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Comuni non capoluogo: prorogato al I° gennaio l’obbligo di aggregazione

La Conferenza Stato – Città e autonomie locali, in una seduta del 10 luglio (si allegano il report sintetico e il testo dell’intesa) ha sancito l’intesa per il rinvio dell’applicazione dell’art. 9 c.4 D.L. 24 aprile 2014 n.66 convertito con modifiche dalla legge n. 89 del 23 giugno 2014. che prevede le centrali uniche di committenza per i comuni non capoluoghi di provincia. Viste le difficoltà applicative delle disposizioni, viene rimandata al 1° gennaio 2015 la normativa che prevede l’acquisto di beni e servizi, e rinviata al 1° luglio 2015 l’applicazione di quella riguardante gli appalti dei lavori pubblici.

La lettera Anci
Passaggio essenziale per sollevare la questione è stata una lettera dell’Anci del 1° luglio, con la quale l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, presieduta da Piero Fassino, aveva manifestato forte preoccupazione per gli effetti dell’applicazione del suddetto art. 9: il rischio era il blocco delle gare d’appalto per i piccoli comuni i quali non avevano avuto il tempo necessario di organizzarsi.

Acquisti aggregati: si slitta al 2015
Il problema era serio: come abbiamo anticipato nella newsletter del 29 maggio, dunque due mesi esatti fa, da luglio sarebbe dovuta partire, stando al decreto cd. Renzi, “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale” (66/2014, nel frattempo convertito in legge), la “gestione aggregata degli appalti” di lavori, servizi e forniture per tutti i comuni non capoluogo di provincia, attraverso centrali di committenza e soggetti aggregatori. Si interviene sull’art. 33, comma 3-bis, del codice degli appalti, stabilendo l’acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento. Il primo comma istituisce l’elenco dei cd. “soggetti aggregatori”, ovvero le centrali di committenza. Secondo e terzo comma stabiliscono le modalità di iscrizione all’elenco dei soggetti aggregatori e le modalità per definire “le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, nonché le regioni, gli enti regionali, nonché loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono, rispettivamente, a Consip S.p.A. e al soggetto aggregatore di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure”.

La disposizione
Centrale è l’articolo 4, che sostituisce il vecchio comma 3-bis dell’articolo 33 del Codice degli appalti (Dl 163/2006) con il seguente nuovo:”3-bis. I Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 15 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56..” In alternativa la disposizione prescriveva che gli stessi comuni possano acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consi S.p.A. o da altro soggetto aggregatore.

Le difficoltà dei Comuni
Senonché, come era immaginabile, sono state tante e tali le difficoltà attuative (specie nel brevissimo margine di tempo concesso dalla legge) che alla fine si è dovuto ricorrere a un rinvio, e l’accordo è stato appunto preso il 10 luglio. Un accordo che, oltre a dare ai comuni e agli enti altri cinque mesi di tempo per adeguarsi alle nuove modalità d’acquisto, sblocca anche una situazione che si era fatta molto complicata, tanto da impedire ai comuni non capoluogo di bandire gare d’appalto. Nelle more dell’approvazione della norma, gli enti locali avvieranno il percorso di attuazione del nuovo modello operativo della centrale unica di committenza, pur continuando ad operare con la normativa previgente. Ai sensi dell’attuale comma 3 bis dell’articolo 33 del Codice dei contratti pubblici, l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione, che nel frattempo ha incorporato le funzioni della soppressa Avcp) concederà il codice identificativo gara (Cig) ai comuni non capoluogo che dal 1° luglio non abbiano potuto ricorrere con le attuali modalità previste, ancora in gran parte da attuare, alle acquisizioni suddette.

Anac e Cig: la lettera di Cantone (17 luglio)
Ma proprio sul rilascio del Cig si apre un altro problema, questa volta sollevato dallo stesso Raffaele Cantone in una lettera datata 17 luglio, e indirizzata al ministro dell’Interno Alfano, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Del Rio e alla stessa Conferenza Stato-Autonomie locali: “Come è noto -ricorda Cantone- per effetto della disposizione normativa indicata in oggetto, a far data dal 1° luglio 2014, “I Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni…, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, …. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma”. L’Autorità ha realizzato le modifiche al sistema informativo in uso (SIMOG), al fine di una corretta applicazione della disposizione di cui trattasi, che tiene conto delle molteplici fattispecie nelle quali i Responsabili del Procedimento possono richiedere il CIG, prevedendo la possibilità di opporre dinieghi ‘selettivi’ alle richieste. In tal senso, anche la clausola di salvaguardia, contenuta nell’art.50-bis ed inserita in sede di conversione del Decreto legge 24 aprile 2014 n. 66, impone un’analisi selettiva delle richieste di CIG, avendo specificato che “le disposizioni del presente decreto si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano secondo le procedure previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione”. Nel contempo, si è appreso che in sede di Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, tenutasi il 10/07/2014 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’intesa sancita tra il Governo e le Autonomie locali, è emersa la necessità di un percorso di preparazione e coinvolgimento di vari soggetti per l’applicazione della norma ed è stata manifestata l’esigenza di un posticipo nell’entrata in vigore del nuovo regime, al fine di consentire agli enti locali di avviare il percorso di attuazione del nuovo modello operativo. In particolare, nell’ambito dell’intesa raggiunta è stato ritenuto fondamentale che “l’A.N.AC. conceda il codice identificativo gara (CIG) ai Comuni non capoluogo che dal 1° luglio non abbiano potuto ricorrere con le attuali modalità previste, ancora in gran parte da attuare, alle acquisizioni suddette, a prescindere dalla tipologia e dal valore”. Anche l’Autorità è a conoscenza delle problematiche manifestate dagli Enti locali ed è consapevole che il diniego nel rilascio dei CIG potrebbe avere un effetto negativo per l’intero comparto degli appalti pubblici; tuttavia non può esimersi dall’applicazione della disposizione vigente e, pertanto, senza un opportuno intervento normativo, deve opporre il diniego al rilascio dei CIG nei confronti di tutti i soggetti che non agiscano in ottemperanza alla norma. Appare quindi urgente un intervento normativo che disponga la proroga dei termini così come definiti nell’intesa”. In sostanza siamo di fronte al classico “serpente che si morde la coda”, tipico di molti regimi transitori: l’Anac è impossibilitata a rilasciare il Cig in conseguenza della medesima legge che prevede che i comuni procedano ad acquisti aggregati. Se questi ultimi non “aggregano”, non ottemperano alla norma e dunque non possono avere il Cig. Ciò rischia di rappresentare un ulteriore stop agli acquisti per i comuni, che privi del Codice identificativo non possono ovviamente bandire gare. Si attende, dunque, una modifica normativa che tenga conto di questa (un po’ paradossale) situazione.

Report sintetico della seduta del 10 luglio 2014

Testo dell’intesa

Lettera Cantone

 

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