E’ destinata a creare un precedente l’ordinanza n. 22636/2025 della Corte di Cassazione, pubblicata il 5 agosto scorso. Si parla di demansionamento e conseguente tutela dei lavoratori, partendo da un caso molto particolare: cosa accade se, a seguito del passaggio a compiti inferiori, il dipendente perde l’accesso a trattamenti economici “straordinari”, come ad esempio quelli legati alle prestazioni notturne?
Un caso molto interessante
In particolare, un dipendente agiva in giudizio contro l’impresa datrice a seguito dell’assegnazione a mansioni ritenute dequalificanti rispetto alle precedenti, ma anche dannose patrimonialmente a causa appunto della perdita della maggiorazione per il lavoro di notte: un caso frequente nella quotidianità delle imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati, caratterizzata da un’altissima incidenza della manodopera e ad orari di lavoro anche notturni.
Danno patrimoniale accolto in prime cure
Ricorso accolto dal giudice di prime cure, che aveva condannato l’azienda a risarcire sia il danno biologico sia quello professionale, quantificato nel 20% delle retribuzioni percepite nel periodo di dequalificazione di 6 anni e mezzo, oltre ad un pregiudizio patrimoniale di oltre 116mila euro per la perdita delle maggiorazioni retributive spettanti per il lavoro notturno.
Poi rigettato in Appello
Proprio su quest’ultimo aspetto si pronunciava la Corte d’Appello in senso opposto, riformando la decisione di primo grado poiché l’emolumento per il “notturno” non costituiva un diritto acquisito del lavoratore, bensì una mera voce retributiva accessoria, dovuta solo in presenza della prestazione effettiva nel turno disagiato: venendo meno il concreto disagio patito dal lavoratore, in sostanza, cadeva automaticamente anche il diritto all’emolumento accessorio. Pari e patta, insomma (un’argomentazione che la Suprema Corte qualificherà come “meramente suggestiva”).
La Cassazione: non diritto acquisito, ma dato fattuale
La questione, sulla scorta della lamentata erronea applicazione dell’art. 2103 del Codice Civile, arriva così al giudizio di legittimità, dove gli Ermellini sono molto chiari nel riprendere la lettura del Tribunale di I grado: non si può negare il risarcimento del danno patrimoniale se il demansionamento del lavoratore comporta la perdita del lavoro notturno e delle relative maggiorazioni. Per i giudici a contare è il dato fattuale che, per diversi anni, il lavoratore aveva effettivamente prestato la propria attività nel turno notturno percependo regolarmente le relative indennità. E che con l’assegnazione a mansioni inferiori e al turno di metà giornata aveva perso tale trattamento economico, configurando così un danno patrimoniale diretto e immediato ai sensi dell’art. 1223 del Codice.
La liquidazione del danno
Interessante anche il richiamo della Suprema Corte alla giurisprudenza che ammette, in sede di liquidazione equitativa del danno da demansionamento, l’utilizzo della retribuzione come parametro di riferimento: “A causa dell’illegittimo demansionamento è configurabile a carico del lavoratore un danno costituito da un impoverimento delle sue capacità per il mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la professionalità lavorando, sicché per la liquidazione del danno è ammissibile, nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell’esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita ed alle altre circostanze del caso concreto”. Occhio dunque a ricorrere al demansionamento: le tutele al lavoratore vanno valutate sia sul piano della dequalificazione (e dei relativi riflessi sulla professionalità), sia su quello delle concrete perdite subite in relazione ad un trattamento economico consolidatosi nel tempo.