Ecco un altro argomento di stretta attualità, soprattutto nel periodo estivo in cui, come si sa, molti lavoratori esercitano il diritto – costituzionalmente garantito – al periodo di riposo.
Ferie non fruite, un tema ricorrente…
Parliamo di fruizione delle ferie da parte dei dipendenti e dei connessi obblighi datoriali, e lo facciamo a partire da un caso concreto: quello affrontato dalla Cassazione Civile Sez. Lavoro, con Ordinanza n. 20035 del 18 luglio scorso. Diciamo subito che gli Ermellini sono intervenuti in linea con precedenti orientamenti giurisprudenziali, che negli ultimi anni stanno divenendo maggioritari sia nel settore privato, sia in quello pubblico. In sostanza non è più un onere solo del lavoratore chiedere di fruire delle ferie maturate, ma spetta al datore di lavoro provare di aver messo il lavoratore in condizione di fruirne e di averlo informato adeguatamente sulle conseguenze della mancata fruizione, comunicando con tempestività al dipendente il numero di giorni ancora non fruiti.
Il caso affrontato dalla Cassazione
Il caso concreto riguarda un dipendente prossimo alla pensione a cui spettavano 80 giorni di riposo accumulatisi nel corso degli anni, che ha chiesto al giudice la considerevole somma di circa 36mila euro per il computo delle ferie non fruite. Ebbene, partendo da una sintetica ricognizione normativa, la Suprema Corte ha ricordato che la materia è regolata dall’articolo 5, comma 8, del Decreto Legge 95/2012 (come integrato dall’articolo 1, comma 55, della Legge 228/2012). Questa normativa deve essere interpretata in senso conforme al diritto europeo, che non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e all’indennità sostitutiva (il pagamento delle ferie non godute) senza che il lavoratore sia stato adeguatamente informato e messo in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto. Inoltre questa informazione deve avvenire “tempestivamente” prima della cessazione del rapporto di lavoro.
I doveri datoriali in materia
La Suprema Corte non ha mezzi termini: “La perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato (Cass. n. 21780/2022). Pertanto va ribadito il seguente principio di diritto al quale dovrà conformarsi il giudice di rinvio: “grava sul datore di lavoro l’onere di allegare e di provare di aver messo in condizione il lavoratore di fruire di tutte le ferie residue”.
Bisogna prestare molta attenzione!
Attenzione dunque: una semplice dimenticanza, anche in buona fede, può portare a impegni economici non da poco anche in considerazione del fatto (a pensar male, si sa, spesso si coglie nel segno) che tale “superficialità” datoriale può costituire un “assist” per un calcolo da parte del dipendente (che, come nel caso di specie, può farvi affidamento per accumulare un potenziale “tesoretto”), e una volta non concesse le ferie è difficile tornare indietro. Il consiglio è quello di diramare formali comunicazioni chiare e tempestive a ciascun dipendente in cui, ogni anno, si inviti a fruire delle ferie e si comunichi ad ognuno di loro i giorni cui hanno diritto, mettendo tutto nero su bianco per non incorrere in situazioni spiacevoli (e non poco costose).