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Pmi e servizi: nerbo del mercato, fuori dagli appalti della PA

(Tratto da “GSA” n.5, Maggio 2010)

 

Nonostante lo Small business act e le numerose e importanti iniziative (a livello nazionale e europeo) a sostegno della piccola e media impresa, quest’ultima soffre ancora, in Italia, di una cronica difficoltà a partecipare a molte gare d’appalto, in special modo nella Pa. Gravi le difficoltà nel settore dei servizi.

 

Si dice spesso che le Pmi, in moltissimi settori del mercato, rappresentano il nerbo, l’albero maestro dell’economia italiana. E il comparto dei servizi certo non fa eccezione: anzi, se consideriamo attentamente le caratteristiche del segmento, ci renderemo immediatamente conto che la quasi totalità delle imprese in esso attive rientrerebbero nella definizione europea di piccola (o media) impresa.

Per vederci un po’ più chiaro: tra dipendenti e fatturati, cosa si intende per Pmi?

Nello stabilire le categorie di micro imprese e Pmi la nuova definizione entrata in vigore nel 2005 mantiene le soglie relative al numero di dipendenti, ma stabilisce un aumento considerevole del massimale finanziario (fatturato o volume totale del bilancio), principalmente per tener conto dell’inflazione e degli incrementi di produttività verificatisi dopo il 1996, data della prima definizione comunitaria di PMI.Va premesso che le classificazioni che seguono sono concepite per l’attività manifatturiera ove l’incidenza della manodopera sul valore del prodotto è notevolmente inferiore rispetto al comparto dei servizi integrati,definito appunto “labour intensive”.

Nello specifico, questi i nuovi parametri : impresa di media dimensione e’ quella che, sempre con un numero inferiore a 250 dipendenti, ha un fatturato annuale minore o pari a 50 milioni di euro (era 40 milioni nel 1996) e un totale di bilancio che non supera i 43  milioni di euro (27 milioni nel 1996, 43 nel 2005); e’ invece di piccole dimensioni l’azienda con meno di 50 dipendenti, un fatturato minore o pari a 10 milioni di euro (era 7 milioni nel 1996) ed un totale di bilancio sempre di 10 milioni (era di 5 milioni nel 1996); infine si considera di piccolissime dimensioni l’impresa con meno di 10 dipendenti, un fatturato inferiore o pari a 2 milioni di euro (cifra in passato non definita), la stessa cifra indicata anche per il totale di bilancio annuale. Per inciso: già nel 2005 si pensava ad agevolazioni mirate alla piccola e media impresa, sotto forma di semplificazioni nei finanziamenti provenienti da programmi statali o regionali, anche una facilitazione per quelli sotto la forma di capitale di rischio, riduzione degli oneri amministrativi attraverso un modello di autocertificazione volontaria.

 

Lo “Small Business Act”: il decalogo per le pmi

Diverse iniziative, peraltro, ci sono state: fra le più rilevanti, e recenti, lo “Small Business Act”. Con tale provvedimento la Commissione Europea tende a realizzare una corsia preferenziale per le Pmi, ponendo al primo posto della politica comunitaria gli interventi necessari alla loro valorizzazione: le pmi, è il caso di ricordarlo, sono al centro dei principali programmi di aiuto dell’UE per il periodo 2007-2013 e  la Commissione è fortemente impegnata ad eliminare le lungaggini burocratiche che le intralciano. Ebbene, lo Small business act sancisce i dieci principi che dovrebbero delineare la formulazione e l’attuazione di politiche a sostegno delle piccole e medie imprese sia a livello nazionale che europeo, oltre che una serie di misure che permettano di tradurre in azione i principi sottoscritti dai Ventisette paesi membri dell’UE. E in Italia? Giusto un anno fa, allo scopo di creare le migliori condizioni per garantire la competitività ed il rilancio delle piccole e micro imprese, il cui ruolo è fondamentale per lo sviluppo dell’occupazione e per la crescita economica, il  Ministero dello Sviluppo economico ha intrapreso una serie di misure a sostegno di questo settore, dando così seguito al progetto di uno “Small Business Act” per l’Europa della Commissione europea. Tra le azioni decise, il Fondo di Garanzia per le imprese che sale da 1,3 a 1,5 miliardi, tramite un emendamento che verrà presentato dal Governo al decreto sull’auto. Aumenta anche il plafond di garanzia, per ogni singola impresa, da 500 mila a 1,5 milioni di euro.

Vita ancora dura per le Pmi europee

Ciò premesso, qual è lo status quaestionis, a circa un anno di distanza dalla messa in atto di iniziative concrete finalizzate a facilitare lo sviluppo della piccola e media impresa? Lo diciamo subito: per certi versi è poco incoraggiante, se è vero che, il 17 marzo scorso, un articolo apparso sul Sole 24 Ore metteva l’accento sulle gravi difficoltà delle imprese a “piccolo e medio business” a partecipare agli appalti pubblici. Il dato, peraltro, non stupisce: già nel maggio del 2009 uno studio a cura di Ueapme, associazione che rappresenta le piccole e medie imprese europee, ha analizzato le misure adottate a livello europeo a sostegno delle Pmi e gli effetti concreti che queste hanno avuto sulla piccola imprenditoria. In parole semplici: in che misura le istituzioni europee e nazionali abbiano attuato gli impegni assunti con lo Small business act? Per quali aree sono state prese iniziative legislative ad hoc? Quale l’impatto delle misure adottate sulle piccole e medie imprese?

Lo dimostra uno studio Ueapme

La ricerca ha analizzato le misure adottate e con gli effetti che queste misure hanno avuto in diciotto stati membri, ossia l’Ue-15 più  Repubblica ceca, Ungheria e Polonia.  Stando ai risultati· pubblicati dall’associazione, governi e istituzioni Ue si sono dati da fare nel portare avanti iniziative e decisioni politiche legate allo Sba, ma i risultati ottenuti sono stati giudicati deludenti dalla maggior parte degli imprenditori del Vecchio Continente. Fra i più sentiti limiti nell’attuazione a livello nazionale dello Sba, sempre stando al sondaggio Ueapme, è da annoverare la mancanza di politiche che garantiscano l’accesso delle Pmi agli appalti pubblici. Quanto all’effettiva attuazione di provvedimenti per le pmi in linea con lo Sba, l’Italia si pone al di sotto della media europea del 48%, con il 45,7%.

La situazione italiana

E in effetti in Italia la situazione non è certo rosea. Fra gli altri, è stata Assolombarda a lanciare l’allarme, dopo aver raccolto una serie di indicazioni provenienti da associate: gli appalti pubblici, di valore sempre più alto, di fatto escluderebbero le Pmi dalla partecipazione: un’ulteriore riprova della scarsa attenzione della Pa alle caratteristiche del nostro tessuto produttivo. Se poi si pensa al settore dei servizi, la situazione appare ancor più complicata, soprattutto a causa della sproporzione fra valore della gara e requisiti finanziari richiesti per la partecipazione alla medesima. Orbene, come tutti gli addetti ai lavori sanno, è noto che la soluzione risiede nel subappalto: in poche parole le Pmi, tenute fuori dalla porta, rientrano dalla finestra, divenendo soggetti “subappaltatori” per global contractors di grandi dimensioni.Questa prassi,in un comparto dove il costo del lavoro costituisce l’85/90% del prezzo offerto,non lascia margini di intermediazione e spinge spesso i subappaltatori verso l’illegalità o comunque li rende impossibilitati a fornire le prestazioni contrattuali e quindi a non erogare la qualità attesa. Una ragione, lo si accennava, è il valore molto alto, e sempre crescente, degli appalti di servizi, che dal 2007 difficilmente scendono sotto i 2 milioni di euro. Questo, che per le stazioni appaltanti risulta un beneficio (un appalto di grandi dimensioni e comprensivo è evidentemente più comodo ed economico rispetto a una gara frantumata), si tramuta in un nodo difficilmente superabile per le Pmi. A ciò si aggiunga, ma ormai è chiaro, che in Italia la stragrande maggioranza di imprese di servizi rientra nella classificazione di Pmi (addirittura di Piccola, aggiungeremmo noi). Il gioco è fatto, dunque. Nonostante lo Sba e le diverse iniziative (lodevoli, certo) messe in atto per semplificare la vita (e il mercato) alle Pmi, queste ultime si trovano ancora impossibilitate a partecipare a gare di servizi nelle Pa se non sotto forma di subappaltatori.

Cosa poter fare?

Cosa si dovrebbe fare, dunque? Innanzitutto suddividere e ridurre in lotti più piccoli le gare, il che -stando alle proposte Assolombarda- spesso si potrebbe fare senza danni per gli appaltanti. Altre soluzioni, in tempi però più dilatati, si possono intravedere nella diffusione di strutture consortili, nello sviluppo di Ati (Associazioni temporanee d’impresa) e, forse ancora più lontano, nella crescita dimensionale delle imprese stesse. In Francia qualcosa si sta muovendo: di recente è stato siglato un “patto Pmi” fra 55 grandi committenti e 7200 piccole e medie realtà. Potrebbe essere una strada da seguire anche qui. Ultima precisazione: dal quadro sopra delineato è esclusa l’area definita dal mercato online (Consip), in cui vi sono procedure di accreditamento riservate alle Pmi, che in tal modo potranno accedere a bandi sotto la soglia europea. Le vie da percorrere, insomma, non mancano. Si auspica però, sulla scorta di quanto previsto dai provvedimenti dell’Unione Europea, una maggiore attenzione del pubblico per la specificità del mercato dei servizi, costituito per la stragrande maggioranza da realtà di ridotte o medie dimensioni.

 

Simone Finotti

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