Restiamo sempre dalle parti della giurisprudenza amministrativa di I grado per esaminare l’interessante pronunciamento del Tar Lombardia di cui alla sentenza n. 1635 del 12 maggio 2025.
Il caso
Nel caso di specie, sempre a tema aggiudicazioni di appalti, si parla di rinnovi contrattuali. La questione riguarda l’aggiudicazione di un servizio di ristorazione per scuole e domicili (ma potrebbe essere benissimo servizi di pulizia/multiservizi/servizi integrati) aggiudicato da un Comune lombardo a un’impresa e impugnato da una concorrente non aggiudicataria: ebbene, per i giudici amministrativi lombardi è illegittimo aggiudicare una gara pubblica se l’aggiudicataria utilizza un Ccnl scaduto (nel 2021, risalendo al 2018) senza applicare il successivo rinnovo (2024).
Mancava la dichiarazione di equivalenza
In aggiunta, fra l’altro, va detto che l’impresa vincitrice non ha dimostrato, con la dichiarazione di equivalenza, la correttezza del contratto applicato. In pratica l’operatore economico avrebbe dichiarato un Ccnl non più valido e, al contempo, non avrebbe neanche specificato di aver applicato un contratto collettivo nazionale diverso da quello di cui agli atti di gara, corredato dalla relativa dichiarazione di equivalenza.
Il parere dell’Anac
Aderendo all’orientamento dominante in materia di equivalenza tra Ccnl e in conformità alla delibera Anac n. 14 del 14 gennaio 2025, il Tar lombardo ha ribadito che l’Amministrazione deve operare una attenta verifica circa la possibilità di applicare un Ccnl diverso da quello indicato nel bando, sia sul piano economico sia normativo.
Il nuovo scenario normativo
La pronuncia si innesta in uno scenario normativo da poco rinnovato (e reso, se possibile, ancora più complesso). Il nuovo codice, infatti, prevede che nei documenti di gara e nella decisione di contrarre, la Stazione appaltante indichi il contratto collettivo nazionale del lavoro da applicare al personale impiegato nell’appalto (art. 11 del dlgs 36/23, come modificato dal successivo dlgs 209/24). La stessa Anticorruzione, fra l’altro, ha specificato, con la citata Delibera 14 del gennaio scorso, che “la dichiarazione di equivalenza debba dimostrare che il diverso CCNL adottato, al di là del nomen iuris, garantisca tutele equiparabili. La valutazione deve necessariamente avere ad oggetto sia le tutele economiche che quelle normative in quanto complesso inscindibile”.
Le verifiche in capo alla PA
In capo alla Pa appaltante, dunque, vi sono diversi livelli di verifica: innanzitutto quella della cd. “equivalenza sostanziale” economica e giuridica, sulla quale già negli scorsi numeri abbiamo offerto diversi approfondimenti, anche per l’estrema difficoltà -per non dire impossibilità- di individuare contratti effettivamente equivalenti: sul punto, peraltro, è importante leggere con attenzione la circolare Inl n. 2/2020, recante un elenco di parametri, indici e istituti-spia per la comparazione dei contratti collettivi, con la possibilità di ammettere uno scostamento marginale (max 2 parametri). Inoltre, di conseguenza, c’è la verifica prevista dal Codice sulle eventuali anomalie dell’offerta, che possono comportare l’esclusione del concorrente.
Una particolare “anomalia dell’offerta”
Ne consegue che l’Amministrazione, in sede di analisi di un Ccnl diverso da quello richiesto dal bando, nel caso ravvisasse uno scostamento sostanziale sarebbe tenuta ad escludere dalla gara l’impresa il cui Ccnl dichiarato non risultasse equivalente, sul piano delle garanzie, a quello indicato nella lex specialis, determinando così un’offerta anomala. Più facile a dirsi che a farsi, commentiamo noi.