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Issa Interclean 2010: Divide et Impera

(tratto da “GSA” n.5, Maggio 2010)

 

ISSA INTERCLEAN 2010: la grande paura è passata. La crisi globale, il vulcano islandese, dal nome impronunciabile ma nei pensieri (non benevoli) di tutti, per avere obbligato pressoché il mondo intero a una lunga pausa nel suo frenetico “andare”, erano l’incubo degli espositori di questa edizione della più attesa manifestazione internazionale del cleaning.

 

Noemi Boggero

 

Stand pronti, a costi di notevole impegno, per alcuni un passo più impegnativo di quanto avrebbero potuto permettersi, ma un passo che nelle speranze avrebbe dovuto avviarli verso l’uscita dal tunnel della recessione. L’incubo di corsie vuote di visitatori si è dissolto già dal primo giorno. Cieli aperti, voli ripresi e operatori a frotte. Meno numerosi della scorsa edizione (-2,12% fonte RAI), ma il dato è stato ampiamente giustificato, perché, comunque, 23.415 operatori provenienti da tutto il mondo (il 71% dei visitatori non erano olandesi) sono un toccasana benefico per chi ha l’esportazione nel proprio DNA aziendale. Come i fabbricanti italiani, che esportano in ragione di oltre il 70% della propria produzione, con punte che superano l’80%. E non solo. I fabbricanti italiani di macchine e attrezzature per il cleaning sono i più numerosi in termini assoluti. Per lo più aziende di piccole e medie dimensioni (con qualche colosso di levatura internazionale), che perpetuano il cliché dell’imprenditoria italiana, ora esempio da studiare, ora vincolata dalle proprie dimensioni.

A Issa Interclean erano oltre 150 le aziende italiane espositrici, pari a circa il 25%  del totale degli espositori.

Un successo per l’industria italiana? La domanda è d’obbligo, anche – e nonostante – dopo avere ascoltato i commenti di molti dei protagonisti. Accanto a considerazioni di grande soddisfazione, di più o meno esibito ottimismo per il prosieguo dei contatti avviati, recriminazioni e lamentele, più o meno accese, da parte di chi si è sentito, giustamente o ingiustamente, emarginato, perché collocato in quel famigerato padiglione 11, che già due anni orsono era stato vissuto come penalizzante.

Sorrisi e musi lunghi sono la rappresentazione del fallimento del sistema Paese. E, paradossalmente, più i sorrisi che i musi lunghi.

Il Made in Italy, lungi dall’avere confermato la propria supremazia, indipendentemente dal numero di contatti che ciascuna azienda può avere assunto nel proprio portafoglio (peraltro i contatti vanno valutati a qualche mese di distanza), è uscito sconfitto da quella che è apparsa come una guerra dichiarata nella sostanza, seppur negata a parole e dalla cortesia manifesta degli organizzatori, a un sistema che era andato via via consolidandosi e che era percepito come una minaccia sui mercati internazionali.

Una guerra dichiarata innanzitutto da RAI ad Afidamp Servizi, suo principale e più pericoloso competitor nei vari continenti: da Pulire Italia, alle edizioni internazionali di Pulire, presente in tutti i più importanti mercati emergenti, Afidamp Servizi contende da sempre a RAI la primazia del settore. Non a caso forse, mentre Amsterdam segna una costante, seppure lenta, emorragia di visitatori (l’edizione di quest’anno ha mimetizzato la diminuzione di presenze con l’alibi della crisi, ma la scorsa edizione aveva fatto registrare un -5%), Pulire fa registrare, ovunque, trend in crescita, compresa, quest’anno, e sottolineiamo quest’anno, la Spagna. Il che è tutto dire.. E se Pulire Italia, per essere il top delle manifestazioni, dovrebbe incrementare l’’internazionalità dei visitatori, non c’è dubbio che il sistema Pulire nel suo complesso rappresenti per RAI una concorrenza fastidiosa, perché porta il cleaning direttamente a casa dei potenziali visitatori, che prima di Afidamp Servizi, trovavano solo ad Amsterdam, ogni due anni, il panorama completo delle novità e l’occasione di incontrare i fabbricanti di tutto il mondo.

Ma Afidamp Servizi e Pulire hanno anche un ulteriore pregio/pericolo: portano in tutti i continenti l’eccellenza del Made in Italy targato Afidamp, un fattore che, con gli anni, è andato rafforzandosi, per la capacità dimostrata di fare squadra, grazie alla regia preziosa di un meccanismo organizzativo che ha saputo dare a tutti gli imprenditori italiani, grandi e piccoli, l’opportunità di potere essere presenti e visibili laddove il business è in espansione.

AfidampFAB ha fortemente voluto Pulire e ha creato i presupposti per contribuire a diffondere la produzione italiana nel mondo. E, nel corso della sua trentennale esperienza, ha cercato di perfezionare il processo di affermazione del Made in Italy a livello internazionale, facendosi carico, attraverso la Servizi, dell’organizzazione di collettive che costituissero un polo di massima attrazione, per essere la rappresentazione immediatamente visibile e riconoscibile dell’eccellenza della ricerca e della tecnologia italiane.

Che successo e quale orgoglio di appartenenza, nel 2002, proprio ad Amsterdam, per la collettiva italiana sotto l’egida di Afidamp! Uno squadrone compatto, in grado di sfidare, con la forza dell’unità e il supporto di una struttura efficiente, con l’eleganza e la qualità della produzione, con la flessibilità dell’organizzazione, tipica delle medie e piccole aziende italiane, i colossi tedeschi e americani sul loro terreno d’azione.

E questo ha recato disturbo, soprattutto perché, parallelamente, cresceva il prestigio di Afidamp Servizi nel mondo.

Ed è iniziata una sottile opera di erosione di questa compattezza, che ha trovato negli stessi italiani i partner più zelanti, vittime di quella sindrome da “cupio dissolvi”, che è tipica dell’italica indole.

L’Amstel Hall, l’area italiana, un po’ defilata, ma nella zona nobile della fiera, comunque teminal di un percorso pressoché obbligato, è stata via via ridimensionata, e si sono avute le prime defezioni: nomi importanti, stand di una certa dimensione, si sono riposizionati nei padiglioni “storici”, a coltivare il proprio orticello. Pur tuttavia, si poteva pensare che rappresentassero le avanguardie, un avanposto di quello che sarebbe stato il piatto forte dell’offerta italiana nel suo complesso, in grado di soddisfare qualsiasi esigenza. E ci poteva stare.

Ma poi è arrivato l’attacco frontale. La scorsa edizione ha colto tutti di sorpresa. Lavori in corso nell’Amstel Hall, necessità di ampliare e rimodernare lo spazio fieristico, un ripensamento del layout espositivo – queste le motivazioni ufficiali – hanno relegato la collettiva italiana, forte di oltre 130 componenti, nel padiglione 11, in fondo a sinistra, scollegato dal corpo centrale della fiera, raggiungibile attraverso un tunnel decisamente non invitante, per non dire scoraggiante, per visitatori abituati, da sempre, a un percorso preciso e definito.

Logiche e ineccepibili le lamentele degli espositori italiani, che si aggiravano imbufaliti tra gli stand, costosissimi, pressoché vuoti, addebitando ad Afidamp (non a RAI!) la responsabilità di non essersi fatta valere, di non avere battuto i pugni sul tavolo, di non avere imposto le proprie condizioni, in nome di quell’eccellenza e di quell’importanza che le aziende italiane hanno conquistato nel mondo.

Perché Amsterdam è Amsterdam, a prescindere. Perché il successo è individuale, ma l’insuccesso ha un colpevole e non importa se perdi la partita perché vengono cambiate le regole in corso di gara.

Afidamp non si è sottratta al j’accuse e ha convocato una riunione degli espositori italiani, per concordare una strategia da adottare per questa edizione. E da subito si è capito che forse non solo la battaglia, ma anche la guerra sarebbe stata persa.

Hanno aderito all’invito di Afidamp solo una trentina di aziende, che hanno però condiviso e sottoscritto la proposta di mantenere alla Servizi la rappresentanza totale delle aziende italiane. Ossia, RAI avrebbe dovuto avere solo in Afidamp Servizi l’interlocutore con cui trattare la presenza della collettiva italiana, fornendo garanzie precise di correttivi, tali da assicurare pari dignità e visibilità agli espositori sotto l’egida del tricolore.

Mandato pieno ad Afidamp Servizi e impegno a non trattare individualmente con gli emissari di RAI, calati in Italia e impegnati in un tour, porta a porta, che, invece, ha dato i suoi frutti……….”avvelenati”. Improvvisamente, nei padiglioni storici, si sono liberati centinaia di metri quadri e di postazioni, offerti alle aziende italiane. Che non hanno esitato a lasciarsi abbagliare dallo specchietto di RAI. Non si sono chiesti il perché di tanta liberalità. Non hanno riflettuto sull’opportunità di un’azione comune, tesa a portare al centro della manifestazione tutta la collettiva. Se ci fosse stata una presa di posizione comune, di tutti gli italiani, e in questo caso sottolineiamo di tutti, anche delle storiche avanguardie; se avessero supportato l’associazione e le avessero dato mandato di minacciare la defezione totale, in caso di non accoglienza della richiesta di collocare la collettiva nei padiglioni centrali, sostenendo impavidamente l’inevitabile braccio di ferro, oggi saremmo qui a commentare un successo totale.

Ma le cose non sono andate così. E le aziende italiane sono andate ognuna per conto proprio, confuse nel gruppone generale, dove spiccavano, per contro, le mini collettive americana, francese e inglese.

Perché Amsterdam è Amsterdam, a prescindere. Anche se l’Amstel Hall quest’anno spiccava per essere un desolante punto di ristoro, corredato da una ancor più desolante area dimostrativa. Sarebbe potuto ritornare a essere il padiglione italiano. Meglio che il padiglione 11, in ogni caso. Ma, mentre, a Pulire si chiede di tutto e di più, a ISSA Interclean, con sano provincialismo, si concede di tutto e di più, si subisce di tutto e di più.

Sì, ma i visitatori hanno continuato a privilegiare i padiglioni noti, affollando anche gli stand degli italiani che c’erano, lasciando ai margini gli altri. Indubbiamente, in questo caso c’è chi ha vinto – apparentemente – la propria personale battaglia, e pazienza per gli sconfitti.

Ma siamo proprio sicuri che siano gli altri gli sconfitti? Esistono, e la storia ce lo testimonia, le vittorie di Pirro.

Facendo squadra, si sacrifica un po’ del particolare oggi, ma si guadagna in prospettiva, perché si possono sfruttare le sinergie che l’unione consente.

Lasciando che la squadra si sgretoli, si può guadagnare individualmente un punto oggi, ma si lascia aperto un varco all’ingresso di concorrenti, come i cinesi, che altro non aspettano che segnali di debolezza per imporre la propria presenza.

E a RAI non importa chi paga gli stand.

 

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