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Al privato compiti operativi di gestione

(tratto da “GSA Igiene Urbana n.1, Gennaio-Marzo 2010)

 

La nuova normativa sui servizi pubblici locali riduce drasticamente, anche se non abolisce del tutto, gli affidamenti in house. Le attività completamente controllate dagli Enti locali diventano una eccezione. Per tutte le altre viene reso obbligatorio l’ingresso di un socio privato con responsabilità anche gestionali

 

L’art. 15 d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni dalla l. 20 novembre 2009 n. 166, ha introdotto sostanziali cambiamenti al sistema di governance dei servizi pubblici locali, modificando la norma fondamentale in materia (art. 23 bis d.l. 112/1998). Si può discutere sull’opportunità dell’ennesima modifica legislativa non sistematica e che – ancora una volta – lascia l’operatore in balia di un fittissimo reticolo normativo; ma che fosse necessario dare una scossa al sistema delle public companies non pare dubbio: d’altronde, nel corso del dibattito presso le singole Commissioni della Camera dei Deputati l’opposizione ha preferito astenersi, piuttosto che dare voto contrario (non così in Aula, laddove la questione di fiducia ha naturaliter ricompattato gli schieramenti).

Nella filigrana della modifica normativa si intravede il leit motiv che ha indotto il legislatore ad intervenire: un forte pregiudizio nei confronti dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica a soggetti sostanzialmente pubblici, che è apparsa al legislatore, evidentemente, inefficiente, inefficace, e sostanzialmente anti-economica.

Peraltro, non tutti i servizi pubblici locali sono caduti sotto la scure delle modifiche normative: con la novella del 2009 sono fatte salve le discipline di settore dettate per la distribuzione di energia elettrica, per la gestione delle farmacie comunali, per il trasporto ferroviario regionale.

E’ in questa prospettiva che va letta la modifica operata al comma 2 dell’art. 23 bis d.l. 112/2008, il quale ha previsto che le modalità “ordinarie” di conferimento dei servizi pubblici locali siano due: affidamento a privati tout court, e affidamento a società a partecipazione mista pubblico/privata. In entrambe i casi è obbligatoria la gara per la selezione e dell’affidatario e del socio.

In particolare il legislatore ha colmato una lacuna normativa, definendo l’ambito di operatività dell’affidamento a società miste e ponendo dei paletti all’interno dei quali muoversi.

Viene ancora una volta confermata la natura eccezionale e derogatoria della gestione attraverso società pubbliche (cd. “in house providing”) utilizzabile solo allorché sussistano “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato” e purché la medesima abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per questo modello societario. Rispetto alle società pubbliche i limiti introdotti dal legislatore, seppure a prima vista appaiono evanescenti, richiedono una specifica motivazione, che sarà onere dell’Ente dover fornire in maniera puntuale. La finalità è evidente: scoraggiare l’aggiramento dell’ingresso del privato nella gestione. Prova ne sia il richiamo alla disciplina comunitaria in materia di in house, già puntualmente riassunta dal Consiglio di Stato, dec. Adunanza Plenaria 3 marzo 2008, n. 1. Tra Ente committente e società pubblica deve esserci il cd. “controllo analogo” ed una stretta strumentalità tra l’interesse pubblico ed i fini sociali (societari) perseguiti.

Sul concetto di “controllo analogo” la giurisprudenza ha avuto modo di precisarne sempre più la nozione, fino a pervenire agli orientamenti riassunti richiamati dall’Adunanza Plenaria citata. In particolare:

(a) La sussistenza del controllo analogo viene esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria. La partecipazione (pure minoritaria) di un’impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi [C. giust. CE: sez. II, 19 aprile 2007, C-295/05, Asociaciòn de Empresas Forestales c. Transformaciòn Agraria SA (TRASGA); 21 luglio 2005, C-231/03, Consorzio Corame; 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle]. Occorre, quindi, che l’ente possegga l’intero pacchetto azionario della società affidataria (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, n. 4440; in precedenza Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005, n. 7345 aveva ritenuto che la quota pubblica dovesse essere comunque superiore al 99%);

(b) la partecipazione pubblica totalitaria è necessaria ma non sufficiente (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04; Cons. Stato, sez. VI, 1° giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n. 1514), servendo maggiori strumenti di controllo da parte dell’ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. In particolare lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072);

(c) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale (Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514);

(d) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero (C. giust. CE: 10 novembre 2005, C-29/04, Mödling o Commissione c. Austria; 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen);

(e) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante (Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2007, n. 5).

Sempre per l’Adunanza Plenaria, si ritiene che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell’in house, occorrendo anche un’influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04, società Carbotermo e Consorzio Alisei c. Comune di Busto Arsizio).

Ne consegue che l’in house esclude la terzietà, poiché l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’ente affidante che è in grado di determinarne le scelte, 

l’impresa è anche sotto l’influenza dominante dell’ente.

Da ultimo (Cons. giust. amm. reg. sic. 4 settembre 2007, n. 719), sempre in aggiunta alla necessaria totale proprietà del capitale da parte del soggetto pubblico, si è ritenuto essenziale il concorso dei seguenti ulteriori fattori, tutti idonei a concretizzare una forma di controllo che sia effettiva, e non solo formale o apparente:

1. il controllo del bilancio;

2. il controllo sulla qualità della amministrazione;

3. la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti;

4. la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali.

Se ai requisiti richiesti per l’affidamento in house si aggiungono quelli individuati dal comma 3 dell’art. 23 bis d.l. 112/2008 perché si consideri legittimo l’utilizzo del modulo procedimentale “straordinario” (“situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del

contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”) si comprende l’intenzione del legislatore del 2009 di evitare l’aggiramento della nuova disciplina, per portare a regime il regime ordinario dell’affidamento a società totalmente private, ovvero miste.

Ed anche per quest’ultima ipotesi, il legislatore ha voluto agevolare l’ingresso del privato, imponendo (con il comma 2 lett. B art. 23 bis d.l. 112/2008) che la scelta del socio privato avvenga con procedure ad evidenza pubblica, che abbiano ad oggetto non solo la qualità di socio, ma l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40%.

La scelta di far intervenire il privato nella gestione è caldamente sostenuta dal legislatore, che ha previsto al comma 8 una serie di conseguenze per l’ipotesi in cui gli Enti territoriali non migrino verso le due forme di gestione ordinaria (società pubblica, o mista al 40%). E’ stata infatti stabilita ex lege una decadenza delle concessioni in essere, senza necessità di deliberazione dell’Ente affidante, qualora la gestione in essere sia a favore di società “in house”, ed essa non cessi entro il 31 dicembre 2011, salvo che entro quella data la società in house non si trasformi nel modulo organizzativo della società mista (40% privata) con compiti di gestione del socio privato. O ancora, gli affidamenti effettuati a società mista, nelle quali la scelta del socio non ha avuto ad oggetto anche l’attribuzione di compiti specifici di gestione, cessano comunque il 31 dicembre 2011, senza necessità di ulteriori delibere (e qui sarebbe interessante valutare i profili di costituzionalità della norma, che lede la posizione di soggetti che hanno investito e – correttamente – attendono il proprio ritorno del capitale).

Viene poi dettata una disciplina per le società miste quotate in mercati regolamentati, che prevede degli step graduali di adeguamento. In caso contrario, viene comminata una cessazione della concessione prima della scadenza del contratto.

Infine il Parlamento ha introdotto una norma di chiusura: per tutte le ipotesi di affidamento della gestione diverse da quelle prima individuate le gestioni in essere decadono al 31 dicembre 2010.

La spinta sulla privatizzazione è evidente; le Amministrazioni locali dovranno per tempo adeguarsi alla nuova disciplina, attivando le procedura ad evidenza pubblica per l’ingresso di soci privati (con una partecipazione non inferiore al 40%).

Il rischio consegue dalla norma di chiusura che determina la cessazione delle gestioni in essere. Considerando i tempi delle pubbliche amministrazioni, e gli eventuali ricorsi che verranno proposti, onde non vedere paralizzato lo svolgimento del servizio pubblico locale al 1 gennaio 2011, i bandi per la scelta del socio dovranno essere immediatamente pubblicati.

Rientra in questo disegno di progressiva, ma accelerata, privatizzazione lo schema di regolamento attuativo dell’art. 23 bis d.l. 112/2008 (in corso di stesura), il quale prevede, da un lato, che gli Enti territoriali debbano verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi (facendo salva l’ipotesi di esclusiva ai soli casi in cui la prima non garantisca un’adeguata erogazione del servizio), e dall’altro una verifica di coerenza della partecipazione pubblica nella società con le finalità proprie dell’Ente territoriale.

Una precisazione appare doverosa: i bandi pubblicati per la scelta del socio privato dovranno non solo avere ad oggetto l’attribuzione dello status di socio attraverso una partecipazione non inferiore al 40%, ma prevedere “l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione”. Come a dire: la partecipazione del socio non può essere puramente finanziaria ma deve consentire un effettivo trasferimento di know-how dal privato alla società mista.

 

di Xavier Santiapichi

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