenza organizzativa che renda indispensabile ricorrere, in quel momento, a lavoro extra. Attenzione quindi: piuttosto che dover assumere a tempo pieno per effetto di un provvedimento del giudice, è più conveniente farlo direttamente subito se si prevedono esigenze da full time.

Altro caso è quello degli straordinari fuori busta, ossia del caso in cui il datore paghi il lavoratore in busta paga solo una parte del compenso, e gli paghi l’altra in nero. Una soluzione che può integrarsi alla perfezione con un part-time non genuino, con escamotage del tipo, pe dirla facile facile, “facciamo figurare un part-time per cui ti pago regolarmente, ma il realtà lavori da me a tempo pieno e il resto te lo do fuori busta paga”: in questo caso si configura la registrazione in completa o non veritiera del lavoro supplementare o straordinario. Qui le sanzioni non riguardano più la trasformazione del rapporto di lavoro: le pene pecuniarie previste per il “fuori busta”, infatti, sono gravose: stando al comma 7 dell’art. 39 del Dl 112/2008, l’omessa registrazione dei dati retributivi, previdenziali o fiscali è punita da 150 a 1.500 euro, che diventano 500/3.000 qualora l’illecito riguardi 10 o più lavoratori. Per registrazione infedele, invece, si intende quando  i dati riportati sul libro unico del lavoro (Lul) non coincidano con la prestazione svolta o la retribuzione effettivamente corrisposta: in tal caso le sanzioni si aggravano ulteriormente, cumulandosi con quelle previste per la mancata consegna del prospetto paga e, nel caso si scenda sotto i minimi previsti dal Ccnl, anche con quelle stabilite dal 66/2003, art 5 comma 5. Dal 2004, poi, è possibile anche la diffida accertativa per crediti patrimoniali.

Art.33

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