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Licenziamenti collettivi, cambierà computo e disciplina

La Corte di Giustizia UE, il giorno 11 novembre 2015, ha emanato la sentenza sul caso C-422/14, accaduto in Spagna ma destinato a fare scuola anche in Italia in tema di licenziamenti collettivi.

Da rivedere computo e disciplina per i licenziamenti collettivi
Senza entrare nello specifico del fatto (comunque riportiamo integralmente la sentenza, che è molto chiara ed esplicita), sottolineiamo che il pronunciamento dei giudici europei affronta due tematiche molto importanti per le imprese, entrambe inerenti alla disciplina dei licenziamenti collettivi, che in Italia, è bene ricordarlo (legge 223/91, art. 24, Norme in materia di riduzione del personale), sono considerati quelli in cui un’impresa che occupa più di 15 dipendenti, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intenda effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia.

Per il computo dei dipendenti valgono anche i “tempo determinato”? La risposta è sì
Ora, il primo chiarimento che arriva dalla sentenza riguarda il calcolo delle dimensioni aziendali: deve o no ricomprendere i lavoratori a tempo determinato? La risposta è sì, in quanto anch’essi devono essere considerati lavoratori abitualmente occupati nell’azienda, indipendentemente dalla natura del contratto. Ciò ricalca quanto, in Italia, è già previsto dall’81/2015, art. 27 – Criteri di computo, che recita: “Salvo che sia diversamente disposto, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.”

Perché si configuri un licenziamento collettivo valgono anche le dimissioni? Anche qui sì, purché dovute a modifica unilaterale del contratto a svantaggio del lavoratore
Ma il portato più innovativo della sentenza riguarda il secondo aspetto, cioè se ai fini delle definizione di licenziamento collettivo debbano essere considerate solo le cessazioni esplicitamente qualificate come “licenziamento” o anche, ad esempio, i recessi intervenuti per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore. Nel caso della sentenza, in oggetto, infatti, alcuni dipendenti si erano dimessi (in Italia si direbbe “per giusta causa”, o “con dimissioni qualificate” nel caso, ad esempio, dei dirigenti) in seguito alla decisione unilaterale dell’azienda di modificare sostanzialmente il loro stipendio, riducendolo del 25% (una legge spagnola lo permette). Anche in questo caso la risposta è sì: infatti in caso di cessazione per motivi indipendenti dalla volontà del lavoratore, come nel caso di modifiche unilaterali peggiorative delle sue condizioni di lavoro, le dimissioni stesse, considerate “per giusta causa”, vanno equiparate, ai fini del computo per il licenziamento collettivo, a veri e propri licenziamenti. Si tratta di un chiarimento in controtendenza con quanto avviene di norma in Italia, dove le dimissioni, anche se per causa indipendente dalla volontà del lavoratore, sono ritenute irrilevanti ai fini di definire la soglia numerica oltre la quale si configura il licenziamento collettivo.

Prevedibili ripercussioni anche in Italia, e anche per le imprese di pulizia/servizi integrati/multiservizi
Attenzione dunque a valutare caso per caso le singole situazioni, e soprattutto a considerare, per eventuali licenziamenti collettivi, anche i casi di intervenute dimissioni a seguito di decisioni aziendali in contrasto con la volontà del dipendente. A questo punto, infatti, si apre a nostro parere un ampio spazio di discrezionalità: anche se in Italia non esiste una legge per cui sia così facile ridurre lo stipendio ai dipendenti in determinate condizioni, che dire dei casi di “demansionamento”, sempre più frequenti in questi periodi di crisi? E di quelli, tanto frequenti in un’impresa con più cantieri, di trasferimento in luoghi meno comodi per il dipendente o meno appetibili? Se il lavoratore si dimette, devo considerarlo un licenziamento? Speriamo di sbagliarci, ma dopo questa sentenza europea c’è da aspettarsi una certa “bagarre” giudiziaria.

Sentenza C-422-14

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