L’Ordinanza di Cassazione 13748 del 22 maggio 2025 fissa rigidi paletti in tema di molestie e comportamenti sessualmente aggressivi sul luogo di lavoro.
Un tema da “attenzionare”
Un tema che, purtroppo, è frequente incontrare nel settore delle pulizie/multiservizi/servizi integrati, la cui manodopera è in buona parte femminile. Nel caso di specie, però, si è verificato l’opposto di quanto -un po’ per statistica, un po’ per luogo comune- siamo abituati a pensare: la molestatrice, infatti, è una “lei” e la vittima un collega di sesso maschile. Pur mutando i fattori, però, il risultato non cambia: le molestie sessuali sono discriminazione sul lavoro. Ed è legittimo il licenziamento della lavoratrice che molesta sessualmente il collega con commenti pesanti e imbarazzanti.
Il fatto
La questione, come si è già inteso, riguarda una dipendente licenziata per giusta causa per tre ordini di ragioni, riconducibili a una condotta sessualmente aggressiva e reiterata nel tempo. Come ben sintetizzato in ordinanza, si tratta di “plurime condotte riconducibili a tre nuclei”: 1) aver proferito in più occasioni ed in maniera continuativa frasi a contenuto sessuale e manifestato attenzioni indesiderate, all’indirizzo del sig. XXX e nell’interazione lavorativa con quest’ultimo; 2) aver proferito frasi a contenuto sessuale indirizzate anche ad altro lavoratore; 3) aver svolto apprezzamenti denigratori ed offensivi nei confronti di un superiore gerarchico. La dipendente impugnava il licenziamento ottenendo ragione in appello. La Corte di merito ha infatti escluso che le condotte contestate integrassero un inadempimento di gravità tale da configurare una giusta causa di licenziamento difettando la necessaria proporzionalità “in considerazione della mancanza di procedimenti disciplinari precedenti e di significativi effetti dannosi per l’organizzazione aziendale”.
Non solo questione di disciplina aziendale
L’impresa datrice resisteva e il contenzioso giungeva in Cassazione. Qui la questione veniva ribaltata, e confermata la validità della sanzione espulsiva. Il punto, infatti, non è tanto la gravità della condotta in sé, né gli effetti sull’attività dell’azienda, quanto la tipologia del comportamento, che è tale da configurare una vera e propria fattispecie di molestia sessuale. La condotta, infatti, va “considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente”.
Condotte anticostituzionali
In questo caso, spiegano i giudici, costituisce innegabile portato della evoluzione della società negli ultimi decenni la acquisizione della consapevolezza del fatto che qualunque intrusione nella sfera intima e riservata della persona, effettuata peraltro con modalità insistenti e persistenti e senza curarsi della presenza di terze persone, deve essere valutata tenendo conto della centralità che nel disegno della Carta costituzionale assumono i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), il riconoscimento della pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, il pieno sviluppo della persona umana (art. 3), il lavoro come ambito di esplicazione della personalità dell’individuo (art. 4), oggetto di particolare tutela in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35); tale generale impianto ha trovato puntuale specificazione nell’ordinamento attraverso la previsione di discipline intese ad impedire o a reprimere forme di discriminazione legate al sesso. Tra queste assume particolare rilievo il dlgs 198/06, (Codice delle pari opportunità) il cui art. 26, comma 1 statuisce, come richiamato in lettera di licenziamento, che sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
L’impresa deve prevedere una sezione dedicata a queste condotte
Attenzione, però, perché ce n’è anche per il datore, obbligato secondo ben nota previsione civilistica ad “adottare tutte le misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori” (art. 2087). Una norma-chiave in tema disciplina della sicurezza sul lavoro, poiché di fatto sancisce una responsabilità contrattuale (debito di sicurezza) del datore nei confronti dei dipendenti. In sostanza, secondo gli Ermellini, le molestie sessuali sul luogo di lavoro, incidendo sulla salute e sulla serenità anche professionale del dipendente, comportano l’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro. Le imprese devono dunque stare bene attente a prevedere, fra le misure improntate alla prevenzione della discriminazione sul lavoro, una sezione dedicata alle condotte sessualmente indesiderate. Un alert molto interessante anche per chi opera nel settore delle pulizie/ multiservizi/ servizi integrati.