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Pulizie in albergo: un anno dopo il contratto

(Tratto da “GSA”n3, marzo 2011)

A un anno di distanza dal rinnovo, il CCNL per i lavoratori del Turismo,che ha importanti ricadute sul settore dei servizi, fa ancora discutere. Cosa ne pensano i protagonisti?

Proprio un anno fa, e precisamente il 20 febbraio del 2010, veniva sottoscritto il nuovo Contratto Nazionale di Categoria per i lavoratori del turismo: una ridefinizione molto importante che, di riflesso (i più attenti se ne ricorderanno molto bene), ha investito anche il comparto dei servizi. Ciò perché, di fatto, una fetta significativa della clientela delle imprese è costituita proprio dalle strutture ricettive.

Il Contratto Collettivo del Turismo ha ribadito la possibilità di esternalizzare i servizi di housekeeping, che –diciamolo pure a voce bassa, ma diciamolo-, spesso erano in effetti svolti, ma mai riconosciuti. Alcune norme, tuttavia, appaiono di complicata attuazione per le imprese di servizi, le quali si trovano in un territorio che non è il loro. Vediamo perché.

Le imprese dovranno conoscere il CCNL Turismo…
Il problema sollevato dagli imprenditori un anno fa era da un lato quello di trovarsi ad applicare, di fatto, disposizioni contrattuali che non sono le loro, dall’altro quello di doversi sobbarcare oneri spesso pesanti, pena la preclusione dalla commessa. Come può un contratto di categoria spingersi a normare un altro settore? E d’altra parte, come può un imprenditore dei servizi assicurare la continuità sul posto di lavoro?
E’ il caso di vedere, a un anno esatto di distanza dal rinnovo 2010, come stanno andando le cose, con l’aiuto di tre persone “informate sui fatti”: in rigoroso ordine alfabetico Lucia Anile, che per Filcams-CGIL si occupa del comparto alberghiero, Nicola Burlin, numero uno di Skill Service, impresa di servizi con grande esperienza nel settore ricettivo, Angelo Candido, responsabile dei Servizi sindacali di Federalberghi.

Immaginiamo un caso concreto
Forse può aiutare prendere le mosse da un caso concreto: immaginiamo un albergo che svolga in proprio i suoi servizi, ossia che impieghi personale interno per le operazioni di pulizia e rassetto camere, e che per motivi di gestione decida di esternalizzare. Innanzitutto leviamoci il primo dubbio: non siamo di fronte a una grande novità; anzi, come dice Candido, “quello delle pulizie e del riassetto camere in esternalizzazione è un tipo di servizio che, bene o male, si è sempre fatto. La novità del CCNL Turismo 2007 è stata semmai quella di prevederlo esplicitamente, normandolo in modo sistematico proprio per dare delle regole certe. Il 20 febbraio 2010, poi, sono state introdotte clausole pensate appositamente per facilitare il rapporto fra l’azienda che decide di esternalizzare e l’impresa che offre il servizio: parliamo del mantenimento, in passaggio di contratto, del trattamento economico precedentemente fruito, e dell’impegno che l’impresa si assume di mantenere l’operatore nel medesimo cantiere”. Tutto questo nell’ottica di evitare il contenzioso, e soprattutto di favorire il passaggio “dolce” a una gestione esternalizzata del servizio, favorendo un cambio che sia il più possibile lineare e operato nel rispetto di tutte le parti, a partire dal lavoratore. Quando un’impresa di servizi si propone a un albergo, spesso si fa carico anche della gestione del personale, che rappresenta senza dubbio, per l’azienda che esternalizza, un elemento di criticità.

In caso di esternalizzazione…
Ma continuiamo nella nostra ipotesi: cosa succederebbe se un albergo decidesse, a un certo punto, di ricorrere all’esternalizzazione dei servizi prima svolti internamente, quindi di affidarsi a una ditta esterna. A questo punto potrebbe verificarsi che i dipendenti dell’albergo passino a lavorare per conto dell’impresa appaltatrice. E qui cominciano i problemi. Il primo sembra semplice, ma non lo è affatto: il passaggio del personale alle dipendenze dell’impresa è automatico. Ancora più chiaramente: il personale è obbligato automaticamente a passare alle dipendenze dell’impresa? La risposta è no, non c’è nessun automatismo. Dice Candido: “In effetti no, uno potrebbe tranquillamente dire di non voler passare dall’albergo x all’impresa y e, che so, cercarsi un altro lavoro. Il contratto chiarisce soltanto che, se questo passaggio avviene, il lavoratore è tutelato nel trattamento economico e nella certezza del luogo di lavoro, punti che abbiamo scelto di inserire in questo rinnovo della piattaforma per scongiurare l’insorgere di contenziosi sempre controproducenti”. E dal punto di vista dell’impresa, Burlin precisa: “Non esiste automatismo. Quando un hotel decide di terziarizzare, gli operatori possono scegliere autonomamente se passare alle dipendenze dell’impresa subentrante. C’è anche chi, ed è capitato, decide di rinunciare al lavoro per fare altro, ma solitamente sono gli stessi lavoratori a capire che un’impresa di servizi può offrire loro un ventaglio di opportunità maggiore rispetto all’azienda da cui provengono, per una semplice questione di diversificazione dei servizi e dei lavori”.
Vuole chiarire quest’ultimo punto? “Certo. La premessa necessaria è che la maggior parte delle aziende che optano per la terziarizzazione lo fanno per ottimizzare le risorse (leggi risparmiare) in un momento non facile, in cui questo tipo di razionalizzazione si rende necessario. Ora, in uno scenario del genere qualsiasi dipendente dotato di buon senso comprende che è preferibile, per il suo futuro lavorativo, approdare in una realtà che può offrire più possibilità. Detto chiaramente: se lavoro in un’impresa sono più tutelato perché so che, al di là dell’albergo, ho un ventaglio di opportunità occupazionali molto più ampio; molti più contesti e situazioni lavorative in cui far valere la professionalità acquisita”.

Come noi sappiamo bene, il settore delle imprese di servizi ha un suo specifico contratto, il CCNL “Multiservizi” di cui, in queste pagine, si è tanto parlato.
È logico che, una volta passati i dipendenti al servizio dell’impresa, avviene anche un cambio di contratto, e comincia ad essere apllicato il CCNL Multiservizi, a noi molto familiare. Con alcuni correttivi, però, perché in ogni caso interviene quanto previsto espressamente dal punto 5 del già menzionato capo X del Contratto del Turismo: “In relazione agli appalti di servizi di pulizia e riassetto camere, l’appaltante utilizzerà solo appaltatori che si impegnino a corrispondere, ai lavoratori che già prestavano servizio con contratto a tempo determinato alle dipendenze dell’azienda appaltante e che abbiano risolto con modalità condivise il rapporto di lavoro, un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quanto previsto dal vigente CCNL Turismo, comprensivo dell’assistenza sanitaria integrativa e di eventuali ulteriori servizi offerti dall’appaltante ai propri dipendenti (es. vitto) a parità di livello e di mansioni svolte”. Condizioni che, francamente, non corrispondono a quelle di norma offerte da un’impresa di servizi.

Le imprese: sempre più problem solver
Ma si sa: il ruolo delle imprese è sempre più quello di solutori, o per dirla all’inglese di problem solver. Dice Candido: “Il problema parte dal principio. È ovvio che un’impresa, che non ci tiene ad acquisire surplus di personale, potrà sempre dire all’albergo di essere in grado di svolgere con quattro operatori ciò che in precedenza l’hotel faceva con dieci. E forse con la sua organizzazione ci riuscirebbe anche senza troppe difficoltà. Ma non le conviene affatto, perché a questo punto la cosa più probabile è che salti la commessa; e allora l’impresa che vuole entrare a lavorare nel settore alberghiero dovrà necessariamente farsi carico del personale uscente, chiudendo il cerchio senza creare grossi problemi anche dal punto di vista occupazionale”. L’impresa, insomma, dovrà offrire un servizio “completo”, che prevede anche la gestione del personale acquisito. E a questo punto si pone però un’altra questione: dato che l’impresa deve recepire il personale, almeno può farlo ruotare in altri cantieri, magari della stessa tipologia o di tipologie affini? “In partenza no -spiega Candido-. La disposizione contrattuale, diciamo, fotografa la situazione in entrata, vale a dire al momento dell’assunzione della commessa. Ma dati in nostro possesso dicono chiaramente che dopo 18 mesi molti operatori hanno già cambiato sede di lavoro. Attenzione, però: questo avviene perché effettivamente l’impresa è a volte in grado di garantire condizioni migliorative, come cantieri più comodi per l’operatore o posti di lavoro più interessanti. Si tratta quindi di accordi che intervengono internamente tra l’operatore e l’impresa, e che prevedono di norma migliori condizioni per il lavoratore stesso. Di frequente i lavoratori sono impiegabili in altri cantieri, e spesso sono ben contenti di andarci proprio perché intravedono maggiori opportunità professionali”. In sintesi: non esiste automatismo nel passaggio del personale: cambia il contratto ma con trattamento economico parificato e con l’impegno, da parte dell’impresa subentrante, di lasciare gli operatori nel posto di lavoro consueto, anche se poi questa situazione può cambiare in senso migliorativo nel giro di pochi mesi, con soddisfazione di tutte le parti.

Le criticità non mancano: perplessità e timori del sindacato
Pare insomma che si sia trovata la fantomatica “quadratura del cerchio”, ma d’altra parte le criticità esistono eccome. Negli ultimi mesi è accaduto che diversi lavoratori abbiano fatto sentire la propria voce e, in casi estremi, abbiano preferito perdere il posto di lavoro pur di non piegarsi a un cambio di azienda che era vissuto come un’imposizione. E se si legge fra le righe, risulta abbastanza chiaro che le nuove disposizioni inserite nel contratto cerchino di tamponare un rischio concreto. Non tutto, insomma, è roseo nel settore, e se ne è parlato in un incontro organizzato a Roma, lo scorso 1 febbraio, proprio da Federalberghi: una giornata di lavoro sulla contrattazione integrativa nel comparto del turismo a cui ha partecipato anche Lucia Anile di Filcams-CGIL. Che, inutile nascondercelo, ha più di una perplessità sull’esternalizzazione: “Siamo concordi nel ritenere – dice- che questo sia un settore che strutturalmente richiede flessibilità. Ciò che ci preoccupa è il ricorso all’esternalizzazione selvaggia, o alla terziarizzazione vista come panacea, come medicina di tutti i mali o, ancor peggio, come pretesto per ottenere un risparmio a scapito della qualità. Per noi il problema deve essere affrontato in un’ottica più ampia, in cui tutti gli attori, dalle associazioni agli enti locali (la legge 135 demanda alle Regioni lo sviluppo del turismo) e al Governo, facciano la propria parte. Se vogliamo che il settore turismo, tanto importante in Italia, faccia un vero salto di qualità, non possiamo più permetterci giochi al risparmio. Tanto più che il problema, a nostro avviso, non è il costo del lavoro: in Italia è il costo del lavoro è il più basso d’Europa dopo Spagna e Grecia… Flessibilità va bene, a patto che non diventi un gioco al taglio, alla precarizzazione e un’arma per assottigliare i costi. Con il turismo in Italia non si scherza, e per noi esternalizzare in questo settore significa innanzitutto creare precarietà e sminuire le risorse umane minando la motivazione, il senso di appartenenza e, di conseguenza, la possibilità di “fare squadra” e lavorare per un obiettivo sentito come comune. A discapito, come è facile immaginare, della qualità del servizio erogato”. Ma come si possono risolvere situazioni di evidente surplus: gli alberghi, spesso, non possono permettersi di assumere stabilmente per la natura stessa del loro lavoro… “E’ qui che volewvo arrivare quando le parlavo di azione sinergica. Se è chiaro che gli alberghi con le loro forze non sono in grado di risolvere il problema, è altrettanto evidente che con un coinvolgimento più ad ampio raggio, e soprattutto con la volontà politica, anche questo genere di questioni potrebbero trovare soluzione. Non so, si può pensare a meccanismi di ammortizzatori sociali, ad alleggerire la tassazione sul costo del lavoro, ad aiutare le aziende a fare una politica di stabilizzazione del lavoratore. La nostra impressione, però, è che manchi la volontà”.

Simone Finotti

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