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Appalti: corto circuito clausole sociali

“Corruptissima re publica plurimae leges” sentenziava Tacito. Ovvero, il proliferare di norme, leggi e regolamenti è segnale di un sistema eccessivamente complicato e dunque poco trasparente. Ora, senza lasciarsi andare al pessimismo disfattista del celebre storico latino, è un po’ quello che rischia di succedere nel nostro Paese, e più in particolare nel settore dei servizi, dove il susseguirsi di interventi normativi rischia di creare un quadro quantomeno contraddittorio su questioni anche molto importanti.

Prendiamo il caso del nuovo Codice dei Contratti pubblici, appena varato e rubricato come dlgs 36 del 31 marzo 2023, che entrerà pienamente in vigore il 1° luglio prossimo. Ancor prima di essere realmente applicato mostra già le prime “crepe”. Facciamo un esempio concreto, e leggiamo l’articolo 57 in parallelo con il successivo 108. Diciamo subito che entrambi si occupano di clausole sociali, ma chi li leggesse uno dopo l’altro non potrebbe non accorgersi della contraddizione. Il primo testualmente recita così: “Per gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate, la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore”.

Poco sotto, l’articolo 108, uno dei “cuori tematici” del Codice perché legifera sui criteri di aggiudicazione (fa parte del Titolo V, appunto sulla Selezione delle offerte), ripristina i criteri premiali per le aziende che anche attraverso un’autocertificazione promuovono la parità di genere (detto in maniera semplice, il cosiddetto “bollino rosa”). Al comma 7 si legge infatti: “Al fine di promuovere  la  parita’  di  genere,  le stazioni appaltanti prevedono nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti,  il  maggior  punteggio  da  attribuire  alle   imprese   che attestano, anche a  mezzo  di  autocertificazione,  il  possesso  dei requisiti  di  cui  all’articolo  46-bis  del   codice   delle   pari opportunita’ tra uomo e donna,  di  cui  al  decreto  legislativo  11 aprile 2006, n. 198”.

Il fatto è che le due previsioni, come è stato notato da più parti, entrano facilmente in conflitto:  se infatti da un lato si conservano i livelli occupazionali è evidente che non si può agire per un rinnovamento della forza-lavoro in chiave di pari opportunità. I due obiettivi sono in palese conflitto: non se ne può rispettare uno senza violare l’altro e viceversa, perché è evidente che è molto difficile rispettare le clausole sociali, che di fatto tendono a mantenere lo status quo, e al contempo svecchiare la forza-lavoro del settore.

Ma c’è addirittura chi si spinge oltre: non sono in pochi infatti a vederci in controluce il preciso intento di rendere più complicata la vita delle imprese e delle stazioni appaltanti, alimentando artatamente il livello del contenzioso. Cui prodest? ci si potrebbe chiedere, sempre alla latina. Ma la vera domanda, sul versante pratico, è la seguente: come deve comportarsi concretamente un’impresa? Cosa dovrà privilegiare? Quale aspetto sarà prioritariamente da considerare, e come potranno le clausole sociali non costituire un ostacolo alla competitività dell’impresa in sede di aggiudicazione?

Ma non è l’unico punto di domanda. Scendendo ancora oltre, al comma 9 dello stesso articolo 108. Vi si sancisce che “nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”. Un obiettivo sacrosanto, che però fa a pugni -almeno in potenza- con la (tanto invocata) liberalizzazione del subappalto, che rende davvero difficile una verifica puntuale sull’applicazione delle disposizioni contrattuali e sul rispetto effettivo delle norme sulla salute e la sicurezza. Con il rischio che la ratio legis resti solo sulla carta, mentre in realtà apra il campo a fenomeni diametralmente opposti. Insomma, altro che snellimento e semplificazione! Non resta che attendere la fase applicativa, per trarne le prime conclusioni.

Link alla Gazzetta Ufficiale

 

 

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