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“Hotel Experience”: le nuove tendenze della progettazione alberghiera

(tratto da “GSA”  n.11, novembre 2009)

 

Una nuova attenzione alla sostenibilità, a un approccio più intimo e responsabile, alla qualità del servizio e al rapporto col territorio. Queste sono alcune delle più recenti tendenze che emergono dal libro di Giacomo Rizzi, realizzato da Planethotel.net.

 

 

Dopo il successo del primo volume, in cui si occupava di wellness alberghiero, Giacomo Rizzi, architetto e docente al Politecnico di Milano, torna a parlare di hotel, e stavolta con un taglio più ampio, interrogandosi (e interrogando i principali progettisti alberghieri in Italia) sull’Hotel Experience. Il libro “Hotel Experience”, realizzato su iniziativa di Planethotel.net ed edito da Dogma (240 pagine in grande formato, con 130 immagini di hotel italiani e stranieri), e curato per la parte relativa alle interviste da chi scrive, è l’occasione per tracciare le nuove tendenze dell’hotellerie in Italia, e per scoprire alcune interessanti novità. Prima fra tutte un’accresciuta attenzione alla compatibilità ambientale, che oggi diventa addirittura un lusso. E un piacere per gli occhi e per la mente. Già, perché senza dubbio tra le qualità che il mondo invidia a noi italiani c’è la capacità di saper creare il bello. Nella moda, nel design, nell’architettura. E, nell’ambito di quest’ultima, nell’hotellerie. In questo settore si sta sempre più affermando il concetto, di matrice anglosassone, di “affordable luxury”, ossia lusso disponibile, che i consumatori identificano in campo alberghiero con la progettazione, la costruzione o la ristrutturazione dell’hotel secondo canoni estetici mutuati dal design e dalla moda. Non più, dunque, il lusso sfrenato ed esibito del riccone che getta il mozzicone di Avana dal finestrino di una limousine, ma un lusso più intimo, fatto di attenzione all’ambiente e di servizio da dieci e lode. Ma andiamo con ordine.

 

Un settore che combatte la crisi. Con le idee

Per combattere la crisi, ci vogliono in primo luogo le idee. Buone idee. E poi occorre saper “fare sistema”, valorizzando le eccellenze che il mondo riconosce al nostro Paese. Ma quali sono davvero le nuove tendenze nella progettazione alberghiera in Italia? Non è semplice individuare linee decise e ben riconoscibili nell’operato dei grandi progettisti. “Io cerco di avere stile, ma non ho uno stile”, spiega il fiorentino Michele Bonan, riassumendo alla perfezione lo stato dell’arte. Sulla stessa linea Hugo Demetz, che oggi lavora nel suo studio di Bolzano ma è stato attivo per anni in Francia: “Mi discosto da quelle che molti vorrebbero sublimare a tendenze e che per me sono soltanto mode: preferisco seguire la mia sensibilità, mettere al centro l’armonia. E l’ironia, perché alle volte prendersi troppo sul serio non fa bene”. La sensibilità di ciascun progettista, e la capacità di attraversare le epoche e gli stili, sono il vero plusvalore. Per saperlo fare bene, naturalmente, sono indispensabili grande sensibilità, un’approfondita conoscenza del cammino dell’arte e un bagaglio culturale radicato.

 

 

Sembra essere un momento in cui dominano la sensibilità individuale e la capacità del progettista di attraversare epoche e suggestioni traendone una sintesi originale. Per Luca Scacchetti di questi tempi c’è ben poco da inventare: si deve essere originali rielaborando il già fatto. “Nuovo manierismo”, lo chiama. Ma oltre questo “neomanierismo”, si profila anche un altro modo di vivere il lusso, definito da un altro neologismo destinato a riscuotere un grande successo negli anni a venire. Parliamo di “ecolusso”; accanto al lusso disponibile arriva un lusso a…portata d’ambiente, sostenibile: un ripensamento rispetto a scelte e soluzioni roboanti che, dopo pochi anni, sembrano già irresponsabili e fuori tempo. Dopo l’ubriacatura da lusso sfrenato, tutto luci, colori e paillettes, oggi si fa strada una dimensione più umana: la classica capanna in mezzo al bosco con un servizio dieci e lode, per dirla con Demetz. E già sono diversi gli architetti che propongono ai nuovi ricchi un lusso all’insegna dell’ecologia, della ricerca di materiali raffinati ma naturali, rigorosamente ricavati dal contesto in cui sorge l’albergo. Icona di questo rinnovamento sono gli alberghi realizzati nel rispetto dei colori e delle atmosfere del luogo: per questo hanno sempre più successo i materiali locali, le pietre che riprendono le tinte del posto, i profumi e i temi legati al territorio. E anche l’energia è coinvolta in questo “new deal” alberghiero: nei casi più virtuosi le tecnologie ecosostenibili sono interpretate come veicoli di un linguaggio architettonico. Ecco spuntare allora cupole fotovoltaiche belle da vedere ed estremamente efficienti in termini di produzione energetica. Senza contare che sostenibilità, in campo energetico, fa rima spesso e volentieri con risparmio. E quando si parla di alberghi, si deve pensare a cifre importanti, anche perché c’è in ballo un investimento iniziale da ammortizzare.

 

Albergo e territorio: un rapporto da (re)interpretare

Ambiente, territorio, sostenibilità. Termini che portano a riflettere su un’altra questione-cardine: il rapporto, ormai recepito come inscindibile e tutto da reinterpretare, fra albergo e territorio. In un passato nemmeno troppo lontano gli alberghi erano spesso cattedrali nel deserto, nei casi più gravi si presentavano come casermoni completamente fuori contesto rispetto a ciò che li circondava, e in ogni caso chiusi al territorio. Oggi no, non è più così. L’albergo viene sempre più visto o come elemento del paesaggio, e allora si torna all’ecolusso e alla perfetta integrazione ambientale dell’hotel, o, e così la vede ad esempio Marco Piva, come elemento catalizzatore della vita cittadina. La tendenza è quella di togliere gli hotel dalla categoria dei “nonluoghi”, che secondo la nota teoria di Marc Augé, che li vede in contrapposizione ai luoghi antropologici caratterizzati da una precisa identità. Il progettista milanese, ricordando una sua realizzazione a Cagliari, pensa addirittura che si possa –e in certi casi si debba- rendere alcune aree comuni degli hotel cittadini fruibili anche agli esterni, così da rendere l’albergo un punto di riferimento per la città. Una prospettiva molto interessante, che se compresa potrebbe rivoluzionare il modo di intendere l’albergo.

 

Albergo e casa privata: il confine è sempre più sottile…

Il confine fra settore alberghiero e abitazione privata si sta facendo giorno dopo giorno sempre più labile. Dal resto, che l’albergo faccia scuola e tendenza nei confronti dell’abitazione privata non è certo una novità. Tanto che c’è addirittura chi non riconosce nemmeno più il confine fra i due mercati e chi li vede come due mondi separati. In effetti l’apertura c’è: a Budapest, ad esempio, stanno nascendo appartamenti in vendita con i servizi di un hotel. Si tratta di una sorta di multiproprietà pensata per chi viaggia per lavoro e si ferma in un luogo anche per periodi piuttosto lunghi. A questo tipo di cliente l’albergo tradizionale può andare un po’ stretto, e d’altra parte non si può pensare che una volta rincasati siano disposti a farsi il bucato e prepararsi la cena e la colazione. Ma anche l’oggettistica e l’arredo non sono alieni alla tendenza dell’albergo a “entrare in casa”: non sono pochi i clienti che sognano di portarsi a casa oggetti, arredi, soluzioni viste e vissute in albergo. Molti, addirittura, scopiazzano qua e là, tornano a casa e “prendono spunto” da ciò che hanno visto in hotel per creare il loro personalissimo, intimo angolo alberghiero. Del resto, chi non sogna di vivere in casa come in albergo e, viceversa, in albergo come in casa? Ciò che è certo è che in albergo si va sempre più cercando una dimensione individuale “Pensare che l’albergo è progettato intorno a te: è questo che rende straordinaria un’esperienza”. Sembra arrivare, anche in campo alberghiero, il trionfo di quello che il sociologo Francesco Morace ha definito il “Terzo Rinascimento”: quel gusto per la qualità quotidiana e locale che prende avvio da una ricollocazione dell’individuo, messo al centro di una trama di bisogni, necessità, esigenze da soddisfare. In una dimensione sempre più intima e discreta. E anche in camera si va assistendo a una vera e propria trasformazione: minipalestra, centro benessere formato “tascabile” ma completo di tutto. Una nuova tendenza, che alcuni come Massimo Iosa Ghini pensano sia possibile importate anche nel domestico: “Mi piace l’idea della vasca sempre piena, come una piscina. Una soluzione esportabile anche nelle abitazioni private. Vuole mettere arrivare a casa e trovare una piccola piscina personale pronta ad attenderci?”. Tutti concordi, in ogni caso, nel ribadire che gli alberghi di un certo livello, ormai, non possono più fare a meno di offrire un’area wellness “che non sia sacrificata, ma adeguatamente valorizzate”. Ed è sempre Iosa Ghini ad andare alla ricerca, quando viaggia, dell’hotel “straordinario”, dove l’individuo sia il punto focale intorno a cui si sviluppa l’intero progetto.

 

L’albergo deve funzionare, ma l’emozione?

L’albergo, sebbene non sia un’azienda come tutte le altre, è pur sempre una struttura che deve funzionare. Cosa va privilegiato, dunque: un approccio funzionale o un’interpretazione più emozionale? E noi, quando entriamo in una camera, preferiamo sentire un tuffo al cuore oppure trovare tutto al proprio posto, facile, immediato e comodo da usare? Le due cose non sempre possono coesistere. Che fare, allora? Una cosa è certa: l’albergo non deve essere il monumento all’architetto”, né deve seguire i mal di pancia del progettista, e su questo sono tutti d’accordo. Quando vai a indagare un po’ più a fondo, però, scopri che c’è chi ricerca la suggestione in modo deciso, a volte quasi esasperato, e chi vede l’albergo innanzitutto come una macchina perfetta. In questi ultimi casi grande attenzione è riservata al “back of the house”, vale a dire a tutto quello che resta nascosto al cliente, che non si vede eppure fa girare gli ingranaggi. Chi punta sull’emozione, invece, si sente il regista di uno spettacolo che, albergo dopo albergo, progetto dopo progetto, è sempre pronto per andare in scena. Una commedia perfetta fatta di materiali, luci, colori, musiche e aromi da ricordare, da portare a casa e custodire nella memoria, possibilmente per sempre.

 

 

 

Simone Finotti

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