HomeNewsletterPatto di prova: attenzione!!!

Patto di prova: attenzione!!!

E’ una sentenza che farà discutere, ma che si basa su presupposti logicamente inoppugnabili, quella dello scorso 3 novembre 2016 emessa dal Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, che riduce il perimetro delle “tutele crescenti” introdotte dal Jobs Act condannando il datore alla reintegra nel posto di lavoro, e non soltanto all’indennità economica. Il fatto riguarda  un licenziamento intimato sul presupposto di un “patto di prova” nullo. Analogamente si era comportato, solo pochi mesi prima, il Tribunale di Torino, con sentenza del 16 settembre 2016.

Le due sentenze, analoghe, hanno condannato le aziende a reintegrare i dipendenti licenziati per quanto assunti in regime di tutele crescenti, sulla base della regola ex art. 3, comma 2, del Dlgs 23/2015 che stabilisce tale sanzione per il caso di “insussistenza del fatto materiale contestato”. Si tratta in effetti dell’unica fattispecie rimasta in cui è prevista, oltre all’indennità risarcitoria, anche la reintegra del lavoratore sul posto di lavoro. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento  per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del  licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità’ risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.”

La cosa si fa ancor più interessante alla luce del fatto che, in entrambi i casi, parliamo di dipendenti licenziati per mancato superamento del periodo di prova, in ipotesi in cui è ammesso il recesso del datore di lavoro senza alcuna giustificazione (“ad nutum”, art. 2096 del codice civile). Senonché i patti di prova considerati erano nulli per difetto di forma scritta antecedente o contestuale la sottoscrizione del contratto di lavoro. Ragion per cui i licenziamenti considerati sono stati ricondotti non a un ordinario licenziamento, che dunque va soggetto alla verifica giudiziale sulla sussistenza o meno di giusta causa o giustificato motivo. Insomma, è come se non ci fosse stato alcun periodo di prova, giacché il datore non ha potuto dimostrarne la sussistenza. A questo punto il “gatto si morde la coda”: infatti, proprio perché ritenuti “ad nutum”, i due licenziamenti erano stati intimati senza l’indicazione di una motivazione espressa, ragione che li rende invalidi agli occhi del Tribunale perché “basati sull’errato presupposto della sussistenza di un periodo di prova”, e li fa ricadere proprio nella fattispecie dell’art. 3 comma 2 del 23/15, cioè “insussistenza del fatto” (ovviamente i giudici non hanno potuto procedere ad alcuna verifica effettiva delle ragioni sottostanti i recessi). Pertanti i giudici hanno ritenuto i licenziamenti impugnati privi di giustificazione, applicando di conseguenza non la sanzione indennitaria prevista dall’articolo 3, comma 1, del Dlgs 23/15, ma la reintegra nel posto di lavoro con condanna al risarcimento economico del danno (fino a 12 mensilità), sanzione stabilita dall’articolo 3, comma 2, del Dlgs 23/15 per l’ipotesi di diretta dimostrazione in giudizio dell’insussistenza del fatto materiale contestato. E siccome, aggiungiamo noi, tutto parte dunque da una superficialità all’atto della stipula del patto di prova, i datori dovranno fare attenzione a formalizzare in modo esatto, completo e con tutti i crismi, e soprattutto “sottoscritto prima o contestualmente all’inizio del rapporto di lavoro”, pena il rischio di reintegra e pagamento di indennizzo risarcitorio.

Link sentenza Trib. Milano 3/11/16

Link sentenza Trib. Torino 16 settembre 2016

Link Circolare

 

 

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