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Appalti in tilt fra revisione prezzi e scelta del Ccnl da applicare

Torniamo ad occuparci di temi spinosi ma di grande interesse per le imprese del settore pulizie/ multiservizi/ servizi integrati: quelli, strettamente connessi, della revisione dei prezzi e della scelta del contratto collettivo da applicare agli appalti. Argomenti che stanno diventando talmente intricati che addirittura due “prime voci” della scena, ossia l’Autorità Anticorruzione (Anac) e la giurisprudenza, cantano in contrasto fra di loro: è quanto sottolineato in un recente intervento su un noto quotidiano, che dopo aver inquadrato la vexata quaestio fa luce su una evidente dissonanza fra i recenti orientamenti di Anac e la giurisprudenza amministrativa.

Un sistema in tilt

Al di là dei tecnicismi e del giuridichese, ciò che qui ci interessa rilevare è che la questione sta forse… sfuggendo di mano, tanto che nemmeno chi dovrebbe dirimerla univocamente riesce, nei fatti, a mettersi d’accordo. Un segnale allarmante di un sistema ormai in tilt: in gergo da bar si potrebbe dire che ci siamo “incartati”. D’altra parte sono diversi i problemi che ruotano intorno al macrotema dei prezzi nelle gare d’appalto (e che, guarda caso, non fanno che alimentare il contenzioso, dilatando i tempi a dismisura in spregio allo sbandierato “principio del risultato” del nuovo codice 36/23).

L’art. 11 del Codice appalti

Peraltro è lo stesso Codice a rendere complicate le cose, se si pensa al dovere, in capo alle stazioni appaltanti, di individuare il contratto collettivo “leader” per disciplinare i rapporti di lavoro nell’esecuzione di un servizio oggetto di appalto (art. 11). Anche perché lo stesso articolo consente, in ogni caso, l’indicazione di un differente contratto collettivo a patto che vi sia una equivalenza di tutele, economiche e normative, rispetto a quello benedetto dalla committenza (principio dell’equivalenza contrattuale). E vedremo il caos che ne deriva.

Il “principio di applicazione” dei Ccnl

Come sappiamo, l’art. 11 del codice dei contratti pubblici, rubricato “Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore” -dunque parte integrante dei 12 principi-cardine del 36- ha previsto che “al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”.

Ma quanto è difficile…

Ora, se pensiamo a quanto sia difficile individuare il contratto “leader” in un Paese in cui al Cnel risultano depositati, al 31 dicembre 2024, qualcosa come 1037 contratti collettivi, già ci rendiamo conto delle dimensioni del problema. Senza contare il già citato “principio dell’equivalenza” (ossia la facoltà di individuare un contratto equivalente), perché, come ricorda sempre Anac nella delibera n. 75 del 3 marzo scorso, “la ratio che sorregge gli obblighi normativamente imposti dall’art. 11 del Codice, tanto sulla stazione appaltante (individuazione negli atti di gara del CCNL applicabile) quanto sull’operatore economico (dimostrazione, in caso di applicazione di un diverso CCNL, che siano garantite tutele normative ed economiche equivalenti) è da ricercarsi nella duplice volontà del legislatore di apprestare un’adeguata tutela ai lavoratori impiegati nell’appalto e di garantire la corretta esecuzione della commessa …  attraverso una vincolante connessione funzionale delle stesse con i profili professionali più appropriati”.

Ma è davvero così?

Ora, non convince troppo l’ultima argomentazione, in quanto la buona riuscita della commessa non può necessariamente essere legata alla scelta di un determinato contratto: vi sono professionalità che possono astrattamente essere ricondotte alle figure professionali riportate nella declaratoria di diversi contratti collettivi, e in questo caso il contratto Multiservizi è forse uno fra gli esempi più eclatanti, poiché strumento “trasversale” a diversi settori (pensiamo ad esempio ai servizi di movimentazione e trasporto, a quelli di pulizia e riassetto in hotel, alla guardiania e vigilanza ecc.). E in questo ultimo caso, volendo garantire le condizioni complessivamente più vantaggiose, si dovrebbe operare un “mix” fra i contratti considerando di uno la parte economica, dell’altro quella giuridica e così via. Un mosaico pressoché impraticabile. 

Un principio vago e retorico

Ma non è l’unica cosa da dire sul principio generico, vago e un po’ retorico principio dell’equivalenza, ossia -come dicevamo- il fatto che se l’impresa vuole partecipare ad una gara di appalto pubblico utilizzando un contratto (comparativamente maggiormente rappresentativo ma differente da quello indicato dalla SA), dovrà dichiarare la sussistenza di una equivalenza di condizioni economiche e normative del proprio contratto.

Eterogenesi dei fini…

Come sempre si assiste alla più classica dell’eterogenesi dei fini: se da un lato, infatti, la finalità meritoria è quella di tutelare le condizioni di lavoro (ed evitare che le offerte si schiaccino troppo sui prezzi a discapito degli operatori), dall’altro si può ben comprendere come, nella stessa impostazione di fondo -oltre che nei dettagli- non si assisterà mai alla perfetta equivalenza di due Ccnl. Le tutele e i trattamenti che due contratti diversi potranno offrire non saranno mai equivalenti, ed è difficile anche stabilire oggettivamente se uno sia meglio o peggio dell’altro.

Idee chiare? Macché

Per limitarci alle fonti più recenti: neppure l’Anac, nel parere di precontenzioso n. 14 del 2025 (che sancisce che il giudizio finale di non equivalenza del CCNL offerto dall’operatore con il CCNL indicato negli atti di gara, è rimesso alla discrezionalità della Stazione appaltante ed è sindacabile dall’Autorità solo per vizi di macroscopica irragionevolezza o illogicità), riesce a mettere in evidenza tutti gli elementi che determinano o meno l’equivalenza di un contratto con un altro: ad esempio non si interessa delle clausole sociali, elemento molto importante nell’analisi delle tutele contrattuali.

Non esistono contratti uguali

Fra gli elementi di comparazione sono indicati, sul piano economico, la retribuzione globale percepita (comprensiva di tutti gli elementi), e su quello giuridico la valutazione di una serie di istituti quali il numero massimo di ore di lavoro straordinario previste dai due CCNL posti in comparazione, la disciplina del lavoro supplementare, la durata del periodo di prova e del preavviso, la disciplina delle ex festività soppresse, la disciplina della malattia e infortunio, sia come durata del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, sia come integrazione economica, la disciplina della maternità, il monte ore di permessi retribuiti, le norme in materia di bilateralità, previdenza integrativa e sanità integrativa. Che dire però di un contratto che prevede un trattamento di malattia più interessante a fronte di un minore periodo di comporto? Anche questo è un problema… E sul preavviso? E sul patto di prova? Cosa pensare di contratti che, a fronte di maggiori retribuzioni, offrono tutele di stabilità più incerte? Eccetera eccetera. 

Non è che siamo in un vicolo cieco?

Insomma, si potrebbe andare avanti all’infinito, ma la questione è fin troppo chiara: al di là di tante leggi, regolamenti, note, sentenze, ordinanze e pareri, la realtà è che forse ci si sta infilando in un vicolo cieco dal quale uscire sarà sempre più difficile. Occorre una presa di posizione netta che garantisca da un lato la tutela del lavoro e della concorrenza corretta e leale, dall’altra, tuttavia, la libertà imprenditoriale nella scelta degli strumenti contrattuali ritenuti più adeguati: se si prosegue su questa strada, l’impressione è che a vincere sarà solo il contenzioso.

Link Anac Parere 2 aprile 2025

Link delibera Anac 75/25

Link parere Anac 14 del 2025

Link dlgs 36/23

 

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