Uno pari e palla al centro, si potrebbe dire a proposito dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 9831 del 15 aprile scorso. La Suprema Corte torna “salomonicamente” sul tema controverso delle ferie non fruite, stavolta in relazione a quello -altrettanto dibattuto- del comporto, ossia del limite di assenze superato il quale scatta il recesso.
Il principio sancito dalla Suprema Corte
Nella sostanza, secondo gli Ermellini, il lavoratore assente dal lavoro per malattia può chiedere la fruizione delle ferie maturate e non godute per sospendere il decorso del periodo di comporto ed evitare il licenziamento per superamento dello stesso. Tuttavia, tale facoltà del lavoratore non fa automaticamente insorgere un obbligo datoriale di accettare la richiesta qualora ricorrano concrete ragioni organizzative di natura ostativa. La Cassazione afferma inoltre che la richiesta della mutazione del titolo dell’assenza da malattia in ferie non può avvenire né prima (quando lo stato patologico non esiste), né dopo, quando il comporto è stato superato con la pretesa di sottrarre, a consuntivo, i giorni di ferie non goduti.
I fatti di causa
Il fatto è di particolare interesse per le imprese di pulizia/ multiservizi/ servizi integrati, che operano in un comparto ad altissima incidenza di manodopera e a forte tasso di assenteismo (uno dei problemi endemici del settore). In particolare, una lavoratrice impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatole per superamento del periodo di comporto, lamentando che il datore aveva rifiutato di accordarle un periodo di ferie che, qualora fruite, avrebbero sospeso il computo del comporto stesso, sulla base di una giustificata ragione dettata da motivi organizzativi: una pretesa rigettata nei gradi di merito, sul presupposto (poi sostanzialmente confermato in legittimità) che il datore non è obbligato a concedere le ferie durante il periodo in cui il ricorrente non era in malattia.
Gli Ermellini concordano con l’Appello
Nell’avallare la pronuncia d’Appello, la Corte di Cassazione – sez. Lavoro rileva che il diritto del lavoratore a mutare il titolo dell’assenza, postula di due condizioni che risultano entrambe assenti nel caso di specie. Si legge in ordinanza che “il lavoratore, al fine di procedere con detta richiesta, da un lato, si deve trovare in malattia e, dall’altro, deve chiedere di fruire delle ferie per interrompere il comporto oppure, al contrario, di interrompere le ferie al posto della sopravvenuta malattia”.
Recesso legittimo
Alla luce di ciò, secondo i Giudici di legittimità, non può ravvisarsi un diritto del lavoratore alla mutazione del titolo dell’assenza, allorquando la richiesta di ferie sia avvenuta non durante un periodo di malattia e, quindi, sia soggetta alle regole ordinarie. E’ su tali presupposti che la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla lavoratrice, confermando la legittimità del recesso irrogatole.
Importante mantenere la buona fede contrattuale
Dunque se da un lato appare lecito per il lavoratore invocare le ferie ad interruzione del comporto (ma non dopo, una volta superatone il periodo), dall’altro non è automatico che le medesime debbano essere concesse dal datore, il quale ha piena facoltà di valutare la concreta situazione organizzativa dell’impresa. Il suggerimento che ci sentiamo di dare, in ogni caso, è di prestare attenzione ai casi-limite come quello qui discusso, e mantenere sempre un atteggiamento di disponibilità, apertura e buona fede sinallagmatica, onde evitare di incappare in spiacevoli -e sfiancanti- contenziosi.