La mancata fruizione del riposo compensativo determina un danno non patrimoniale ma comunque risarcibile. Una rapida disamina normativa, ma soprattutto i più recenti orientamenti giurisprudenziali, non lasciano più dubbi: trattasi di danno “da usura psicofisica”. Vediamoci più chiaro.
L’art. 36 della Costituzione
Nell’ambito del diritto del lavoro, un aspetto molto discusso è quello legato al cosiddetto riposo compensativo, ossia il permesso di astenersi dal lavoro per “recuperare” ore lavorative svolte in quantità superiore a quella ordinaria prevista e retribuita da contratto. Si tratta di una previsione di legge che trova fondamento nella stessa Costituzione. Secondo l’art. 36, infatti, “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro… La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge”.
L’obbligo civilistico di garantire la sicurezza
Non lascia dubbi nemmeno la disciplina civilistica enucleabile dal ben noto art. 2087 del Codice Civile che sancisce la cd. “obbligazione” o “debito” di sicurezza: “L’imprenditore e’ tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarita’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei prestatori di lavoro”. L’obbligo di tutela del datore di lavoro include la vigilanza sull’effettiva fruizione dei riposi settimanali.
Ma questo danno è risarcibile o no?
Il punto però è: questo danno, che non ha evidentemente natura patrimoniale, è o non è effettivamente risarcibile? La mancata osservanza della norma, in altre parole, fa scattare in capo al datore il dovere, qualora adito in giudizio e soccombente, di rimborsare il lavoratore? La risposta è sì, e una seppur non esaustiva disamina normativa e giurisprudenziale basta a fugare ogni dubbio. Vale la pena fare il punto perché troppo spesso la questione viene sottovalutata da parte datoriale, nella convinzione (erronea) che “cosa fatta capo ha” e una volta svolto il lavoro e non fruito del riposo non ci sia più nulla da pretendere. Negli ultimi anni i pronunciamenti giurisprudenziali, anche alla luce delle disposizioni europee in materia, hanno invece tracciato precisi confini, dunque è necessaria la massima attenzione al problema.
Il “danno da usura psicofisica”
La questione-chiave riguarda il riconoscimento -e dunque la risarcibilità monetaria- del “danno da usura psicofisica”, ossia un danno non patrimoniale derivante dal mancato rispetto dei riposi minimi. Il “danno da usura psicofisica”, emerso all’attenzione dei giudici in tempi relativamente recenti, è stato qualificato dalla giurisprudenza come un danno non patrimoniale distinto dal danno biologico, derivante dalla violazione continuativa dei riposi minimi previsti dalla legge e dalla disciplina pattizia.
Un inadempimento contrattuale (anche se il lavoratore è d’accordo)
In questo caso la Cassazione ha ritenuto che il danno fosse dimostrato dalla frequenza e dalla durata delle violazioni, e che non potesse essere compensato con riposi concessi in modo sporadico o in maniera non conforme alla normativa. Come accade per ogni fattispecie di responsabilità di natura “contrattuale”, la dimostrazione del mancato rispetto dei turni e dei riposi è elemento sufficiente a provare l’inadempimento datoriale e il danno subito, senza che l’eventuale consenso del lavoratore possa valere quale concorso al danno stesso. Dunque attenzione anche quando -e capita non di rado- il lavoratore è d’accordo o fa mostra di esserlo: non vale in quanto trattasi di diritto “indisponibile”.
Risarcimento equitativo
Per la Suprema Corte, in sostanza, il superamento dell’orario di lavoro (specie se reiterato e costante) provoca un danno presunto che non richiede una prova specifica del nocumento subito, da risarcirsi equitativamente in considerazione della gravosità della prestazione lavorativa e della durata della violazione nella concessione dei riposi. Una volta accertata la violazione del diritto al riposo, spetta al datore dimostrare eventuali fatti impeditivi, come la concessione di riposi compensativi adeguati. Torna dunque la tipica sintomatologia della natura contrattuale dell’inadempimento, ossia l’inversione dell’onere probatorio dal danneggiato al danneggiante.
Attenzione alle superficialità: possono costar care
Alla luce di tutto questo, non è difficile comprendere come l’obiettivo perseguito sia una maggiore responsabilizzazione della parte datoriale, che è così tenuta a garantire una corretta gestione dei turni di lavoro e la fruizione di riposi da parte dei dipendenti. Quest’ultimo è infatti ritenuto un elemento indispensabile a garantire il recupero delle energie psicofisiche del lavoratore e, dunque, la sicurezza non solo di questi ultimi, ma anche degli utenti finali (ciò vale anche per il settore delle pulizie/servizi integrati/ multiservizi, visto che l’igiene, specialmente in ambienti a rischio, è strettamente legata alla sicurezza di tutti – lo abbiamo visto e toccato con mano con il Covid).
Una sentenza “pilota” su un diritto “indisponibile”
Una recente sentenza degna di menzione, anche perché vi si effettua un’ampia ricognizione dei più interessanti pronunciamenti degli ultimi anni, di merito come di legittimità, relativi a diversi settori, è la n. 5983 del 5 dicembre 2024, Tribunale di Milano. Il Tribunale, sulla scia della giurisprudenza di merito e di Cassazione, conferma l’obbligo del datore di lavoro di riconoscere ai propri dipendenti il diritto a fruire del riposo compensativo rispetto alle giornate in cui hanno reso prestazioni in regime di reperibilità domenicale, a prescindere da una richiesta, trattandosi, come accennato sopra, di diritto indisponibile.
Non bastano gli straordinari
Ove sia necessaria l’effettiva prestazione lavorativa nel corso della reperibilità, il datore di lavoro, oltre ad erogare la maggiorazione relativa al lavoro straordinario prestato, deve garantire anche il recupero del giorno di riposo (non bastano dunque gli straordinari). La mancata fruizione del riposo settimanale è lesiva di un diritto fondamentale che deve essere rispettato per tutelare il benessere fisico e psichico dei lavoratori e che è irrinunciabile; tale violazione comporta un danno non patrimoniale da usura psicofisica per il lavoratore, con il conseguente diritto al risarcimento.
Tribunale di Salerno, fine 2024
Sullo specifico danno da “usura psicofisica”, negli stessi mesi, si è pronunciato con analogo orientamento anche il Tribunale di Salerno il 31 ottobre 2024 (che torna fra l’altro sull’insufficienza di corrispondere il trattamento economico “straordinario”): “Accertata in tali termini la responsabilità contrattuale (ex art. 2087 c.c.) del datore per il mancato rispetto dell’obbligo di garantire, nell’arco di tempo decorrente …. , al dipendente i riposi prescritti dalla legge, può pertanto essere riconosciuto in favore di quest’ultimo il risarcimento del danno non patrimoniale da usura psicofisica che nella presente fattispecie, quanto all’ “an”, avuto riguardo alla frequenza dei mancati riposi ed alla durata del complessivo periodo di riferimento, può ritenersi presunto e certamente non integralmente ristorato dalla documentata (e pacifica) corresponsione in favore del dipendente della maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro prestato nella giornata coincidente con il riposo settimanale (Cass. 1884/2019, Cass. 18390/2024)”.
Occhio alla gestione dei turni e dei carichi di lavoro
Proprio con la sentenza 18390 dello scorso anno gli Ermellini hanno detto una parola decisiva sulla questione, ribadendo il diritto dei lavoratori al risarcimento per danno da usura psicofisica. Una decisione che rafforza l’obbligo dei datori di lavoro al rispetto delle disposizioni europee, incentivando ad esempio una gestione conforme dei turni di lavoro (importante nel nostro settore), per evitare che sicurezza stradale e salute psicofisica dei lavoratori vengano compromessi. Non ci resta che ribadire una volta di più la necessità di evitare ogni tipo di superficialità in materia.
Link Trib. Milano sent. 5983/24
Link sentenza Trib. Salerno 31/10/2024