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Sentimenti dell’abbandono

(tratto da “GSA Igiene Urbana n.2 – Aprile/Giugno 2010)

Il momento in cui ci separiamo da un oggetto perché non ci serve più, non ci piace più, non lo vogliamo o non lo possiamo più tenere difficilmente si svolge nell’indifferenza. Nel momento del distacco emerge il suo valore affettivo, come se ci separassimo anche da una parte della nostra vicenda esistenziale; o da quella di una persona amata; o anche di chi caro non ci è più. Ma non per questo il distacco ci lascia indifferenti.


Ci siamo già occupati anni fa del romanzo La discarica di Paolo Teobaldi (1998) dove vengono esposte le vicende intervenute dopo la separazione del protagonista, Tiziano Rossi, detto Tizio, dalla moglie Natalìa Trecca, detta Lia. La prima delle tre parti di questo romanzo è dedicata allo svuotamento dell’appartamento che il protagonista aveva condiviso per oltre trent’anni con la moglie da cui ha finalmente deciso di separarsi. In malo modo: “Dopo trent’anni si erano fatti la dichiarazione di disamore, cioè che nessuno dei due sopportava più l’odore dell’altro, il pulviscolo che ciascuno emanava camminando per casa”.

Questa narrazione illustra come la difficoltà di scindere le “cose” dal senso di cui sono portatrici, cioè dai rimandi al nostro e all’altrui vissuto, si presenta con forza dirompente nel caso in cui il distacco dagli oggetti che hanno contrassegnato il nostro passato ispira o alimenta sentimenti “cattivi”, di malevolenza. Soprattutto quando il distacco da questi oggetti accompagna l’addio senza rimpianti a una lunga fase ormai conclusa della nostra vita; una fase in cui le caratteristiche delle cose di cui ci disfiamo hanno concorso a definire un ambiente sociale, uno stile d vita, una cultura, una visione del mondo da cui si intende prendere congedo.

Anche Lia, come molti di noi, aveva l’abitudine di conservare tutto e non buttare via niente; ammassando però gli oggetti in casa senza alcun ordine e con pochissimo amore.

Da loro vigeva ormai da vent’anni uno speciale regime di comunione dei beni, il regime di Lia, secondo il quale in casa tutto era suo; tutto serviva o sarebbe potuto servire; tutto andava conservato ma niente andava tenuto in ordine; e nessun oggetto serviva per lo scopo per cui era stato costruito.

Così, l’inventario degli oggetti trovati mano a mano che Tizio procede nella pulizia della casa, stanza dopo stanza, è un  catalogo di cose inutili; che Tizio passa in rassegna diviso tra un senso di liberazione e un violento rancore nei confronti della ex-moglie, verso le cui manie si pente di essere stato troppo indulgente. Quella rassegna di oggetti diventa così un’autoanalisi della propria esistenza e ogni cosa gli ricorda un momento o un aspetto della sua vita coniugale verso il quale non riesce più a provare che rancore e risentimento.

Nel distaccarsi da tutte quelle cose, Tizio però non pensa e non vuole recuperare alcunché: né per sé né per chicchessia. Vuole solo sbarazzarsi di quella montagna ormai inutile di cianfrusaglie e allontanare con essa i ricordi che quegli oggetti richiamano. Così  destina alla nettezza urbana e alla discarica tutto quello che metodicamente preleva da scaffali, armadi e ripostigli, e che di notte va a depositare nei cassonetti dei condomìni vicini, per non intasare quelli del suo.

Ma anche in questo caso il compito risulta superiore alle sue forze e quando Tizio passa allo svuotamento della cantina, la mole degli oggetti accumulati e mai buttati in tanti anni di matrimonio lo costringe a ricorrere a un’impresa specializzata. Rappresentata, nella fattispecie, da un netturbino che fa in proprio lo sgombero cantine come secondo lavoro e dal suo assistente di colore: due personaggi che Tizio incontrerà di nuovo nelle parti successive del romanzo, quando, cacciato dalla scuola dove insegna, troverà anche lui lavoro come netturbino; prima di diventare custode e direttore della locale discarica e lì ritrovare l’amore in una giovane trasportatrice di rifiuti.

 

Un catalogo degli orrori

 

La tonalità affettiva improntata al rancore che domina il racconto di questo sgombero trasforma l’inventario effettuato da Tizio in un vero e proprio catalogo degli orrori; che ci spinge a condividere il suo giudizio secondo cui niente o quasi di ciò che incontra nella propria casa merita di essere salvato. In cucina frigorifero e congelatore sono intasati da blocchi di ghiaccio (nessuno dei due coniugi fa un grande uso della cucina di casa da parecchio tempo) che, trasferiti sul lavello, lasciano lentamente emergere “forme, sentori e colaticci di volta in volta diversi: pesce, baccalà, broccoli, sanguinaccio, costarelle di maiale; e il siero già aveva cominciato a raccogliersi nei solchi paralleli in acciaio inox”. Ma è lo stesso Tizio a rendersi conto che “non erano i cibi che erano grevi, era la grevità della sua vita”.

Sgombrando il bagno, Tizio rivede mentalmente “tutti i cessi della sua vita”; quelli di tutti i posti che ha dovuto frequentare: asili nido, scuole, distretto militare, caserme, stazioni, stazioni di servizio, aeroporti, casini, vespasiani di cemento, roulotte, cantieri edili, ospedali di un tempo.

In camera da letto ritrova, “senza alcun piacere”, degli scatoloni con i ricordi dei nonni, che sapeva benissimo di aver buttato via e che adesso ritornavano fuori, ripescati da Lia nella spazzatura. Anche “il lettone matrimoniale, che una volta aveva sostenuto le capriole dei figli e prima ancora le loro” non suscita ormai che amarezza: “via la sopracoperta, via la coperta, via le lenzuola pulite, che anni addietro erano meno immacolate e si capiva al volo che cosa vuol dire scoprire gli altarini, via la traversa di spugna e il mollettone sotto i materassi”.

Nel ripostiglio una pila di barattoli di salsa di pomodoro preparata in casa gli dà la nausea, perché gli ricorda le giornate passate a imbottigliarla nella casa dei suoceri (“Quello era il rito clanico della fine dell’estate”). Negli ultimi piani del ripostiglio Tizio trova “un giacimento che stemperò la sua rabbia dapprima in tenerezza e riso, poi in rabbia e terrore”: decine e decine di pappine dei figli gemelli, vecchie di 25 anni, omogeneizzati e latte in polvere scaduti da altrettanto, biberon a sfare, ciucciotti di gomma ed altri ingredienti dell’alimentazione dei bebé.

Non sortisce risultati migliori, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare nella casa di un insegnante, l’ispezione della libreria: “Libri libri libri tomi volumi cofanetti fascicoli opuscoli estratti plaquettes, rilegati a filo di refe o brossurati con uno sputo di colla presi dallo scaffale più alto e deposti sul tavolo, preventivamente sgombrato e ricoperto di un telo di plastica, per controllarli”. Anche il libro, investito dall’atmosfera ormai opprimente che si è insediata da tempo nella casa, perde la sua natura di libro:

Dopo i classici cominciavano improvvisamente i non-libri di Lia, libri di testo di quando frequentava la Ragioneria, i libri di cucina di una donna che non cucinava più e ormai mangiava sempre fuori casa…libri di divulgazione sessuale, sesso orale cioè parlato chiacchierato illustrato fotografato, tutto meno che praticato con lui sotto le lenzuola…poi i libri di giardinaggio e le dispense-omaggio dei settimanali ancora da rilegare, mai rilegate perché incomplete, e poi i libri omaggio ottenuti coi punti dei frollini dei formaggini dei salumi dei cacciatorini e della pasta; e poi i cataloghi dei prodotti commercializzati dall’ingrosso del suocero.

Di quella loro costipata libreria, conclude, “valeva la pena di essere salvato non più del 5 per cento: per cui non gli restò che inscatolare il rimanente 95 per cento per l’ultimo trasporto”. La compenetrazione tra cose e sentimenti – in questo caso tutti negativi – è così forte che la voglia di chiudere definitivamente con il passato si riverbera su tutti gli oggetti che Tizio prende in mano durante lo sgombero. Nella foga di cancellare il proprio vissuto, anche il destino delle cose sembra segnato: né lui ne chiunque altro potrà o dovrà più servirsene, perché quegli oggetti sono portatori di una sorta di peste in grado di seminare un contagio.

 

Uomini e cose

 

E’ difficile sottrarsi all’idea che la richiesta di una nuova vita, di avere un nuovo padrone, di essere ancora utilizzati, che alcuni di noi sentono provenire dagli oggetti dismessi, abbia a che fare con la cura con cui sono stati a suo tempo scelti e tenuti. Mentre la condanna irrevocabile alla discarica che sembra promanare dalle caratteristiche stesse degli oggetti passati in rassegna da Tizio ha molto a che fare con i suoi sentimenti per la moglie e per quella casa dove tutto era comunque proprietà indiscussa di Lia.

Così, l’uso e il riuso delle cose della nostra come dell’altrui vita quotidiana sembra saldarsi strettamente non solo con i sentimenti che nutriamo e coltiviamo nei loro confronti, ma anche e soprattutto con quelli che proviamo nei confronti delle persone che le hanno avute in uso o che potrebbero averle in uso una seconda volta. Una società solidale e conviviale è anche un consorzio umano dove le cose “chiedono” di essere usate da molti, di avere un nuovo padrone quando hanno perso quello precedente.

Una società competitiva e rancorosa è violenta verso le cose come lo è verso le persone e il suo sogno è la periodica distruzione degli oggetti che costellano la vita quotidiana; premessa e manifestazione di un oblio del proprio passato, delle proprie radici, del proprio essere.

 

Uno spaccato della società

 

Quando Tizio passa all’inventario del garage, la musica cambia. Non solo perché l’operazione verrà delegata a un uomo del mestiere, e ci penserà lui a decidere che cosa fare di ogni oggetto che trova, senza la rabbia e il rancore da cui Tizio si lascia sopraffare. Ma anche e soprattutto perché nel garage di Tizio e Lia ritroviamo finalmente qualcosa che potrebbe avere a che fare con le potenzialità del riuso. Se ne farà carico la piccola impresa di sgombero. Quello che ciascuno di noi – alla fine, nemmeno Lydia – non ha quasi mai la forza, la capacità o la voglia di portare a termine da solo, può essere preso in carico da altri: da persone o strutture che svolgono per mestiere o per vocazione questo fondamentale ruolo di intermediazione tra chi vuole o deve disfarsi di un oggetto e chi è disposto a riusarlo: nella stessa o in una diversa funzione.

L’aspetto che prevale anche nel garage di Tizio è comunque il disordine:

Così riapparvero cinquant’anni di accumulazione secondaria disposti su sbilenche scaffalature metalliche che con gli anni si erano completamente riempite dei resti loro e dei loro antenati: i quali, morendo, oltre al dolore, ai sensi di colpa e a un gran vuoto, avevano lasciato in eredità un gran pieno di oggetti inservibili, ma non per la Lia! Di mobili smontati soprammobili vestiti biancheria tegami stoviglie attrezzi elettrodomestici panni libri materassi bastevoli a una comunità: impossibili da usare nel frattempo perché, pur essendo partiti in ritardo di venti-trent’anni, anche Natalia e Tiziano, nel loro piccolo, avevano provveduto ad accumulare qualcosa.

In primo piano c’è la “parte visibile” di questo vero e proprio bazar. Ma dietro a questa prima fila “c’era l’invisibile”: altri tre, forse quattro strati contigui. Quel “secondo girone” viene raggiunto ed esplorato solo dopo cauti sondaggi effettuati con un bastone da sci.

Appresso: il segmento dell’automobile, residui e accessori della loro utilitaria…In quella specie di supermercato degradato dove nessun oggetto era funzionante né in vendita, partiva poi un piccolo reparto Bagni&Sanitari…In ultima fila, contro il muro dell’inagibile collettore, c’erano le cucine economiche a legna” dei suoceri e del loro numeroso parentado.

E, per completate il museo degli orrori trovati in casa, ecco un oggetto che, una volta buttato, Tizio ritroverà poi nella discarica dove concluderà la sua carriera di addetto all’igiene urbana:

in terza e quarta fila, sempre procedendo a naso e aiutandosi col sondino, Tizio individuò anche i regali del cognato dentista…Era un orologio da parete che riproduceva la dentatura completa di un adulto senza carie col quadrante circolare in plastica viola composto da due semicerchi, uno per l’arcata superiore della mascella, l’altro per quello inferiore della mandibola, con tutti i 36 denti ben in rilievo: un oggetto mostruoso e minaccioso, con tutti quei dentoni in rilievo, di notte luminosi perché bagnati di fosforo, che somigliava alla bocca spalancata di uno squalo in un museo di storia naturale.

 

Guido Viale

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