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Beatrice: la (sesta) stella del Grand Hotel

(tratto da “GSA” n.11, novembre 2009)

 

Una simpatica intervista con la vulcanica Beatrice Mazzocchetti, responsabile Qualità al Grand Hotel Rimini, ripercorre le tappe del suo personale successo che l’hanno portata dalle camere ai piani… ai piani alti del mondo dell’accoglienza. 

 

Una giornata a cinque stelle. Un’esperienza fuori dall’ordinario che, sono sicura , sarà l’Amarcord di tutta una vita. Soprattutto se l’hotel in cui soggiorni è il Grand Hotel di Rimini: un albergo che è un sogno ad occhi aperti, dove la magnificenza aristocratica incontra l’eleganza dal gusto moderno, dove ti rendi conto di essere in un luogo privilegiato per ospiti illustri. Ogni particolare è curato in maniera certosina e nulla è lasciato al caso. Questo scampolo di paradiso terrestre è il luogo deputato per il mio incontro di quella mattina, l’intervista a Beatrice Mazzocchetti, responsabile  housekeeping e qualità del Grand Hotel Rimini. Qualche minuto d’attesa, il tempo di convincerti di essere troppo “comune” per stare a tuo agio in una cornice di tale prestigio, che arriva a passo svelto Beatrice, sorridente, con quegli occhiali che in genere scelgono le professoresse, una donna dalla statura minuscola, ma dalla personalità maiuscola che nasconde l’energia magmatica di un vulcano in piena attività.

Un incontro frizzante, piacevole ed istruttivo al di là di ogni ragionevole aspettativa. Ci sediamo al bar dell’hotel e, di fronte ad una tazza di caffè e qualche squisito dolcetto, iniziamo a ripercorrere le tappe che dagli Abruzzi hanno portato Beatrice nell’hotel tra i più prestigiosi d’Italia.

 

Chi era Beatrice prima di arrivare al Grand Hotel?

La storia è lunga, forse un caffè non basta – afferma ironicamente – ma è stato un giusto amalgama tra coincidenze fortuite e determinazione personale. Lavoravo già come maestra d’asilo ed ero venuta a Rimini per trascorrere qualche settimana di vacanza con un’amica che lavorava per la stagione all’Hotel Tiberius. Io conoscevo ben poco dell’albergo, anche se mia madre vi aveva lavorato una vita come governante. Tuttavia, quando mi venne proposto di fornire un aiuto per qualche settimana, accettai di buon grado. Il proprietario dell’hotel, avendo apprezzato il lavoro svolto,  mi propose poi un contratto a tempo indeterminato in una struttura che stava per aprire.

 

L’occasione per iniziare una nuova carriera…

Certamente. Rimini rappresentava all’epoca, nel 1996, un’opportunità unica, ma significava anche abbandonare tutto e l’indecisione di quei giorni fu grande. Alla fine scelsi Rimini che è diventata la mia terra d’adozione: rimasi al Tiberius dove iniziai a lavorare come cameriera ai piani. Ammetto che non ero proprio entusiasta di partire dal gradino più basso ma ebbi la fortuna di trovare un proprietario che assecondò le mie ambizioni professionali e mi fece lavorare in tutti i reparti, permettendomi di acquisire gradualmente tutte le competenze necessarie.

 

Ecco: quanto conta la formazione sul campo?

Tantissimo. A questo punto della mia vita, si può dire che siano finite le coincidenze fortuite e sia cominciata la consapevole ascesa di Beatrice nel mondo dell’accoglienza: la determinazione è stata la costante di tutta la mia carriera, finanche a rasentare la cosiddetta «faccia tosta». La formazione sul campo era per me basilare, ma non sufficiente: non mi bastava sapere come fare qualcosa, io dovevo scoprirne il perché. E così per anni ho registrato le informazioni dei miei superiori e le ho approfondite nel mio tempo libero. Mi recavo nelle grandi falegnamerie e nei cantieri dei marmisti per fotografare i materiali e fotocopiare i loro manuali d’istruzioni, per carpire i loro segreti del mestiere e farne il valore aggiunto alla mia competenza professionale. Bisogna conoscere profondamente per garantire la vera professionalità.

 

Anche perché ogni materiale ha un suo principio manutentivo e, se si parte da questo presupposto, si capisce che la conoscenza dei materiali dev’essere tutt’altro che superficiale.

 

Esattamente. Da qui il mio interesse per l’approfondimento sul campo, anzi…sul cantiere. Volevo essere in grado di riconoscere per ogni materiale quale fosse il miglior prodotto per la pulizia, quale quello per la sua manutenzione e per la sua conservazione. Perché il marmo o l’onice, che sono difficili da pulire perché molto delicati, devono anche essere tutelati nella loro bellezza originaria. Se si sciupano nel tempo, perdono tutto il loro pregio. E questo vale per il travertino, il granito, il mosaico, il grès, il cotto, ecc.

È grazie a questo mio plus di conoscenze che otto anni fa sono stata chiamata al Grand Hotel, che è in piena fase di cambiamenti, anche in virtù del nuovo proprietario.

 

Ci spieghi meglio …

Dunque, nel 2001 sono stata chiamata al Grand Hotel Rimini in occasione del primo restyling e ho rivoluzionato molto. C’era una sola governante e io mi sono occupata della formazione delle nuove assunte, spesso senza esperienza poiché talvolta è più semplice preparare personale ex novo piuttosto che correggere le conoscenze pregresse di chi è già stato formato.

 

Addentrandoci nel terreno della pulizia, come mai un’istituzione come il Grand Hotel Rimini ha scelto l’autoservizio?

Non le dirò che non amo la terziarizzazione come formula di servizio, ma le dico che non sarebbe stata la scelta migliore per quest’hotel. E le motivo la risposta. In un hotel come il nostro, in cui tutte le camere sono diverse perché ognuna ha una storia diversa da raccontare, non si può far gestire la pulizia ad una ditta esterna che normalmente presuppone una gestione codificata in camere pressoché identiche. È una formula perfetta in quelle strutture ricettive, per lo più catene, che presuppongono una gestione standard degli spazi. Le camere del nostro hotel, invece, cambiano – e non poco – per conformazione, materiali, volumetrie.

 

Come organizzate dunque le pulizie nelle 117 (diverse) camere di quest’hotel?

Quando sono stata incaricata di supervisionare il lavoro, ho notato che le cameriere avevano diversi carrelli e faticavano a gestire le pulizie in maniera ottimale. La razionalizzazione dei tempi è fondamentale: tuttavia è importante che questa ottimizzazione non vada ad inficiare sulla qualità del servizio reso. Per questo ho fortemente insistito perché tutto il personale venisse dotato dello stesso strumento di lavoro. Non solo: è necessario che tutti gli strumenti abbiano un posto preciso all’interno del carrello e che questo, a sua volta, sia sempre posizionato secondo uno schema rigido, dentro e fuori dalla stanza. Abbiamo scelto uno dei migliori carrelli disponibili ad oggi sul mercato. A questa organizzazione fisica del carrello (tutti ugualmente posizionati e riforniti) è poi seguita una fase, tutt’ora in progress, volta a codificare la migliore procedura per disciplinare le pulizie. Ho cercato di instaurare un corretto sistema di comunicazione e feed-back con le collaboratrici ai piani, affinché siano anche loro a suggerire quale sia il metodo migliore per gestire il carrello. L’obiettivo è quello di arrivare ad una programmazione dei gesti, un’automazione collaudata del proprio lavoro. Questa inflessibilità apparente, infatti, è l’unico presupposto per approntare un piano di gestione razionalizzata del tempo: una programmazione dei gesti (con conseguente ottimizzazione di tempi e costi) è possibile solo se si conosce l’esatta collocazione di ogni strumento di lavoro.

 

 

In teoria, il ragionamento non fa una piega. Ma in pratica vorrebbe dire che al variare di un prodotto, cambia anche la procedura?

 

Certamente. Non ho mai detto che l’eccellenza coincida con la strada più breve. Attualmente stiamo approntando un piano di ristrutturazione ai piani  e ciò significa materiali nuovi e nuovi prodotti. Ne conseguirà ben presto una revisione completa di tutte le procedure, magari anche dell’intera linea di prodotti ed attrezzature; molto dipende, in effetti,  dai materiali che verranno utilizzati per le nuove camere.

 

Magari una svolta verso il green. A questo proposito, alcune voci del mondo del cleaning lamentano un’inferiore efficacia pulente dei prodotti verdi rispetto a quelli più aggressivi, che va dunque controbilanciata da un maggiore sforzo manuale da parte dell’operatore, in assoluta controtendenza rispetto alla politica di ottimizzazione dei tempi che le aziende generalmente perseguono. Lei che ne pensa?

 

Anche io ho spesso sentito dire che i prodotti verdi “non funzionano” come gli altri. Il che –  se mi permette – è quantomeno inesatto. I prodotti green funzionano semplicemente in mondo diverso dagli altri: hanno tempi e modalità di reazione più lunghi rispetto ai normali prodotti chimici ed è dunque importante sapervi coniugare la giusta modalità di utilizzo. Ogni prodotto comporta una gestione diversa d’impiego: è una pretesa assurda quella di cambiare radicalmente la natura del prodotto, mantenendo invariata la procedura di pulizia. Se il prodotto green impiega più tempo ad agire, basterà disciplinare diversamente le procedure di intervento per ottimizzare il tempo di attesa. Questa elasticità mentale è essenziale per l’economia del risultato.

 

Quali sono gli altri elementi che possono determinare un cambiamento nella modalità di pulizia delle camere?

I clienti stessi. A seconda delle loro abitudini, della loro permanenza in hotel o più semplicemente della stagione, cambia radicalmente la gestione delle pulizie all’interno delle camere. Bisogna tenere conto che  il cliente estivo non solo rimane più a lungo, ma vive la camera più intensamente del viaggiatore business. D’estate, i letti e i bagni delle camere saranno unti di creme solari, di granelli di sabbia e profumeranno di salsedine. Per questo andranno trattati con prodotti specifici rispetto a quelli usati per i mini-soggiorni degli uomini d’affari che, tra un congresso e l’altro, si concedono una nottata al Grand Hotel.

 

E riuscite a gestire tutto con il personale interno a vostra disposizione?

Anche in questo la stagione ha una rilevanza particolare. Fino a qualche anno fa dovevamo ricorrere all’utilizzo di lavoratori interinali: a patto però – non avevo perso l’occasione di pretenderlo –  che l’incarico venisse affidato sempre alle stesse persone. E ci tengo a precisare che questa pretesa non fosse riconducibile ad una sorta di mia “avversione formativa”, perché già avevo fatto lo sforzo  di spiegare tutto la volta precedente. Si tratta di una questione di “mano”, di conoscenza delle aree di un determinato albergo: non avevo paura che arrivassero persone incapaci ma che, essendo nuove, impiegassero troppo tempo – in una stagione tanto delicata – ad interiorizzare il lavoro e a svolgerlo pertanto secondo standard di eccellenza. Oggi siamo riusciti a costituire un sistema interno tra alberghi “tra loro compatibili”, ovvero le 10 strutture facenti parte del gruppo Select Hotels Collection di Antonio Batani, e possiamo usufruire di una sorta di turn-over a circuito chiuso senza ricorrere al mercato interinale.

 

Difficile a questo punto aggiungere qualcosa a quest’intervista. Ciò che risulta evidente è che  Beatrice ha incarnato i principi base della formazione, non limitandosi a sapere, ma cercando di conoscere …che poi è la differenza che corre tra subire o vivere una professione. Una formazione guadagnata con un’incrollabile spirito di servizio, frutto di una passione mai sopita per il mondo dell’accoglienza. E oggi, dall’alto della posizione raggiunta, affronta tutto con il sorriso compiaciuto di chi ha conquistato i propri obiettivi. Dopo aver ascoltato questa storia di successo, mi congedo da Beatrice e la lascio tornare al proprio lavoro. E, avviandomi verso l’uscita dell’hotel, mi accorgo di avere in mente un dubbio e una certezza. La certezza è che nella botte piccola sta il vino buono, ma il dubbio rimane: se Beatrice è così “attiva” da responsabile non operativa, come diavolo era quando risultava operativa a tutti gli effetti? 

 

 

Chiara Bucci

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