HomeNewsletterControllo dipendenti: il Garante della privacy fissa i paletti

Controllo dipendenti: il Garante della privacy fissa i paletti

Il mese scorso abbiamo fatto notare come gli ultimi attuativi del Jobs Act modificassero lo Statuto dei Lavoratori nella parte relativa al controllo dei dipendenti, di fatto agevolando quest’ultimo da parte dell’azienda. Ma attenzione, a tutto c’è un limite, e in questo caso sono le Garanzie costituzionali.

Proprio richiamando tali garanzie, superiori ad ogni altro dettame legislativo, il Garante per la protezione dei dati personali, con newsletter n. 406 del 28 settembre scorso, ha riaffermato la segretezza delle comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro. Per queste ragioni, con provvedimento doc. web 4211000 del 4 giugno 2015 (vedi link sotto) il Garante ha accolto il ricorso proposto da una dipendente che lamentava l’illecita acquisizione di conversazioni telematiche poste poi alla base del suo licenziamento.

Si tratta di una notizia particolarmente interessante per le imprese di pulizia/ servizi integrati/ multiservizi, che operano si più cantieri difficili da monitorare costantemente. Il tema in oggetto, poi, diventa ancora più attuale alla luce delle moderne strumentazioni fornite dalle imprese ai dipendenti, come applicazioni per tablet e cellulari atte ad agevolare il lavoro degli operatori in particolari cantieri (pensiamo ad esempio alle pulizie in albergo, in ospedale o nella Gdo, e in generale negli ambienti complessi). Attenzione quindi a non eccedere con il controllo.

Nel caso esaminato, rileva il Garante, il datore di lavoro (una società di logistica) è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni, attuata, per sua stessa ammissione, attraverso l’installazione di un software sul computer assegnato alla dipendente in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall’azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione. Nel caso in oggetto si trattava di Skype, ma il concetto è naturalmente estensibile anche a tutte le altre forme di comunicazioni telematiche.

Una procedura, secondo il Garante, in evidente contrasto con le “Linee guida del Garante per posta elettronica e Internet” e con le disposizioni poste dall’ordinamento a tutela della segretezza delle comunicazioni, nonché con la stessa policy aziendale approvata anche dalla competente Direzione territoriale del lavoro. Pur spettando, infatti, al datore di lavoro definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali, occorre comunque che queste rispettino la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza (secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati devono essere rese note ai lavoratori), di pertinenza e non eccedenza stabiliti dal Codice privacy. Principi questi da tenere ben presenti, in considerazione del fatto che l’esercizio del controllo da parte del datore di lavoro può determinare la raccolta di informazioni personali, anche non pertinenti, di natura sensibile oppure riferite a terzi.

A seguito del provvedimento del Garante il datore di lavoro non potrà effettuare alcun trattamento dei dati personali contenuti nelle conversazioni ottenute in modo illecito, limitandosi alla conservazione di quelli finora raccolti ai fini di una eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria.

Resta semmai da discutere su cosa si intenda con la formula “nell’ambito del rapporto di lavoro”, che appare talmente generica da poter ricomprendere una casistica infinita. In attesa della successiva puntata di quello che è ormai diventato un filone da seguire con estremo interesse, il consiglio è di andare molto cauti in casi di questo genere, senza esagerare con i controlli. Utile anche la consultazione dell’articolo 23 del decreto 151 “Semplificazioni” attuativo del Jobs Act, che linkiamo sotto.

Link a newsletter Garante privacy

Link accoglimento ricorso

Link decreto Semplificazioni Jobs Act

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