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Il problema del rimborso dell’IVA applicata sulla TIA.

(tratto da “Gsa Igiene Urbana” n.2, Aprile-Maggio 2010)

 

In seguito alla sentenza della Corte costituzionale che ha sancito la natura tributaria della TIA, sono partite, animate da alcune associazioni di difesa del consumatore, le richieste di rimborso dell’IVA pagata dagli utenti dei servizi di igiene urbana. La materia è assai complicata, soprattutto per quei soggetti che a loro volta hanno dedotto quell’importo dall’IVA versata all’erario. La materia avrebbe dovuto venir affrontata in sede legislativa, ma finora nulla è stato fatto

 

Scopo del presente articolo è – al di là del mitridatizzare il lettore dall’uso sempre più frequente degli acronimi anche nella lingua italiana – cercare di chiarire alcuni dubbi interpretativi rimandati nel precedente intitolato “Le conseguenze della configurazione della TIA come tributo”.

Un breve remainder.

Dopo una lunga vertenza, la Corte Costituzionale ha finalmente decretato – con la sentenza n. 238 del 24 luglio 2009 – la natura tributaria della Tariffa di Igiene Ambientale, in arte TIA; sentenza peraltro recentissimamente confermata dalla medesima Corte con l’ordinanza n. 64 del 24 febbraio 2010.

Una delle naturali conseguenze della nuova qualificazione tributaria della TIA è la sua irriconducibilità a corrispettivo da assoggettare a tassazione ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto, in breve IVA.

Questo per il futuro.

Per il passato, la sentenza ha comportato la nascita del diritto – per chi si sia visto applicare illegittimamente l’IVA sulla TIA – di chiederne il rimborso.

E qui sono nati i dubbi e le cautele da parte degli interpreti di questa difficile materia.

Dubbi peraltro condivisi al massimo livello, laddove si pensi che anche il Governo, nella risposta all’interrogazione n. 5-01972 del 21 ottobre 2009 presentata dagli onorevoli Negro e Fugatti con risposta del Sottosegretario Folgora ha rilevato l’esistenza di notevoli problematiche, attinenti tra le altre alla definizione di una procedura che semplifichi le procedure di rimborso agli utenti dell’imposta addebitata illegittimamente”.

E’ inutile dire che i seguenti quattro mesi sono trascorsi nell’inerzia del Governo, tanto che a preoccuparsi sono stati i Comuni, ossia gli enti che hanno illegittimamente applicato l’IVA e che adesso temono di doverla rimborsare.

In particolare, con Circ. prot. 15/FL/AR/SS/mf10 del 2 marzo 2010 e “in assenza di qualsiasi  provvedimento legislativo cha abbia recepito le  indicazioni  fornite dalla Corte e di qualsiasi  indicazione da parte degli organi istituzionali interessati (Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ministero dell’Ambiente,  Agenzia delle Entrate)”, l’ANCI – Associazione Nazionale dei Comuni Italiani – ha prudenzialmente messo le mani avanti.

Con riferimento alle istanze di rimborso, l’ANCI ha infatti evidenziato che “la pubblicazione della  sentenza  ha  comportato  l’immediata  presa  di posizione delle  associazioni  dei  consumatori  che  hanno  consigliato  la richiesta di rimborso dell’Iva versata e che  alla  luce  delle  indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale non avrebbe dovuto gravare sugli  utenti. Senza entrare nel merito di una questione che presenta  molteplici  e  assai complessi aspetti, ANCI ritiene che il problema del rimborso  dell’IVA agli utenti non possa essere un problema dei  Comuni  e  delle  loro  Aziende  in  quanto gli  stessi,  agendo  di  fatto  come  sostituti  di  imposta,  hanno riversato allo Stato gli importi riscossi a  tale  titolo.  Al  riguardo  si ricorda  che  l’Agenzia  delle  entrate,  richiesta  di  un   parere   circa l’assoggettamento o meno all’IVA della TIA, pur a fronte  di  consistenti  e argomentate motivazioni e numerose sentenze  della  giustizia  tributaria  a favore di una esclusione,  ha  confermato,  senza  esprimere  nessun  dubbio interpretativo al riguardo, il proprio parere a favore dell’assoggettamento. ANCI ritiene pertanto che il  problema  debba  essere  risolto  dal  Governo attraverso uno strumento legislativo che consenta una restituzione  dell’IVA non dovuta senza oneri né finanziari, né organizzativi per  i  Comuni  e  le loro aziende. Si consiglia pertanto di rispondere alle domande  di  rimborso in maniera argomentata e interlocutoria rinviando la soluzione del  problema all’emanazione di una norma di legge o di un orientamento di prassi da parte del Governo o dell’Agenzia delle entrate”.

Attenzione, va qui detto, infatti, che quello che potrebbe sembrare il solito scaricabarile all’italiana, in effetti non lo è.

Nella struttura dell’IVA, infatti, il Comune – o il concessionario del Comune – è il soggetto passivo dell’imposta, non certo il beneficiario; in altri termini, il Comune applica l’imposta, la riscuote in rivalsa sul contribuente della TIA e la versa interamente all’Erario.

In questa situazione, la richiesta di rimborso al Comune determinerebbe a cascata una conseguente richiesta di rimborso dal Comune allo Stato per l’importo corrispondente.

A tal fine, i Comuni hanno chiesto l’intervento del Governo al fine di trovare la classica soluzione politica, quella cioè che tuteli i consumatori senza pregiudicare gli interessi degli enti locali.

Ma in Italia – per paragrafare Reagan – la politica è il problema e non la soluzione, tant’è che il Governo non ha risposto all’appello (anche se a voler pensare con malizia una soluzione politica avrebbe comportato un meccanismo di rimborso più efficiente e, quindi, paradossalmente contrario agli interessi dello Stato, inteso come entità a sé stante rispetto ai cittadini..).

Ma abbandonando queste disquisizioni più teoriche, i problemi applicativi da risolvere adesso riguardano

–                     il soggetto a cui chiedere il rimborso (se l’Amministrazione finanziaria, l’Azienda di gestione dei rifiuti, gli Enti Locali);

–                     gli adempimenti da effettuare nel concreto;

–                     i termini di prescrizione (o di decadenza se si aderisse alla tesi del rimborso diretto) per la domanda di restituzione dell’imposta e, conseguentemente, gli anni per cui è possibile chiedere il rimborso.

Al riguardo, sempre evidenziando come l’incertezza interpretativa in materia renda possibile solo una ricostruzione non definitiva, si ribadisce quanto già evidenziato nel precedente scritto. In particolare,

–                     la richiesta di rimborso del contribuente consumatore finale – in attesa del sempre atteso intervento legislativo in materia – dovrebbe essere ordinariamente indirizzata al Comune o al Concessionario che ha riscosso la TIA e applicato l’IVA;

–                     la normativa riserva ai soli soggetti passivi fornitori del servizio la facoltà e l’onere di chiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA indebitamente applicata (c.d. rimborso diretto), mentre ai consumatori finali rimane solo la possibilità di chiedere ai fornitori civilisticamente la restituzione di quanto indebitamente versato (c.d. rimborso indiretto);

–                     la giurisprudenza comunitaria individua un’unica eccezione a tale principio – Corte di Giustizia 15 marzo 2007, C-35/05, Reemtsma – nel caso in cui “il rimborso dell’IVA risulta impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso di insolvenza del prestatore”;

–                     in merito al soggetto a cui indirizzare la richiesta civilistica di rimborso – se il Comune o l’Azienda di gestione – occorre primariamente verificare cosa dica in merito il Regolamento comunale relativo alla TIA. Nel silenzio del Regolamento, sarebbe opportuno indirizzare tale richiesta sia all’Azienda di gestione che all’Ente Locale;

–                     senza carattere di esaustività, tale domanda di restituzione – atta peraltro a interrompere i termini prescrizionali – dovrebbe come minimo contenere

a)   le generalità del richiedente e dell’immobile su cui insiste l’imposta;

b)   la descrizione dell’oggetto della restituzione (la quantificazione dell’IVA versata indebitamente di cui si richiede la restituzione),

c)   il titolo per la restituzione (la citazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 2009),

d)   l’intimazione alla restituzione (con l’avvertenza che in caso contrario è possibile rivolgersi all’autorità giudiziaria)

e)   l’eventuale intimazione di evitare l’applicazione illegittima dell’IVA in futuro (nel caso in cui il Comune continui ad applicarla);

f)    adeguata documentazione di supporto (ricevute di versamento, bollettini, fatture, estratti conto).

E’ opportuno evidenziare come tale richiesta possa tranquillamente essere inviata in carta semplice e a firma del contribuente, senza necessità di rivolgersi a legali o ad associazioni varie.

La natura civilistica – ossia riguardante i rapporti tra soggetto passivo e privato consumatore – della restituzione in oggetto dovrebbe inoltre servire a risolvere anche altre due problematiche operative:

a)           le annualità per le quali si può chiedere la restituzione dell’IVA;

b)           il soggetto giurisdizionale a cui chiedere tutela in caso di inerzia del soggetto tenuto alla restituzione.

In questo caso, trattandosi di diritto civile, dovrebbero infatti valere sia l’ordinario termine decennale di prescrizione ex art. 2967 del Codice Civile, rendendosi così rimborsabile l’IVA applicata con riferimento alle ultime dieci annualità della TIA (visto la relativa “novità” di questa imposta, pressoché tutte d’altronde).

E trattandosi di diritto civile, la tutela non spetterebbe alla Commissione tributaria provinciale, ma al giudice civile (come da numerose sentenze della Cassazione, vedi nn. 6419/2003, 8783/2001, 5427/2000, 5733/1998), presumibilmente – a causa dell’entità del rimborso – quello di pace.

Da ultimo, occorre evidenziare come la presente analisi affronti il problema del rimborso dell’IVA sulla TIA richiesto da “consumatori finali”, ossia da soggetti che di tale IVA sono rimasti incisi, essendogli precluso il diritto alla detrazione.

Nel caso in cui il contribuente – in qualità di soggetto passivo IVA – ha detratto l’IVA sulla TIA, la problematica è differente e molto più complessa. Basti pensare che:

a)           la detrazione è illegittima, con conseguenze astrattamente sanzionatorie (fatto salvo l’evidente legittimo affidamento sussistente nel caso in esame);

b)           conseguentemente, il rapporto tributario con il Comune o l’Azienda di gestione andrebbe regolarizzato mediante e nei limiti del meccanismo di correzione previsto dall’art. 26, d.p.r. 633 del 1972;

c)           ciò nonostante, la tutela sarebbe ancora di giurisdizione civilistica;

d)           il termine sarebbe presumibilmente quello decadenziale corrispondente a quello accertativo (solo gli anni per cui vi sarebbe interesse a rettificare la detrazione);

e)           in ogni caso, il rimborso non si risolverebbe in un vantaggio economico, controbilanciadosi ad una minore IVA a credito;

f)            il Comune o l’Azienda dovrebbe comunque a sua volta chiedere il rimborso allo Stato.

Per tutti questi motivi, in questi casi, sarebbe ancora di più ben accetto un intervento normativo o di prassi teso a chiarire il corretto comportamento che il contribuente dovrebbe tenere.

 

 Andrea Zoccali*

 * Avvocato in Milano

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