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Produrre meno rifiuti, consumare meno risorse

(Tratto da “GSA Igiene Urbana” n.4,Ottobre-Dicembre 2010) La nuova edizione delle Linee Guida sulla prevenzione dei rifiuti urbani offre una gamma completa di indicazioni per l’adozione di buone politiche per ridurre la mole dei rifiuti urbani che ci sommerge, attingendo all’ampio data-base di buone pratiche raccolte da Federambiente.

A cura dell’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti (ONR) e della Federazione italiana servizi pubblici igiene ambientale (Federambiente) è stato recentemente pubblicato un aggiornamento al 2010 delle Linee guida sulla prevenzione dei rifiuti urbani, la cui prima edizione risale al 2006. Il testo è stato curato da Valentina Cipriano, Irene Ivoi e Mario Santi e coordinato da Valentina Cipriano per conto di Federambiente e Pinuccia Montanari per conto dell’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti. Questo aggiornamento è di particolare importanza perché fa seguito al varo della nuova direttiva quadro della Commissione Europea sulla gestione dei rifiuti (08/98), in corso di recepimento da parte del nostro paese, nella quale il tema della prevenzione – e, in particolare, il tema di quella importante e pervasiva componente della prevenzione che è il riutilizzo dei beni che non hanno ancora concluso il loro ciclo di vita, o che possono essere richiamati a una nuova vita, cioè il riuso – riceve un’attenzione del tutto nuova. Una scorsa all’indice del volume, scaricabile gratuitamente dal sito di Federambiente (www.federambiente.it) ci dà un quadro della complessità della materia trattata.

Nella premessa che illustra l’importanza e il ruolo della prevenzione della produzione dei rifiuti per ridurre un consumo di risorse ormai insostenibile viene enunciato l’obiettivo centrale delle politiche di prevenzione: il disallineamento tra sviluppo e consumo di risorse (e conseguente produzione di rifiuti). Seguono alcune definizione che fanno da bussola all’intera trattazione. “Si intende per “prevenzione” il complesso di “misure prese prima che una sostanza, un materiale o un prodotto sia diventato un rifiuto, che riducono la quantità dei rifiuti, anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l ’estensione del loro ciclo di vita; gli impatti negativi dei rifiuti prodotti sull’ambiente e la salute umana; oppure il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti”.
Queste politiche abbracciano tutto il ciclo di vita del prodotto (dalla culla alla tomba; o dalla culla alla culla, in caso di riciclo o riuso): dalla fase di progettazione a quelle di produzione, commercializzazione, uso e smaltimento. Le principali modalità identificate sono la smaterializzazione, l’innovazione di processo (processi produttivi ecosostenibili), la progettazione eco-sostenibile (eco design), la logistica eco-compatibile.
La “smaterializzazione” fa riferimento al processo di “digitaliz-zazione” dell’economia dovuto all’evoluzione dei sistemi informatici e delle telecomunicazioni, che hanno permesso la fornitura di prodotti e servizi a ridotto o assente supporto fisico; ma anche alla produzione di beni e all’erogazione di servizi da usare in “condivisione”, quali ad esempio l’uso di erogatori alla spina di bevande e detergenti oppure le pratiche di car-sharing.

Con “innovazione di processo” si intende l’innovazione dei processi produttivi con minimizzazione delle emissioni e degli impatti ambientali in generale, mentre con “progettazione eco-sostenibile” si intende tutta una serie di interventi che, sin dalla fase di progettazione di beni o servizi, permettono la riduzione quantitativa di risorse, in particolare quelle non rinnovabili, impiegate per la produzione; il miglioramento qualitativo delle risorse e dei materiali e
sostanze impiegati per la produzione e, infine, l’innovazione nella progettazione e nella concezione dei prodotti, favorendone la riusabilità, l’uso multiplo, la smontabilità, la recuperabilità, la riciclabilità e l’identificabilità dei componenti (per agevolarne la gestione a fine vita).
Il secondo capitolo presenta gli obiettivi, i destinatari e le basi conoscitive delle Linee Guida. L’obiettivo è quello di rendere accessibili, attraverso la loro modellizzazione, le buone pratiche già largamente diffuse, che consentono ad amministrazioni pubbliche, imprese e cittadini-utenti di adottare comportamenti tesi alla prevenzione della produzione dei rifiuti. I destinatari sono, nell’ordine, le Regioni, le Province e gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO, che per la verità sono stati soppressi dalla più recente revisione della legislazione italiana sui rifiuti, senza indicare quali organismi ne dovranno rilevare le competenze), i Comuni e le imprese che gestiscono il ciclo dei rifiuti urbani, le imprese del settore produttivo, i consorzi che gestiscono il recupero degli imballaggi affiliati al CONAI, le imprese, grandi e piccole della distribuzione commerciale, il settore terziario, il terzo settore e l’associazionismo e, buoni ultimi, gli utenti finali, ciascuno per le competenze e le responsabilità affidategli dalla legge; ma anche per le possibilità di intervenire in modo virtuoso in base alla rispettiva collocazione lungo le diverse fasi del ciclo di vita del prodotto. Quanto alla base conoscitiva delle Linee Guida, essa si fonda sulle esperienze raccolte nella Banca Dati sulla Prevenzione dei rifiuti realizzata da Federambiente, che è finalizzata a fornire buoni esempi e suggerire spunti operativi; sollecitare un interesse da parte di enti ed istituzioni; favorire lo scambio di informazioni e di esperienze nonché attivare un dibattito sulle migliori pratiche e, infine, fornire informazioni su eventi e manifestazioni sul tema della prevenzione.

Il terzo capitolo è dedicato al contesto europeo delle politiche di produzione e consumo sostenibile. In particolare alla nuova direttiva quadro (98/2008/CE), di cui si evidenziano in allegato i principali esempi di misure di prevenzione dei rifiuti riportati nell’articolo 29 della stessa. Di questa direttiva gli aspetti più significativi sono una riformulazione della gerarchia dei principi che devono presiedere a una corretta gestione dei rifiuti, dove, tra la prevenzione (ossia la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti), priorità assoluta, e il riciclo (cioè il recupero di materia dai rifiuti che lo rendono praticabile e conveniente in termini tecnici, economici e ambientali) viene inserito il principio della “preparazione per il riutilizzo”, che comprende tutte quelle misure che consentono di prolungare la vita di un bene prima che si trasformi in rifiuto: sia che esso rimanga nella disponibilità di chi lo detiene, sia che sia oggetto di una cessione o di uno scambio. In realtà, la maggior parte delle azioni di prevenzione sono nient’altro che forme di riutilizzo: basti pensare agli imballaggi pluriuso, alle soluzioni che sostituiscono stoviglie, pannolini, attrezzi e gadget usa e getta, alla pulizia, alla manutenzione e alla riparazione dei beni durevoli. La stessa direttiva, infine, nella riformulazione della gerarchia dei principi, assimila il recupero energetico tramite incenerimento a una forma di smaltimento finale, a cui ricorrere solo nel caso che altre soluzioni non siano praticabili.
Il quarto capitolo è dedicato agli strumenti della prevenzione e presenta una serie di quadri molto articolati delle misure e delle norme che permettono a ciascuno dei soggetti coinvolti nella regolazione o nella gestione delle diverse fasi del ciclo di vita dei prodotti di intervenire in modo da ridurne l’impatto ambientale e la produzione di rifiuti.
Nel quinto capitolo, dedicato alla metodologia operativa, vengono presentate delle regole di buon senso – ma che raramente vengono rispettate tutte e da tutti – da seguire se si vogliono condurre a buon fine le politiche e le pratiche tese a ridurre la produzione di rifiuti. Si comincia dal principio basilare di conoscere il territorio in cui si opera, sia in termini fisici, sia attraverso una ricognizione sui cosiddetti “saperi contestuali”, che sono costituiti dalle conoscenze delle relazioni e delle consuetudini che appartengono a ciascun contesto locale e cambiano più o meno sensibilmente da luogo a luogo. Essi sono riconoscibili e individuabili nelle pratiche dell’abitare, nei credi politici, in quelli religiosi e nelle tradizioni; quindi nella prevalenza di alcuni di essi, nell’esistenza o creazione di comunicazioni alternative a quelle tradizionali fra i soggetti che definiscono, come attori, lo scenario di un territorio, nelle attitudini di maggiore o minore attenzione verso la “res publica”.
Si passa poi ai saperi codificati, costituiti da dati demografici, sociali ed economici che, nel loro insieme, ci restituiscono la carta d’identità socio-economica di un territorio, per concludere con la mappa delle attività (cioè delle realtà produttive, che possono essere grandi, medio piccole e artigianali; delle realtà commerciali, che possono essere di distribuzione organizzata o al dettaglio; delle realtà di servizio pubbliche e private, uffici, scuole, università, ospedali, attività private di ristorazione e di ricezione; delle realtà residenziali). Segue la mappa dei rifiuti (analisi merceologiche, indagini sul comportamento e sulle attitudini degli utenti e la selezione dei flussi prioritari di rifiuti).
Il sesto capitolo è dedicato all’individuazione e alla trattazione dettagliata dei principali flussi di rifiuti sui quali sono possibili e già largamente praticate politiche e pratiche tese alla riduzione. Vengono individuati in primo luogo gli imballaggi primari per le acque minerali e per il latte; poi le stoviglie usa e getta, gli shopper monouso, la carta grafica – nella stampa, nella fotocopiatura e nella pubblicità – i contenitori per detergenti e detersivi liquidi (con il ricorso alla vendita alla spina del prodotto sfuso), per poi passare al recupero delle eccedenze alimentari, al compostaggio domestico e agli imballaggi monouso per ortofrutta. Seguono le apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), gli altri beni durevoli (quelli che in genere sono oggetto di raccolta domiciliare su appuntamento o devono venir conferiti agli ecocentri, molti dei quali potrebbero benissimo essere riparati e ceduti o venduti a soggetti disponibili a continuare ad usarli) e gli abiti usati. La rassegna si conclude con i pannolini usa e getta per bambini, il cui volume concorre a una percentuale non indifferente dei rifiuti urbani.
Il settimo capitolo tratta dei luoghi della prevenzione, vale a dire la casa (vengono inclusi un Vademecum sui “gesti quotidiani per ridurre la produzione dei rifiuti domestici e le spese familiari”, alcuni consigli utili per i genitori del nuovo millennio, una nota sulla campagna “Settimana europea per la riduzione dei rifiuti” e un “Manuale per la prevenzione dei rifiuti a livello domestico”); poi l’ufficio (con particolare riguardo per la Pubblica amministrazione: viene allegato il testo del decreto ministeriale del 12 ottobre 2009 “Criteri ambientali minimi per l’acquisto di ammendanti e per l’acquisto di carta in risme da parte della pubblica amministrazione”). Seguono il supermercato, la mensa e la sagra (cioè tutte le feste all’aperto dove si fa un gran consumo di stoviglie usa e getta che potrebbe essere facilmente evitato con il ricorso a lavastoviglie mobili; e dove sarebbe opportuno fare ricorso a cibi e vini locali). Da ultimo si affronta l’albergo.
Le Linee Guida si concludono con un’appendice dedicata alle disposizioni virtuose già contenute in alcuni piani regionali di gestione dei rifiuti.

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