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Who cares?

(Tratto da “GSA Igiene Urbana” n.2, Aprile-Giugno 2008)


Il calo dei consumi, la recessione, il problema della quarta settimana…ma i rifiuti urbani continuano inesorabilmente a crescere, né si riesce a contrastare questa crescita con un aumento almeno di pari dimensioni della raccolta differenziata. Le soluzioni ci sarebbero, ma non sempre e non dappertutto vengono adottate con il necessario impegno.


In altre parole, chi se ne frega se i rifiuti continuano a crescere e non si fa abbastanza per contrastare questo fenomeno? Alcune considerazioni alla luce del recente Rapporto Rifiuti 2007 prodotto dall’APAT

LE EMERGENZE

La citatissima Leonia di calviniana memoria veniva soffocata progressivamente dai propri rifiuti, rifiuti che la società dei consumi sembra non smettere mai di produrre: imballaggi di ogni genere, prodotti usa e getta, mode e tendenze che rendono obsoleti oggetti ancora perfettamente in grado di assolvere alle proprie finalità, scarti di una società opulenta che identifica nel consumo in quanto tale la manifestazione più clamorosa del proprio benessere…insomma Leonia si sta palesando concretamente e si va moltiplicando un poco ovunque: in Campania attraverso una conclamata pluriennale emergenza, in altre regioni magari in maniera meno evidente per via delle contromisure che si sono adottate, in altre ancora soltanto attraverso i primi sintomi di una emergenza che sembra bussare alle porte.

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È ben noto, questo fenomeno, a tutti coloro che della materia si occupano in ogni parte del mondo, tant’è vero che la gerarchia degli interventi previsti per una corretta gestione dei rifiuti urbani, a livello UE, pone da sempre al primo posto il tema della riduzione della produzione di rifiuti: in altre parole, la prima cosa da fare, sembra ovvio, è quella di produrre meno rifiuti; sembra ovvio, ma tanto ovvio non deve essere, se è vero com’è vero che, almeno nel nostro Paese, i rifiuti urbani prodotti sono in continuo, costante aumento.

LA PRODUZIONE DEI RIFIUTI URBANI

Il periodico Rapporto Rifiuti prodotto dall’APAT, Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, ce ne dà ampia conferma. Il Rapporto porta la data del 2007, ma i dati riportati sono quelli dell’anno precedente: ebbene, nel 2006 la produzione complessiva di rifiuti urbani è risultata pari a 32.523.000 tonnellate, con una crescita di quasi 900.000 tonnellate sull’anno precedente e di ben 6.500.000 tonnellate rispetto a dieci anni prima!

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

Il grafico sopra riportato evidenzia che, nel decennio considerato, la crescita è stata appunto costante, senza “cedimenti”, senza soluzioni di continuità, e ciò a dispetto della citata gerarchia comunitaria e a dispetto anche di quanto prescritto dalla normativa nazionale.
Il fenomeno è comunque generalizzato. La crescita nella produzione dei rifiuti riguarda tutte le regioni, dal Nord al Sud, senza eccezioni.
Vediamo più in dettaglio, a riprova di questa affermazione, l’evoluzione della produzione nell’ultimo quinquennio a livello regionale:

Produzione totale di rifiuti urbani per regione, anni 2002-2006 (tons)

Regione

2002

2003

2004

2005

2006

Piemonte

2.133.155

2.131.638

2.229.526

2.228.730

2.277.691

Valle d’Aosta

70.667

77.713

72.632

73.646

74.795

Lombardia

4.579.831

4.630.974

4.791.128

4.762.095

4.943.512

Trentino A.A.

478.894

461.067

477.588

477.883

492.253

Veneto

2.177.344

2.136.221

2.185.200

2.273.079

2.379.467

Friuli V.G.

603.432

588.624

590.302

603.087

596.777

Liguria

954.302

936.722

953.157

967.640

978.416

Emilia Rom.

2.634.690

2.612.970

2.728.640

2.788.635

2.858.942

Nord

13.632.315

13.575.928

14.028.172

14.174.795

14.601.853

Toscana

2.353.705

2.391.784

2.492.156

2.523.261

2.562.374

Umbria

467.969

471.975

477.133

556.528

577.332

Marche

794.386

793.009

824.157

875.571

868.375

Lazio

2.978.285

2.929.093

3.147.348

3.274.984

3.355.897

Centro

6.594.344

6.585.860

6.940.794

7.230.344

7.363.978

Abruzzo

611.550

631.694

678.017

694.088

699.600

Molise

117.097

119.810

122.979

133.365

129.497

Campania

2.659.996

2.681.884

2.784.999

2.806.113

2.880.386

Puglia

1.806.588

1.917.938

1.990.453

1.977.734

2.080.699

Basilicata

228.676

239.410

237.261

228.496

236.926

Calabria

859.193

889.083

944.409

935.620

950.778

Sicilia

2.520.782

2.540.416

2.544.316

2.607.788

2.717.967

Sardegna

833.188

851.697

878.183

875.206

860.966

Sud

9.637.069

9.871.932

10.180.618

10.258.409

10.556.819

Italia

29.863.728

30.033.721

31.149.584

31.663.548

32.522.650

(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

Il nostro Paese, nel periodo considerato dalla tabella sopra esposta, ha aumentato la produzione di rifiuti urbani nella misura del +8.9%, ma il Nord è cresciuto soltanto del 7.1%, il Sud del 9.5% e il Centro di ben l’11.7%. Nel complesso, una crescita di tutto rilievo, preoccupante per le dimensioni che ha raggiunto non meno che per la sua costanza: siamo cioè ben oltre la mezza tonnellata pro capite, siamo grosso modo a una produzione pro capite giornaliera di un chilo e mezzo di rifiuti al giorno! È vero, questo è un dato medio che rispecchia differenti realtà, come evidenziano il grafico e la figura che seguono:

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

Le variazioni, da regione a regione, sono molto vistose, passando dai circa 400 chili pro capite annui della Basilicata sino ai 700 della Toscana, e qui forse vale la pena di sottolineare che i dati possono anche essere parzialmente falsati dai diversi criteri di classificazione dei rifiuti, e in particolare dai diversi criteri di assimilazione adottati a livello regionale (manca probabilmente un modello omogeneo di contabilizzazione e di acquisizione dei dati), ma ciò non toglie che la crescita sia sotto gli occhi di tutti, e almeno apparentemente irrefrenabile. Né si ha la sensazione che si sia riusciti, almeno sino ad ora, ad impostare significative azioni volte alla riduzione della produzione di rifiuti.

LA PREVENZIONE

Si è spesso fatto osservare, in passato, come vi fosse una correlazione abbastanza stretta tra la produzione di rifiuti e la produzione di ricchezza, ovvero il PIL: addirittura, negli ultimi tempi la crescita dei rifiuti è parsa più forte rispetto all’indicatore della ricchezza prodotta; ebbene, penso che si debba operare nella direzione di interrompere questa correlazione, perché è del tutto evidente che i costi di gestione dello smaltimento, non potendo e non volendo più ricorrere alla economicissima ancorché poco eco-compatibile discarica, tendono ad aumentare, e dunque la ricerca di efficacia, efficienza ed economicità del sistema passa inevitabilmente attraverso un grande sforzo di prevenzione.
È chiaro come ciò dipenda solo in misura molto parziale dall’iniziativa dei cittadini, mentre dovrebbero essere il comparto industriale e quello distributivo a farsi carico del peso prevalente di tali attività, riconducibili ai concetti di produzione eco-sostenibile e di logistica eco-sostenibile: riduzione e semplificazione degli imballaggi (attraverso il cosiddetto ecodesign), sviluppo delle ricariche, introduzione di meccanismi cauzionali, sostituzione di materiali non riciclabili o di difficile riciclabilità con altri più idonei al recupero di materia, prodotti posti in vendita “alla spina”, eccetera eccetera, sono solo alcune delle opzioni che potrebbero indurre un rallentamento nella produzione dei rifiuti. Non che i cittadini non debbano fare nulla, tutt’altro: il riutilizzo dei contenitori, una minore “frenesia sostitutiva”,  ovvero un modello culturale più consono alle dimensioni del problema e ai criteri di sostenibilità, l’indirizzare le proprie scelte su prodotti “verdi”, su prodotti sfusi o con imballi ridotti allo stretto necessario e così via sono contributi che ciascuno di noi può dare al sistema, ma insomma rimango convinto che i passi più significativi li debbano fare i comparti sopra citati, quelli cioè chiamati a rilevanti cambiamenti nelle politiche di prodotto.
È pur vero che stiamo assistendo ad un proliferare di iniziative, sul versante dell’industria (specie nella direzione di progettare imballi eco-compatibili), della distribuzione (sono abbastanza numerose le realtà commerciali che cominciano a proporre acquisti “alla spina”), degli enti locali (in particolare sembrano essere attivi i comuni associati ad Agenda 21 Rifiuti Network, come si può leggere in altra parte di questo giornale), e tutto ciò va indubbiamente nella giusta direzione, ma ancora non si percepiscono risultati significativi rispetto all’auspicabile inversione di tendenza.

LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

L’ondata dei consumi, e di conseguenza dei rifiuti, continua a crescere e lo sviluppo della raccolta differenziata non regge, almeno per ora, lo stesso ritmo di crescita.
Infatti, a fronte delle quasi 900.000 tonnellate di rifiuti prodotti in più nel 2006 rispetto all’anno precedente, la raccolta differenziata è cresciuta soltanto di poco più di 700.000 tonnellate, con un saldo negativo, quindi, di circa 150/200.000 tonnellate in più da smaltire per incenerimento o in discarica.
La raccolta differenziata quindi, altra priorità assoluta, assieme alla prevenzione, nella gerarchia degli interventi fissata dall’Unione Europea e fatta propria dalla normativa nazionale, continua sì a crescere, ma non abbastanza per contrastare la crescita dei rifiuti. In più, come al solito, come denunciato anche da queste pagine decine di volte negli anni, la raccolta differenziata continua a marciare a tre velocità, con il solito Nord “virtuoso”, il solito Sud in clamoroso ritardo, il solito Centro che naviga nel mezzo.
Diamo un’occhiata ai grafici del Rapporto APAT:

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

Questo primo grafico sottolinea in maniera molto evidente quanto qui sopra affermato: il Nord, praticamente al 40% di incidenza, ha realizzato gli obiettivi di legge, e lo ha fatto con una crescita costante di due-tre punti all’anno nel quinquennio preso in esame, pur partendo da valori già notevolissimi (il 30.6% del 2002); il Centro è cresciuto mediamente di poco più di un punto all’anno, pur partendo da valori molto bassi (meno della metà rispetto al Nord nel 2002); il Sud è pure cresciuto di un punto all’anno, ma partendo da valori irrisori e naviga tuttora ad un’incidenza del 10%, un quarto appena di quanto realizzato al Nord, trascinando pesantemente il Paese verso il basso, verso valori medi che lo pongono ancora molto lontano dagli obiettivi fissati dalle normative sia comunitaria che nazionale.
Il fatto che i tassi di crescita della raccolta differenziata, nel divario sostanziale di efficacia ed efficienza tra le tre macro-regioni, si mantengano tutto sommato costanti nel periodo esaminato, sottolinea come tuttora permangano differenti livelli di sensibilità ed attenzione alla applicazione di modelli sostenibili di gestione da parte di molte, troppe amministrazioni locali, che continuano impavide a trascurare questo fondamentale tassello senza rendersi conto, o forse infischiandosene, che così facendo si avviano inesorabilmente verso sempre nuove emergenze.
Evidentemente quanto sta accadendo in Campania non rappresenta un sufficiente deterrente, né la presenza dei cosiddetti Commissari sembra avere partorito granché! Salvo alcune lodevoli eccezioni, di cui farò cenno più avanti, sembra prevalere una sindrome tutta italiana, la “Sindrome Chissenefrega”! Staremo a vedere…
La “Sindrome Chissenefrega” sembra avvalorata dalla figura e dal grafico di seguito riportati, sempre tratti dal Rapporto APAT:

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

La regione più virtuosa appare il Trentino Alto Adige, che con il suo 49.1% di raccolta differenziata ha già praticamente raggiunto nel 2006 il traguardo fissato per legge alla fine del 2009; a ruota segue il Veneto, con il 48.7%, seguito dalla Lombardia (43.6%) e dal Piemonte (40.8%): queste sono le quattro regioni che maggiormente si sono impegnate sul fronte della raccolta differenziata, le regioni alle quali dunque occorre necessariamente guardare; non stiamo parlando di piccole realtà, stiamo parlando di milioni e milioni di cittadini, stiamo parlando di regioni fortemente industrializzate, stiamo parlando insomma di riferimenti estremamente importanti; in materia di raccolta differenziata io credo che non ci sia nulla da inventare, io credo che sia sufficiente copiare quello che altri hanno già fatto con buoni risultati; ma anche copiare sembra essere una pratica troppo impegnativa…al punto che anche nel Nord “brilla” in senso negativo una intera regione, la Liguria, che sembra anch’essa vittima di sindromi pericolose, visto che non riesce ad andare al di là di un modesto 16.7% di raccolta differenziata, pur confinando con regioni d’avanguardia!
Nel Centro Italia, brilla su tutte la Toscana, che supera il 30%, ma brilla in negativo il Lazio, con un modestissimo 11.1%, con una capitale che stenta a decollare.
Se poi passiamo alle regioni del Sud, i livelli di raccolta differenziata sono drammaticamente bassi, dall’11.3% della Campania al 6.6% della Sicilia passando per l’8.8% della Puglia e l’8% della Calabria…tutte regioni da molti anni “commissariate”!
Cadono le braccia.
A undici anni dal Decreto Ronchi (la legge quadro che per prima in Italia fissava obiettivi “vincolanti” di raccolta differenziata), a diciassette anni dal Decreto Toepfer (quello che diede il via ufficialmente alla raccolta differenziata e più in generale al modello di gestione integrata dei rifiuti in Germania), a quindici anni dalla Legge Regionale 21 della Lombardia (una delle prime, anche se non la sola regione a iniziare con largo anticipo un percorso virtuoso, come evidenziano i grafici sopra riportati), dopo centinaia di interventi di politici, di tecnici, di associazioni ambientaliste, centinaia di convegni e seminari, decine di cosiddetti commissariamenti, nonché un certo numero di emergenze reali o annunciate, tutte cose che avrebbero dovuto sensibilizzare o anche forzare gli amministratori locali; dopo tutto ciò, cadono le braccia, dicevo, nel constatare come ancora il nostro Paese risulti tanto arretrato rispetto ad una pratica oramai generalmente accettata come parte essenziale e integrante di uno sviluppo sostenibile.

Sarebbe forse ora di passare alle maniere forti, se ciò non suonasse politicamente scorretto…

Ci sono però, l’avevo anticipato, diverse lodevoli eccezioni rispetto alla Sindrome Chissenefrega, e vorrei qui ricordare l’incremento significativo fatto registrare dalla Sardegna che, in un solo anno, è passata dal 9.9% al 19.8%, o i risultati altrettanto notevoli delle province di Salerno (approdata nel 2006 ad un incoraggiante 21.3%) o di Avellino (19.3%); vorrei anche ricordare che nella tribolatissima regione Campania, oltre ai risultati provinciali di cui sopra, sono numerosi i comuni che hanno avviato con notevole successo progetti di raccolta differenziata spinta, andandosi a piazzare molto brillantemente nelle graduatorie dei Comuni Ricicloni di Legambiente.
Dunque si può fare, “yes we can” direbbe Barak Obama.

IL NON-MODELLO DI GESTIONE ATTUALE

Certo non si può continuare ancora a lungo a smaltire la maggior parte dei rifiuti urbani in discarica:

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

Poco più del 50% dei rifiuti infatti, come evidenzia la “torta” qui sopra, finisce ancora nei buchi scavati qua e là nel nostro territorio, e ciò evidentemente non è compatibile con un moderno sistema industriale di gestione dei rifiuti. È superfluo ricordare come la discarica dovrebbe, a rigore, ricoprire un ruolo niente più che residuale, ossia limitato ai residui delle lavorazioni precedenti, tutte rivolte al recupero di materia e, marginalmente, di energia. Questo ruolo residuale è quello che era stato definito giusto undici anni fa dal Decreto Ronchi, né sono intervenute modifiche a tale principio negli anni successivi: tuttavia, questi sono i numeri.

E naturalmente bisogna tenere presente che quanto sin qui evidenziato si riferisce solo ed esclusivamente ai cosiddetti rifiuti urbani che, ricordo, ammontano a quasi 33 milioni di tonnellate: non dimentichiamoci però degli oltre 107 milioni di tonnellate di rifiuti speciali prodotti annualmente in Italia (6 dei quali classificati come pericolosi), anch’essi in costante crescita, e che pure vedono nella discarica una fondamentale modalità di smaltimento:

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(fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007)

PROSPETTIVE

Quello che appare evidente, a questo punto, è che il nostro Paese è chiamato a produrre uno sforzo rilevante, nei prossimi anni, per modificare in maniera sostanziale gli attuali trend: abbiamo visto come siamo in presenza di gravissime emergenze, ma anche come altre emergenze siano alle porte; abbiamo visto come, in materia di prevenzione, e nonostante numerosi tentativi di introdurre elementi di novità, siamo ancora molto lontani da modelli efficaci ed efficienti; abbiamo visto come la produzione dei rifiuti urbani prosegua a ritmi importanti, a riprova che anche sul piano dei comportamenti molto vi è da fare; abbiamo visto come la raccolta differenziata, la principale “risposta” al come gestire al meglio i rifiuti, sia ancora fortemente arretrata in larghissima parte del Paese; non ne ho parlato qui sopra, ma è sotto gli occhi di tutti come da più parti si pensi di risolvere il problema attraverso la costruzione di nuovi inceneritori, ossia di vedere nell’incenerimento una risorsa strategica e non, come forse dovrebbe, un tassello complementare di un sistema basato in grande prevalenza sul recupero di materia; abbiamo visto tutto ciò, e allora è a tutti questi problemi che occorre dare una risposta, efficace efficiente ed economica, ma anche e forse soprattutto tempestiva: non c’è più tempo da perdere, ogni ulteriore ritardo avrebbe ripercussioni gravissime sul nostro Paese.

Fortunato Gallico

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