Homeimprese & dealersLa Francia fa scuola di pulizia...e l'Italia prende appunti!

La Francia fa scuola di pulizia…e l’Italia prende appunti!

(tratto da: “GSA” n.10, Ottobre 2009)


Il sistema scolastico francese offre da anni ai suoi studenti un percorso formativo volto ad inserirli come tecnici professionisti nel mondo del cleaning. Vediamo come attraverso la testimonianza del segretario INHNI, Fabrice  Robert.


Nel corso del convegno organizzato da AFED lo scorso 10 giugno 2009,  il dottor Fabrice Robert, segretario generale dell’INHNI, l’istituto nazionale francese di formazione del settore delle pulizie, ha illustrato alcuni interessanti aspetti del sistema educativo e formativo di orientamento professionale nella pulizia, attualmente vigente in Francia. Riportiamo di seguito il testo integrale dell’intervento, così come tradotto dalla  dott.ssa Guidi, interprete in differita del discorso pronunciato in lingua madre dal dott. Robert.

«Innanzitutto vi ringrazio per avermi invitato a parlare di qualcosa che per noi in Francia è molto importante, al punto che noi lo chiamiamo “la via dell’eccellenza”. Perché la via dell’eccellenza? Perché si tratta di preparare dei giovani, e anche dei meno giovani, per inserirli nelle nostre imprese: impareranno dunque a toccare con mano queste esperienze. Quello che io oggi ho sentito finora corrisponde, punto per punto, a quello che noi stiamo vivendo quotidianamente. Forse voi siete ancora in una fase di apprendistato, noi forse siamo andati un po’ più avanti, ma i problemi sono gli stessi. Ecco perché sono molto contento di questa opportunità di illustrarvi oggi il nostro modello. Dovrò entrare in alcuni aspetti tecnici.

Quello che consente alla nostra esperienza di funzionare è il nostro sistema di finanziamento, in primo luogo ciò che riguarda le tasse. E poi arriveremo alla formazione. Innanzitutto abbiamo le imprese, abbiamo anche lo Stato. Le imprese pagano obbligatoriamente un’imposta, una tassa allo stato che corrisponde all’1,6% della massa salariale. Senza entrare nei dettagli delle percentuali, lo Stato poi ridistribuirà questo gettito. Si tratta di una imposta stabilita unicamente per la formazione. Significa che lo Stato non la può di certo utilizzare per la rottamazione delle macchine, per esempio. E poi lo Stato può usufruire di tasse come l’Iva, l’imposta sulle imprese, le tasse sul reddito, col cui gettito decide di finanziare la pubblica istruzione, che forma i giovani e i meno giovani al 100% nelle istituzioni scolastiche. Accanto a questo abbiamo i vari rami d’impresa e abbiamo i sindacati delle maestranze. Il denaro raccolto dallo Stato, attraverso anche gli oneri previdenziali, viene versato in un fondo di assicurazione per la formazione. Questo è un organismo di settore che è omologato, riconosciuto dallo Stato. Poi il sindacato dei datori di lavoro e il sindacato dei lavoratori decidono come sarà speso questo denaro. Una quota viene obbligatoriamente destinata alla formazione. Un’altra quota viene destinata a un altro tipo di formazione, quella di durata da uno a dieci giorni, che permette di creare nuove competenze, ma per persone che già lavorano. Inoltre, le imprese finanziano direttamente anche la formazione dei propri dipendenti, al di fuori della tassa obbligatoria. Infine, la categoria decide di finanziare dei licei, delle scuole di istruzione, utilizzando questi fondi. Infine le regioni, fondamentali nella nostra organizzazione, finanziano direttamente i centri di apprendistato. È chiaro quindi che disponiamo dei fondi necessari per finanziare la formazione in alternanza e la formazione dei giovani.

Per quanto riguarda l’apprendistato, l’atteggiamento dello Stato francese è fortemente positivo, perché sa bene che è un mezzo per garantire il lavoro ai nostri giovani. Lo Stato sa anche che il nostro settore, quello della pulizia, è in forte espansione. Senza voler dire che siamo ricchi ma per spiegarvi questo triplice sostegno nei confronti della formazione: innanzitutto all’interno dello stesso settore, gli imprenditori che appoggiano fortemente l’apprendistato, la formazione, perché sanno che porta vantaggi all’impresa; i sindacati dei lavoratori e infine lo Stato.

Abbiamo il denaro, ma ci vuole anche la volontà e ci vuole il metodo. Vi parlerò dell’aspetto metodologico. Gli addetti del settore si può dire che siano in un atteggiamento di ascolto del mercato. Ascoltando il mercato si capisce quali sono le future esigenze di qualificazione. Da un anno all’altro, queste potranno essere dimensionate, si potrà sapere quanti operatori dovranno essere formati in futuro, quanti addetti dovranno venire a riempire le fila in questo settore. In questo modo si può elaborare una risposta, in termini di formazione breve; noi la chiamiamo formazione continua, permanente, in quanto ci permette di elaborare delle competenze e dei know how tecnici. Per il medio termine, elaboriamo quello che chiamiamo CQP, Certificato di Qualifica Professionale, che, ci tengo a dire, non è un titolo di studio ossia non è un diploma. Ed è importante da ribadire per quanto riguarda la Francia, perché siamo molto attaccati all’idea del titolo di studio ed è qualcosa che può venire anche a vincolare, bloccare. Credo che anche in Italia sia la stessa cosa.

Dal punto di vista di questa formazione professionale, si ottiene il riconoscimento del possesso di competenze tecniche; si tratta di quella che noi chiamiamo la validazione delle esperienze, potere avere il riconoscimento, la convalida di ciò che si sa fare. Un’esperienza che abbiamo iniziato solo da due anni e che già riguarda 4000 utenti. Alcuni di questi certificati di qualificazione professionale fotografano la realtà di vari mestieri. L’altro aspetto importante è la pianificazione, per sviluppare la formazione.

Adesso vi spiegherò quello che è il nostro concetto di alternanza, che spiega il nostro tipo di prassi di approccio: abbiamo identificato i bisogni e su questa base formuliamo le risposte. L’alternanza riguarda in particolare degli utenti giovani e meno giovani. Come è organizzata l’alternanza? In questa filiera vediamo, come in altri settori come quello dell’edilizia, dell’ingegneria, una copertura completa di tutte le competenze e partiamo dal livello che noi chiamiamo Certificato di Attitudine Professionale sino ai livelli maggiori dei titoli di studio. Per quanto riguarda l’aspetto dell’età, capirete che si tratta di meno giovani, nel senso che l’età media sono i 21 anni, e anche per coloro che hanno il BTS, il Brevetto Tecnico Superiore, l’età è di 21 anni. Però, quando parliamo di età, lo facciamo in senso teorico, perché in realtà sono più anziani. In questo senso siamo in un settore formativo in cui non c’è un afflusso per via diretta, ci si arriva dopo altre esperienze, ma quando ci si arriva poi si prosegue, si resta.

Per quanto riguarda l’alternanza ci sono delle differenze. Quando si parla di alternanza, si parla spesso della scuola e dell’impresa, si parla della teoria e della pratica. Ci sono diversi modelli, diverse modalità di alternanza. Ci sono anche diverse durate. Le scuole possono scegliere autonomamente, è una scelta che possono fare da un anno all’altro ma che deve durare per l’intero anno. Questa è una scelta che faranno sulla base dei loro metodi didattici o di altre motivazioni. Questo per dire che il meccanismo dell’alternanza non è un meccanismo bloccato, chiuso. C’è un numero di ore, da 400 a 800, nella scuola, il resto nell’impresa. Se io dovessi dire qualche cosa al vostro ministro, io gli direi che questo sistema è un sistema che funziona, che funziona veramente. Ogni anno formiamo 2.000 tirocinanti, apprendisti, nelle nostre sette scuole CFA. Se lo dobbiamo definire, è un vero e proprio ascensore sociale, come diciamo noi».

Il quadro che abbiamo ricavato da questo intervento rende onore al merito di un sistema scolastico ben organizzato, come quello francese che fornisce ai ragazzi un solido ponte per trasformare le conoscenze in competenze professionali a cui poi garantisce anche uno sbocco occupazionale. Nulla di più distante dal sistema di formazione italiano, né strutturato né finanziato a livello nazionale dallo stato, bensì delegato all’iniziativa delle singole aziende e/o delle associazioni di categoria. Un problema serio, in quanto, con un atteggiamento screditorio e disilluso da parte delle istituzioni, non si può pensare di costruire nulla che vada al di là delle best practices, vere e proprie cattedrali nel deserto della Waste land educativo-formativa italiana.

È dunque necessario prendere esempio dai cugini francesi ed austriaci che hanno individuato nella pulizia un’opportunità ma al contempo un’esigenza di formazione scolastica professionale. Un percorso che AFED, l’associazione di riferimento per il settore del cleaning, porta avanti ormai da anni attraverso un percorso di (in)formazione che coinvolga quanti più attori possibili, nell’ottica fare del “pulitore” una figura professionale, un tecnico dell’igiene ambientale, con precise responsabilità e competenze. D’altronde, come ha ricordato Michele Redi proprio in occasione del Convegno Pulire Scuola «la pulizia  è un concetto ampio, che non si limita al gesto materiale di rimozione dello sporco, ma abbraccia ordini di idee e modalità di essere. Educare alla pulizia è quindi un impegno non da poco, perché richiede volontà, consapevolezza, conoscenze, competenze e strumenti: tuttavia non possiamo dimenticare che la pulizia sia la base del vivere e del convivere civile, nonché una priorità irrinunciabile per tutelare la salute della collettività. Ed è per questo che diventa essenziale istruire, nell’ambito delle figure professionali formate dalla scuola, un Tecnico dell’Igiene Ambientale, il cui profilo potrebbe essere come quello dei diplomati della scuola francese INHNI». Nel frattempo, prendiamo appunti.

Intervento tratto dagli atti del Convegno Pulire Scuola, forniti da AFED.

CONTENUTI SUGGERITI