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“Nuovo codice”, peccato

Secondo importante step per il “nuovo” testo sugli appalti che dovrà entrare in vigore in aprile (le virgolette sono d’obbligo, visto che le novità, rispetto al tanto vituperato dlgs 50/16, non sembrano essere troppe…): nei giorni scorsi -precisamente il 16 dicembre 2022- il Consiglio dei Ministri ha approvato il documento in via preliminare.

Si attende ora il lavoro delle Commissioni, ma i tempi sono già maturi per alcune osservazioni “in chiaroscuro”. Salta agli occhi, innanzitutto, la rivista formulazione dell’art. 60 sulla “Revisione prezzi”, molto atteso dalle associazioni delle imprese ad alto contenuto di manodopera, come nel caso delle imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati. In questo caso rispetto al testo licenziato qualche settimana fa dal Consiglio di Stato sembra essere stato fatto un passo indietro: non v’è più traccia, infatti, del recepimento delle nuove condizioni contrattuali, laddove la nuova formulazione del c. 3 recita testualmente: “Per l’applicazione del presente articolo si utilizzano indici sintetici delle variazioni dei prezzi relativi ai contratti di lavori, servizi e forniture, approvati dall’ISTAT con proprio provvedimento entro [il 31 marzo e] il 30 settembre di ciascun anno, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Con il medesimo provvedimento si definisce e si aggiorna la metodologia di rilevazione e si indica l’ambito temporale di rilevazione delle variazioni”, risultando espunta la dicitura “incluse quelle del costo del lavoro derivanti dal rinnovo dei contratti collettivi nazionali”, in uno scenario in cui, come sappiamo, la contrattazione collettiva ha previsto per il settore un aumento del 10% in 5 anni, quasi la metà del quale concentrato nei primi anni. Ottima dunque la scelta di inserire già nel codice l’obbligo di revisione dei prezzi (c. 1, “Nei documenti di gara iniziali delle procedure di affidamento è obbligatorio l’inserimento delle clausole di revisione prezzi”), ma convince decisamente di meno la decisione (speriamo temporanea) di “slegarsi” dagli aumenti contrattuali, come se questi ultimi fossero un optional che non pesa sul costo complessivo del servizio e, dunque, sulle tasche delle imprese. Forse, ma è solo una nostra riflessione, la ratio è stata quella di legare la revisione prezzi alle situazioni imprevedibili ed emergenziali, mentre gli aumenti contrattuali sono al contrario visti come circostanze prevedibili e, anzi, ordinarie. Fatto sta che si tratta di un problema non da poco, specie se il costo maggiorato del lavoro si aggiunge ai rincari dovuti all’incertezza della situazione internazionale, con energia e materie prime alle stelle e ripercussioni inevitabili anche per il mercato dei servizi.

A proposito di questo, vi sono poi osservazioni di ordine ancor più generale: al di là delle molte parole, il Codice -ricalcato, come accennavamo, sul dlgs 50/16 e, anziché più snello, a quanto pare ancor più corposo- sembra calibrato ancora più sul mondo dei lavori che su quello dei servizi: lodevole il fatto che si pensi alle grandi opere di edilizia e infrastrutture pubbliche (ce ne sarebbe un gran bisogno, a proposito…); peccato che ormai, nel nostro Paese, i servizi “pesino” sul Pil decisamente più dei lavori (tutti insieme valgono 1.300 miliardi di euro, praticamente tre quarti del prodotto interno lordo)  e che questo sembri ancora una volta sfuggire al legislatore: un esempio su tutti è l’innalzamento della soglia di affidamento diretto, prevista per i lavori ma non per i servizi, e la “liberalizzazione” dell’appalto integrato, sempre pensata per le opere. Anche in questo caso, dunque, non sembrano essere andate a buon fine le valutazioni e le proposte avanzate dalle associazioni di categoria. Un’occasione persa, verrebbe da dire.

E non è l’unica: anche la tanto ventilata semplificazione sembra ben lungi dall’essere compiuta, visto che il testo in circolazione addirittura aggiunge articoli al precedente. In attesa di vedere quali saranno gli aggiustamenti operati nei prossimi mesi, non possiamo non sottolineare come, nel frattempo, la sanificazione e i tanto osannati “eroi” dei tempi del Covid sembrano ormai lontani anni luce, se è vero, come è vero, che persino i colossi ferroviari avrebbero deciso di non richiedere più alle imprese servizi di pulizia la sanificazione sulle carrozze passeggeri. Ma è solo un esempio: il punto è che non è stata ancora acquisita la consapevolezza che determinate operazioni di pulizia e sanificazione non vanno limitate alla situazione emergenziale, ma sono necessarie in modo abituale per la salute della popolazione e devono quindi rientrare nella routine ordinaria. Insomma, sembra proprio che si continui, un po’ in tutto, a ragionare “sulle emergenze”.  In una parola: peccato.

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