Quello del cosiddetto “patto di prova” (o, più propriamente, assunzione in prova) è un tema che ultimamente “tiene banco” nelle stanze dei giudici del lavoro, fino alle aule romane della Suprema Corte. Proprio lì è arrivato il caso affrontato dalla Cassazione e sfociato nell’ordinanza n. 15326 del 9 giugno, in cui si afferma che ai fini della validità del patto è possibile individuare le mansioni oggetto della prova mediante il richiamo alla contrattazione collettiva.
Il caso affrontato
Ma facciamo un passo indietro ed esploriamo il caso affrontato: una dipendente assunta in prova e poi non confermata lamentava in giudizio l’eccessiva genericità delle mansioni indicate, che avrebbe reso nullo il patto stante il dettato dell’art. 2096 del Codice civile: in particolare si doleva della non corrispondenza delle mansioni indicate nel contratto di assunzione come operatrice di back office e contact center, rispetto ai profili professionali del contratto collettivo applicabile, nella fattispecie il Ccnl “coop sociali”.
Recesso confermato anche in appello
Sennonché il recesso era stato confermato sia in primo sia in secondo grado, in quanto la tesi della validità del patto di prova era supportata dalle mansioni individuate con riferimento alla contrattazione collettiva: si parla in questi casi di individuazione per relationem. La Suprema Corte, confermando la validità del patto in questione, ha rigettato il ricorso statuendo che “È legittimo il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, se il patto specifica le mansioni da svolgere tramite il richiamo alla contrattazione collettiva e alla categoria di appartenenza”.
La funzione del periodo di prova
Duplice è, secondo i giudici, la funzione dell’assunzione in prova: da un lato permette al datore di valutare l’idoneità del lavoratore alle mansioni, dall’altro consente al dipendente di verificare la convenienza del rapporto (si veda fra l’altro l’ordinanza di Cassazione 6230 di quest’anno). Da qui la verifica dell’effettiva correttezza del patto, valido solo se le mansioni specifiche vi sono indicate (il che è razionale: come posso valutare l’adeguatezza del prestatore se non ho stabilito le mansioni specifiche che deve svolgere?), anche mediante richiamo alla disciplina pattizia, cosa che in questo caso è effettivamente accaduta: la Cassazione tuttavia non si accontenta del riferimento alla categoria contrattuale, ma richiede l’indicazione specifica del profilo professionale.
Il richiamo al Ccnl, specifico e dettagliato
Secondo i Giudici di legittimità, quest’ultima può ben essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, ma in modo specifico e dettagliato. Tali principi, più volte oggetto di giurisprudenza anche recente, richiamano l’articolo 2096 del Codice civile. Torniamo in conclusione alla realtà delle imprese di pulizie/ multiservizi/ servizi integrati: se si passa ad analizzare il Ccnl Multiservizi (che disciplina il periodo di prova all’art. 8), emerge fra l’altro che quest’ultimo contempla un ventaglio di servizi molto più ampio delle semplici attività di pulizia, inducendo il datore che si volesse richiamare alle declaratorie contrattuali a dettagliare con precisione le attività oggetto della prova. Attenzione dunque a non cadere in facili superficialità che possono giocare brutti scherzi in sede di giudizio.
Link Ordinanza 15326/25 Cassazione