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Giustizia e lavoro

Con sentenza n. 3729/2019, dello scorso 23 maggio,  il Tribunale di Napoli ha sancito un principio da tenere ben presente in tema di diritto del lavoro: è nulla, stando ai giudici, la conciliazione sottoscritta, seppure in “ambiente protetto”, nella quale il dipendente, sotto minaccia di danno ingiusto, rinuncia ad ogni potenziale rivendicazione nei confronti del datore di lavoro. Ne consegue che non è lecito coartare la volontà del lavoratore di fatto imponendogli di non esercitare propri diritti.

Il fatto preso in considerazione riguarda una successione di imprese su un appalto di servizi. Cerchiamo di fare una sintesi:  le dipendenti dell’appaltatore uscente, dopo aver risolto il rapporto con l’azienda datrice e prima di essere assunte dall’impresa subentrante, hanno sottoscritto in sede di Direzione Territoriale del Lavoro –in Dtl, quindi in sede protetta e normativamente corretta- un verbale di conciliazione nel quale hanno rinunciato sia ad invocare l’applicazione dell’art. 2112 del Codice Civile (quello che norma il trasferimento d’azienda, secondo cui “in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento”), sia ad avanzare qualsivoglia potenziale rivendicazione contro il vecchio datore. Un verbale che alcune di loro hanno successivamente impugnato in sede giurisdizionale, sostenendo la nullità dello stesso sotto plurimi profili, tra i quali la coartazione della volontà, stante la minaccia subita che senza la sottoscrizione dell’accordo non sarebbero state riassunte dal nuovo appaltatore.

Una tesi accolta dal Tribunale di Napoli, che ha innanzitutto ricordato come, che, in tema di violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, i requisiti previsti dall’art. 1435 c.c. possano variamente atteggiarsi, a seconda che la coercizione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio ed oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo.

In ogni caso, ai fini dell’annullabilità dell’atto, è necessario che la minaccia sia stata specificamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale, risultando di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore di essa.

Ora: nel caso in questione, secondo la sentenza, la minaccia è emersa dalla comunicazione con la quale l’appaltatore subentrante avrebbe offerto alle dipendenti la stipula di un contratto di assunzione a patto che fossero state accolte determinate condizioni, poi, trasposte nell’accordo transattivo. Sulla base di questi tali presupposti il giudice partenopeo ha accolto il ricorso proposto dalle lavoratrici, annullando i verbali di conciliazione, in quanto sottoscritti in presenza della minaccia di un danno ingiusto.

Link Sentenza 3729/19 Trib. Napoli

 

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