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Pandemia e pulizia, abbiamo davvero imparato la lezione?

Il recente Rapporto Ipbes, elaborato dai massimi esperti mondiali di biodiversità, pone l’accento sulla prevenzione e spiega cosa fare in questa nuova era pandemica. Ma nel settore delle pulizie, nonostante quanto abbiamo visto nella prima ondata di Covid, sembrano continuare i brutti vizi del passato, tra massimo ribasso e mancati rinnovi contrattuali. Produttori e imprese sono pronti ad affrontare la situazione, ma ci sono le condizioni per farlo nel modo migliore? 

Cosa stiamo imparando (davvero) da questi lunghi mesi di Covid-19? Si può già parlare con buona ragione di nuova “era delle pandemie”, e se sì, cosa ci aspetta in futuro?

Il rapporto Ipbes

Stando al recentissimo Rapporto Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, autorità scientifica su natura e biodiversità che ha sede a Bonn e fa capo all’Onu,  nuove pandemie potrebbero affiorare con maggiore frequenza in futuro, propagarsi più rapidamente, addirittura provocare maggiori danni alle economie mondiali e più morti del Covid-19, che a conti fatti è la sesta pandemia planetaria in poco più di un secolo, vale a dire dall’anno funesto 1918 in cui scoppiò la drammatica “spagnola”.

Un secolo senza precedenti (in tutti i sensi)

E’ molto chiaro in questo senso Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, uno degli autori principali del rapporto: “Le attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità sono le stesse che, attraverso i loro impatti sul nostro ambiente, conducono al rischio pandemico”. L’ultimo secolo, del resto, è stato un periodo di accelerazioni senza precedenti sul piano economico, con i conseguenti impatti ecologici ed ecosistemici.

Gli strumenti per uscirne

Fra gli strumenti di prevenzione, oltre alla riduzione del contatto con la fauna selvatica (per scongiurare o almeno ridurre il rischio di zoonosi o, ancor più tecnicamente, “spillover”), c’è il contenimento di tutte quelle attività umane che causano la perdita di biodiversità, con una maggiore attenzione al mantenimento delle aree naturali e allo sfruttamento delle regioni del pianeta caratterizzate da un alto grado di biodiversità. Insomma, come abbiamo dato prova di poter governare il cambiamento verso lo sviluppo di attività economiche, industriali e commerciali evolute, così ora è il momento di dimostrare di essere in grado di farlo anche in un altro senso, che è quello dell’attenzione e della prevenzione. E’ un fatto economico oltre che sociale, anche perché  prevenire le malattie può avere costi fino a cento volte inferiori rispetto alla cura con vaccini e terapie. Senza contare che affrontare le patologie, soprattutto quelle infettive e pandemiche, una volta che sono comparse, si rivela sempre un percorso “lento ed incerto”, con una diffusa sofferenza umana e decine di miliardi di dollari l’anno di danni all’ economia globale (si parla di 16 trilioni di dollari Usa a luglio 2020, una cifra che potrebbe essere aggiunta nei soli Stati Uniti già nei primi mesi dell’anno prossimo).

Parola chiave “prevenzione”

Addentrandoci ancora di più nella pars construens, tra le proposte più concrete troviamo  quella di istituire una commissione intergovernativa di alto livello sulla prevenzione delle pandemie con il compito di dialogare con i governi,  garantire che il costo economico delle pandemie sia preso in considerazione nei processi di produzione e consumo e ovviamente nelle politiche governative, favorire le trasformazioni necessarie per ridurre i modelli di consumo, ridurre i rischi di malattie zoonotiche nel commercio internazionale di specie selvatiche, valorizzare la conoscenza delle popolazioni indigene e delle comunità locali, conoscere meglio ed essere maggiormente sensibili sui comportamenti   in relazione al rischio di insorgenza di malattie e migliorare la comprensione dello stretto rapporto tra degrado dell’ecosistema e rischio di comparsa delle patologie infettive.

“Pulire” fa rima con “prevenire”

Fin qui, tutto bene. Ma cosa sta accadendo sul piano concreto in uno dei settori cruciali sul versante prevenzione: quello della pulizia/ multiservizi/ servizi integrati. Già perché come abbiamo (o dovremmo avere) ben capito, in questo scenario “pulire” fa rima -è proprio il caso di dirlo- con “prevenire”. E qui iniziano le note dolenti, o perlomeno agrodolci. Il fatto è che se da un lato il mondo del cleaning è prontissimo, sia da parte dei produttori che sul versante imprese,  dall’ altro non si può dire che tante “cattive abitudini” che da sempre, proprio come una pandemia dilagante, “infettano” il settore.

Torna il “massimo ribasso”

Parliamo di cattive abitudini consolidate come quella del massimo ribasso, o meglio, dell’offerta economicamente più vantaggiosa che gira e rigira, alla fine, si trasforma comunque in una gara sul prezzo con enorme detrimento della qualità del servizio e delle condizioni di lavoro degli operatori già fiaccati da mesi di “prima linea”. Emblematico è il caso del recente cambio d’appalto all’ospedale San Matteo di Pavia, dove -a quanto raccontano i media generalisti- gli oltre 150 addetti alle pulizie nelle corsie, dopo mesi a fronteggiare il virus laddove il rischio era massimo, si sono visti ridurre le ore lavorative, e non di poco, dall’ impresa subentrante. E’ questo un esempio di quanto si è ripetuto più volte in altri nosocomi in giro per l’Italia. Un taglio che ha l’amaro sapore di una beffa, dopo che tanto si è detto e predicato sulla centralità della pulizia e dell’igiene nella lotta al virus, e dopo che gli stessi addetti alle pulizie erano stati più volte equiparati a “eroi” quotidiani, accanto agli operatori sanitari.

Il settore è pronto, ma…

Ma come? Eppure i prodotti ci sono, le macchine, le attrezzature e i formulati adeguati non mancano e, anzi, in questo periodo la ricerca e la produzione sono andate avanti adeguandosi alla situazione in essere. Lo abbiamo testimoniato su queste pagine parlando di soluzioni innovative, di prodotti ad hoc per assicurare la massima igiene e disinfezione degli ambienti, di produttori capaci nel giro di poche settimane di “riconvertirsi”, almeno in parte, per fare fronte alle nuove esigenze di sanificazione ambientale. Da parte delle imprese la professionalità non manca, l’esperienza e la capacità di intervenire in modo corretto e mirato per prevenire i rischi c’è sempre, così come vale sempre il consiglio (che in alcuni ambiti è un must) di rivolgersi a professionisti.

Non mancano le professionalità e i protocolli operativi

E ancora: i protocolli operativi ci sono, le procedure sono ormai rodate e validate. Il punto, però, non è questo, ma se queste soluzioni si possano davvero applicare correttamente. E qui i dubbi si fanno decisamente più profondi, tanto da diventare quasi scomode certezze. Quello che sembra mancare, purtroppo, sono ancora una volta la cultura e la sensibilità, nonostante il gran parlare che si è fatto e le entusiastiche ovazioni alla centralità e alla tanto attesa emersione del settore.

Un contratto scaduto da anni

Un’altra dimostrazione di questa “indifferenza” ce l’abbiamo “in casa”, e si chiama CCNL Multiservizi. Un contratto collettivo scaduto ormai da quasi otto anni, e di cui si attende il rinnovo come fosse una chimera sempre più lontana. Ora, quale riconoscimento si può pretendere quando lo stesso contratto che regola il lavoro della categoria viene lasciato a “fare anticamera” per quasi un decennio, in un settore che, come sappiamo, ha nella manodopera il suo più grande valore? Siamo punto e a capo, o quasi. E anche se la buona volontà di cambiare lo stato di cose, da parte degli addetti ai lavori, non manca di certo, questa si deve scontrare quotidianamente contro una realtà che, purtroppo, si dimostra ancora refrattaria.

Le azioni concrete

Detto questo, cosa si può fare in concreto? Il singolo forse poco. Ma ricostruire insieme una filiera solida, dialogare con i decisori politici, riaffermare il valore assoluto del lavoro di chi pulisce e sanifica gli ambienti, sconfiggere la cultura del prezzo più basso, trasmettere l’importanza della qualità sono cose che non possono aspettare. Spetterebbe ora alle parti sociali chiudere presto un dignitoso contratto, alla politica mettere a disposizione risorse adeguate e all’opinione pubblica continuare in quel processo di valorizzazione del settore che, per quanto lentamente e per gradi, è destinato a dare i suoi frutti. In poche parole: sarebbe il caso che il patrimonio di credibilità e considerazione raccolto durante la prima ondata di pandemia non andasse perduto.

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