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La zecca va in città

(tratto da “Gsa Igiene Urbana” n.2, Aprile-Giugno 2010)


Le zecche sono da tempo un problema anche gli ambienti urbani: scaltrissime,  giungono in città sulla groppa di cani e colombi per poi infestare le aree verdi dei parchi o accomodarsi in casa. È bene dunque capire più da vicino chi sia e come evitare di imbattersi in quest’ospite indesiderato.


Troppo di sovente si tende a sottovalutare il pericolo zecche: appena percettibili alla vista ma sufficientemente pericolose per causare danni a livello sanitario.  Molti credono che siano i classici insetti che si trovano solo nella scampagnata primaverile, quando si va in cerca di more nei boschi, ma non è cosi. Le zecche hanno penetrato da tempo, ormai, i nostri ambienti di vita quotidiani ed è opportuno sapere con chi si ha a che fare quando ce lo ritroviamo – letteralmente –  addosso.  Insomma, volendo riadattare un vecchio gingle:  le “zecche” sono tante, milioni di milioni, e sulla questione … c’è molto da capire.

(Az)zecca l’identikit!

Innanzitutto chi sono e da dove discendono: le zecche sono artropodi ectoparassiti ematofagi che appartengono alla classe degli aracnidi e all’ordine degli acari. Si distinguono dagli altri ordini di animali perché hanno la regione anteriore del corpo trasformata in un organo, il capitulum, sul quale, ventralmente ai cheliceri, è impiantata una particolare struttura, l’ipostoma, ben sviluppato e munito di dentelli retroversi. Delle varie famiglie di zecche, che comprendono oltre 870 specie, due hanno importanza per l’Italia, Argasidae e Ixodidae.  La Famiglia Argasidae  è anche conosciuta con l’appellativo popolare di  “zecche molli” in quanto prive di scudo chitinoso dorsale e con il rostro non visibile dorsalmente negli stadi ninfali e adulti; se ne contano circa 190 specie di cui 7 presenti in Italia. Le specie di argasidi più frequenti sono: l’Argas reflexus e l’Ornithodoros coniceps, acari ectoparassiti temporanei dei colombi. Poi c’è la Famiglia Ixodidae o “zecche dure” provviste di scudo chitinoso e di rostro sporgente e ben visibile dorsalmente; delle circa 680 specie conosciute 36 sono presenti in Italia. Nell’Europa occidentale ed in Italia è maggiormente diffuso Ixodes ricinus, la cui nicchia ideale è costituita da siti ricchi di vegetazione erbosa e sottobosco, ombrosi e umidi e posti tra i 600 e i 1200 metri di altitudine.  (fonte: www.osservatoriozecche.it)

 

 

Dove vivono

Molte sono quindi le specie di zecche che popolano lo Stivale: sarebbe un errore, tuttavia, pensare che la loro distribuzione sia legata solo agli ambienti dalla fitta vegetazione.  Negli ambienti boschivi infatti è facile imbattersi nelle Ixodes ricinus,  nella Dermacetor marginatus e nella Rhipicephalus turanicus (zecche esofile) nonché nella Rhipicephalus Pusillus (endofila). Tuttavia, queste ultime due specie sono largamente diffuse anche nell’ambiente peri-urbano, così come la Rh. sanguineus.  Nell’ambiente urbano, invece, troviamo sia la specie sanguineus che l’Argas reflexus. Cerchiamo dunque di capire in che modo queste specie arrivino a costituire un pericolo persino nei nostri ambienti di vita quotidiana.

La zecca del cane

La R. sanguineus è anche conosciuta come la zecca del cane: si tratta di una  specie monossena in grado di compiere tutto il proprio ciclo di sviluppo su un solo ospite, in genere il cane ma in alcuni casi anche su altri animali domestici. Anche allontanando l’animale, non si elimina di fatto il problema, poiché questa è in grado di resistere al digiuno per almeno 6 mesi (primavera-estate) prima di entrare in uno stato di quiescenza durante la stagione fredda (autunno-inverno). Nella primavera successiva, cerca nuovamente un cane a cui chiedere “ospitalità” per riprendere il suo ciclo vitale: in caso contrario muore. Tuttavia, bisogna poi considerare il fatto che l’avvicinamento tra l’uomo e la zecca non è solo “colpa del cane” ma è in parte dovuto al costante processo di urbanizzazione dei territori prima considerati semi-rurali: un po’ come se l’uomo avesse colonizzato il territorio delle zecche e non solo il contrario. Questo ha comportato una maggiore aggressività della zecca anche nei confronti dell’uomo. Ad oggi, il suo habitat naturale è costituito dagli anfratti urbani ed in particolare si ritrova sia all’interno che all’esterno delle abitazioni. Si nasconde nelle crepe d’intonaco delle pareti, nelle fessure dei marciapiedi, negli anfratti di scalinate, etc. Quest’animaletto ricopre una grande importanza sanitaria perché può essere vettore patogeno sia per l’animale che per l’uomo. ( fonte: www.eurogreen.net).

Il piccione viaggiatore … porta in casa l’aggressore

Ma il cane non è l’unico animale che si porta la zecca come fardello sul groppone: negli ultimi anni si sono avute numerose abitazioni – pur prive di animali domestici –  letteralmente invase dall’ A. reflexus.  Questo è quanto riporta Michele Maroli nella sua relazione intitolata Le zecche in città: aspetti sanitari e prevenzione, relatore alla due giorni di Conferenza organizzata a Siena il 17 novembre scorso da A.N.I.D – L’Associazione Nazionale dei Disinfestatori – che si propone proprio di approfondire il problema legato all’identificazione e gestione dei maggiori infestanti urbani.  «Da studi e ricerche – riporta Maroli –  è emerso che le zecche erano state portate dai numerosi piccioni della zona: nel periodo estivo erano rimaste sui volatili, avendo trovato tra le piume la loro condizione ideale di soggiorno. Poi, tra novembre-marzo, le zecche sono state attirate all’interno delle case dalla temperatura e dalla  CO2 : e così, mentre i volatili si preparavano a far “fagotto” per migrare in zone più calde, la zecca si è accomodata in casa. La A. reflexus – cosi si chiama la zecca del piccione- sopravvive infatti ad una temperatura di 18° C, dura in media due anni e depone 200-300 uova (un’inizia rispetto alle 1.000-5.000 della zecca dl cane).  Tuttavia, non meno pesanti sono le conseguenze che possono avere sull’uomo: dalle lesioni eritemato-papulose, rushes cutanei orticarioidi, con manifestazioni respiratorie, gastrointestinali e cardiocircolatorie fino ad arrivare –nei casi limite – allo shock anafilattico».

Alla ricerca della preda

È poi interessante capire cosa le attiri: come ricercano l’ospite? Qui si apre un netto divario tra le Specie endofile, che si dedicano ad una ricerca attiva, muovendosi a cercare il loro ospite attratte dall’anidride carbonica  – che negli ambienti urbani si spreca! – e le specie esofile, che stanno più tranquillamente appollaiate sugli steli, in attesa del passaggio dell’ospite cui attaccarsi.

Come agire?

È il Prof. A. Russo del DiSTeF, Università degli Studi di Catania a trattare la questione nei suoi risvolti applicativi. Dal quadro che ne dipinge, emerge che spesso, date le dimensioni dell’animale, capita che qualcuno pensi di risolvere il problema ricorrendo a maldestre soluzioni domestiche. «Tra e regole d’oro da seguire in caso di attacco da parte dell’animale – ci spiega Russo – è essenziale ricordarsi cosa NON FARE: non utilizzare mai alcool, benzina, acetone, olio o grassi, né oggetti arroventati, fiammiferi o sigarette, per evitare che la sofferenza indotta alla zecca per rimuoverla provochi, invece, il rigurgito di materiale infetto. Tra gli accorgimenti preventivi utili,  si segnala invece l’impiego di indumenti protettivi, quali pantaloni lunghi e maglie a maniche lunghe, magari leggermente irrorati con sostanze repellenti quali il DEET (N-DIETHYL-META-TOLUAMIDE, soprattutto quando si ha intenzione di sdraiarsi durante le attività nei boschi e nei prati o di percorrere i sentieri  ove la vegetazione è molto fitta. Inoltre, prima di un pic-nic si può procedere ad una rapida ad una piccola campionatura dell’area, trascinando teli tessuti chiari di lana o flanella, tenuti aperti e fatti scorrere sulla vegetazione affinché le zecche vi aderiscano ed eliminarle così dall’area circostante » .

Dagli accorgimenti domestici alla lotta dei professionisti

Certo le accortezze non sono sufficienti per arginare il problema: per debellare la minaccia è importante che la fase di monitoraggio, prevenzione e lotta all’animale vengano eseguite ad opera di professionisti. Nel caso di piccole infestazioni possono essere utilizzate, come metodo di lotta le zecche molli, le trappole a ghiaccio secco che emettono anidride carbonica posizionate vicino al luogo ove gli animali ospiti sono soliti sostare. Tuttavia, per un reale ed efficace controllo delle zecche molli vanno innanzitutto ricercati i nidi di uccelli da cui ha preso origine l’infestazione, provando anche a ridurre i possibili siti di nidificazione; in caso contrario qualsiasi intervento verrebbe, di fatto, vanificato dalle successive re infestazioni. Il controllo delle infestazioni da zecche va dunque fatto coinvolgendo le municipalità: è infatti necessario mettere in campo tutte quelle azioni atte a mantenere in ordine e pulite le aree pubbliche destinate alla socializzazione e a ridurre o eliminare le aree degradate che costituiscono un ricovero per gli animali randagi, con conseguente diffusione delle zecche. Nelle aree aperte, i trattamenti vanno fatti solo da personale esperto, impiegano p.a. ad azione residuale da applicare nello stesso giorno in tutte le aree con presumibile presenza di zecche. In molti casi, quelli effettuati di norma per tappeti erbosi o piante ornamentali sono già in grado di dare mortalità superiori al 90%. Ogni professionista sa che non è bene trasformare l’uso di prodotti in uno scriteriato abuso: «vanno trattate sempre e solo le aree realmente infestate – ci spiega Russo –  in particolar modo per interventi nei parchi o in impianti sportivi, utilizzando principi attivi specifici per il controllo delle zecche. Nelle abitazioni e negli edifici, devono essere effettuati trattamenti con formulati ad azione residuale a difesa di finestre, porte, e ogni altro tipo di apertura, mentre in ambienti particolari si impiegano generalmente formulati in polvere secca distribuiti con idonei impolvera tori. Intonaci graffiati o muri con pietre a vista possono rappresentare il rifugio ideale  le zecche sia all’interno che all’esterno degli edifici».  Se dunque la minaccia degli infestanti è sempre meno un “rognoso imprevisto di campagna” e sempre più un problema strutturato urbano, un plauso va dunque alle occasioni di confronto e discussione create da A.N.I.D. che dimostra di voler instaurare un filo diretto tra disinfestatori, municipalità e utenza per approntare piani organici di intervento sempre più efficaci, utilizzando i metodi tecnologicamente più avanzati e meno invasivi in circolazione, a beneficio di un ambiente più sano.

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