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Il licenziamento per cambio mansione

Si parla di recesso per giusta causa intimato a seguito del rifiuto di una dipendente di sottoporsi alla visita medica preventiva in vista di adibizione a nuove mansioni. Ora, sappiamo bene quanto spesso le resistenze dei dipendenti possano avere in questi casi un sapore pretestuoso, e possano essere finalizzate semplicemente a contrastare il “ri-mansionamento”. Uno scenario piuttosto frequente nella quotidianità delle imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati, a cui appunto di riferisce l’interessante ordinanza Cassazione Civile n. 22094/22 del 13 luglio scorso, destinata a “fare scuola”.  

Nel caso di specie la lavoratrice impugnava giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatole per essersi rifiutata di effettuare la visita medica, a seguito di mutamento delle mansioni, nelle giornate del 12 settembre 2017 (adducendo l’inidoneità del luogo di svolgimento del controllo) ed, esattamente una settimana più tardi, del 19 settembre 2017 (omettendo di presentarsi nel luogo ed orario del previsto espletamento). La Corte d’Appello rigettava la predetta domanda, sul presupposto che la richiesta di sottoposizione a visita medica era conforme alla legge ed il rifiuto era da reputarsi, invece, illegittimo e ingiustificato. Una conclusione confermata dalla Suprema Corte.

In particolare, la Cassazione nella richiamata Ordinanza rileva in primo luogo che la visita medica di idoneità in ipotesi di cambio mansione è prescritta per legge: si tratta in effetti, come rilevato in sede d’appello, di un adempimento dovuto. D’altra parte, secondo i giudici il comportamento della dipendente non è giustificabile ai sensi dell’art. 1460 cod.civ. (la cosiddetta “eccezione di inadempimento”) perché da un lato il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate, e dall’altro, la dipendente avrebbe potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti.

Tale “eccezione”, ha valore soltanto se fondata su buona fede: proprio quella che è mancata secondo la Cassazione, in quanto l’atteggiamento della dipendente, a fronte di un adempimento di legge da parte del datore, appariva finalizzato proprio al contrasto nei confronti dell’assegnazione di nuove mansioni, evidentemente non gradite.

Stando agli Ermellini, inoltre, non vi è nemmeno sproporzione fra la condotta contestata e il provvedimento di recesso. In questo caso la Cassazione ha richiamato la correttezza dell’interpretazione fornita dal giudice di merito il quale, “con motivazione corretta sul versante logico e giuridico, e quindi incensurabile in cassazione, ha ritenuto comprovati, sulla base della ricostruzione dei fatti documentalmente risultante, l’illegittimità del comportamento omissivo della dipendente, punito anche con sanzioni penali, e lo scopo della condotta del datore di lavoro, finalizzata alla prevenzione rispetto alla sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro cui l’art. 41 del D.lgs. n. 81 del 2008 è improntato”.

Link Ordinanza Cassazione

Art. 2119 CC

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