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In Italia ogni anno consumati 500 km² di territorio

(Tratto da “GSA igiene urbana” n. 2,aprile-giugno) Nel rapporto annuale di Legambiente elaborato dall’istituto di ricerche Ambiente Italia tutti gli indicatori dello stato di salute dell’ambiente del nostro Paese.

 

“Il suolo è una risorsa ambientale limitata e non rinnovabile. In Italia vengono consumati mediamente oltre 500 chilometri quadrati di territorio l’anno: è come se ogni quattro mesi spuntasse una città delle stesse dimensioni di Milano. Nonostante ciò, tante persone rimangono senza casa perché non se la possono permettere”.

Da questo paradosso prende avvio quest’anno il rapporto annuale Ambiente Italia 2011 di Legambiente, elaborato dall’omonimo istituto di ricerche ed edito da Edizioni Ambiente.

Il Rapporto, che costituisce un buon indicatore dei cambiamenti avvenuti nel Paese e delle questioni aperte sul territorio, è stato presentato recentemente a Roma alla presenza di esponenti della politica, nazionale e locale, di rappresentanti del mondo associativo e dei curatori del testo Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia ed Edoardo Zanchini, responsabile energia e infrastrutture di Legambiente.

Questa edizione del Rapporto Ambiente Italia propone un approfondimento sul consumo di suolo, oltre alla consueta ampia rassegna di indicatori aggiornati sulla situazione ambientale del nostro Paese. Il consumo di suolo non è un fenomeno solo italiano, ma alcuni caratteri dei processi di urbanizzazione rendono la situazione nel nostro Paese più complessa e rilevante di altre. La denuncia di Legambiente è chiara e diretta: nelle periferie delle principali aree urbane italiane sono cresciute in modo sregolato migliaia di abitazioni e sobborghi sconfinati generando spesso dispersione e degrado, ma paradossalmente, lasciando irrisolti i problemi di accesso alla casa per molti. Secondo l’Associazione ambientalista, a questo fenomeno urbano si è aggiunto, nelle aree di maggior pregio, una crescita incontrollata di seconde case che ha cementificato gli ultimi lembi ancora liberi (con il benestare di piani regolatori o abusivamente) o zone a rischio idrogeologico.

 

“Il consumo di suolo – osserva il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – è oggi un indicatore dei problemi del Paese. La crescita di questi anni, senza criteri o regole, è tra le ragioni dei periodici problemi di dissesto idrogeologico e tra le cause di congestione e inquinamento delle città, dell’eccessiva emissione di CO² e della perdita di valore di tanti paesaggi italiani e ha inciso sulla qualità dei territori producendo dispersione e disgregazione sociale”.

Quali dunque le possibili soluzioni? “Occorre fare come negli altri paesi europei”, spiega Cogliati Dezza, “nei quali lo si contrasta attraverso precise normative di tutela e con limiti alla crescita urbana, ma anche con la realizzazione di edilizia pubblica per chi ne ha veramente bisogno e interventi di riqualificazione e densificazione urbana, fermando così la speculazione edilizia. Esattamente il contrario di quanto previsto nell’ultimo decreto Milleproroghe che continua a consentire ai Comuni, per i prossimi due anni, di adoperare il 75% degli oneri di urbanizzazione per le spese correnti e incentiva, e quindi a rilasciare permessi a edificare anche laddove non sarebbero necessarie nuove costruzioni, per pagare gli stipendi dei dipendenti”.

La stima più attendibile (secondo Legambiente, comunque prudenziale) di superfici urbanizzate è di 2.350.000 ettari. Una estensione equivalente a quella di Puglia e Molise messe insieme, pari al 7,6% del territorio nazionale e a 415 metri quadri per abitante. Negli ultimi 15 anni, il consumo di suolo è, infatti, cresciuto in modo abnorme e incontrollato e la realtà fisica dell’Italia è ormai composta da informi fenomeni insediativi: estese periferie diffuse, grappoli disordinati di sobborghi residenziali, blocchi commerciali connessi da arterie stradali. Ma quantificare il fenomeno non è facile, perché le banche dati sono eterogenee e poco aggiornate, e perché la pressione sul territorio è ampliata da carenze di pianificazione e abusivismo edilizio, caratteristici del nostro Paese.

Per fare chiarezza sulle dimensioni della crescita di superfici urbanizzate, Legambiente e l’Istituto nazionale di urbanistica hanno dato vita al Centro di ricerca sui consumi di suolo, con il supporto scientifico del Dipartimento di architettura e pianificazione del Politecnico di Milano, iniziando la raccolta di tutti i dati disponibili e accompagnandola da un sistematico approfondimento scientifico. La fotografia del consumo di suolo scattata nel 2010 nelle regioni italiane mostra la Lombardia in testa con il 14% di superfici artificiali sul totale della sua estensione, il Veneto con l’11%, la Campania con il 10,7%, il Lazio e l’Emilia Romagna con il 9%.

 

Al caso Roma è dedicato un intero capitolo del Rapporto per la sua emblematicità: sia perché, negli ultimi anni, il territorio romano ha visto una fortissima crescita edilizia, sia perché il comune di Roma è il più grande in Italia in termini di superficie e di popolazione. Uno studio originale e inedito sulle trasformazioni dei suoli a usi urbani nei comuni di Roma e Fiumicino tra il 1993 e il 2008 rivela come, in 15 anni, questi siano aumentati del 12% a Roma (con 4.800 ettari trasformati, quasi tre volte il tessuto “storico” della città compreso entro le Mura Aureliane) e del 10% a Fiumicino (con 400 ettari). Una superficie notevole, pari complessivamente all’estensione dell’intero comune di Bolzano. Nello stesso arco di tempo, a Roma la popolazione è aumentata di 30.887 abitanti, con una media di 150 metri quadrati di suoli trasformati per ogni nuovo abitante. La trasformazione ha interessato in particolare suoli agricoli (Roma è il più grande comune agricolo d’Europa) ma anche importanti porzioni di aree naturali. Sono scomparsi 4.384 ettari di aree agricole, il 13% del totale e 416 di bosco e vegetazione riparia. Ora, in base ai piani regolatori vigenti nei comuni di Roma e Fiumicino e ai programmi in atto, è prevedibile un ulteriore consumo di 9.700 ettari, prevalentemente agricoli, ossia più di quanto sia stato trasformato tra il 1993 e il 2008.

 

A Roma come nel resto dell’Italia, secondo Legambiente, insomma, non si punta sul recupero dell’esistente ma sulla trasformazione di nuove aree, non si investe nella mobilità sostenibile e le città sono sempre più congestionate e inquinate. “E’ chiaro come negli ultimi 20 anni”, si legge nel Rapporto, “non si sia costruito per rispondere alle domande di abitazioni, ma alla speculazione immobiliare e finanziaria, e la grave situazione di disagio sociale riscontrabile in molti centri urbani rispecchia una crisi che non riguarda solo il settore edilizio ma attraversa tutto il Paese”.

“Gli italiani sono stati colpiti dalla finanza creativa – osserva Duccio Bianchi, curatore del rapporto Ambiente Italia 2011 -. Nella recessione che si è innescata nel 2008 e acuita l’anno successivo, l’Italia ha pagato più degli altri paesi europei e più delle altre economie avanzate. Oppure sbagliano Eurostat, Fondo monetario, Ocse e Banca mondiale”.

 

Il nostro Pil pro capite del 2009 è, infatti, inferiore dell’ 8% a quello del 2007 e inferiore addirittura del 4% rispetto al 2000. Mentre il paese ‘sfortunato’ a cui spesso si confronta l’Italia, la Spagna, ha visto scendere il Pil pro capite 2009 solo del 5% rispetto al 2007 e salire del 7% rispetto al 2000.

Sono soprattutto i giovani, già dalla metà degli anni ‘90, a pagare la bassa dinamicità dell’economia e della società italiana, tassi di crescita dimezzati rispetto al resto d’Europa, assenza di strumenti di protezione sociale.

Ma la recessione mondiale ha impattato anche su alcuni processi di grande rilevanza ambientale, primo tra tutti la trasformazione del sistema energetico e delle sue risorse. Sul fronte dell’efficienza e del contenimento delle emissioni, ha facilitato il ruolo da pioniera dell’Europa, che è enormemente avanti a tutte le altre economie. I dati sul 2009 mostrano che la Ue conseguirà nel suo insieme gli obiettivi di Kyoto ed è sulla strada per raggiungere nel 2020 gli obiettivi di riduzione del 20% sulle emissioni del 1990. Solo l’Italia – che nel 1990 non aveva nucleare e aveva pochissimo carbone da ridurre, basse emissioni pro capite e una delle migliori intensità energetiche della Ue – corre il rischio di essere l’unico paese europeo che non raggiunge gli obiettivi di Kyoto. Eppure la meta è a portata di mano, così come è possibile raggiungere gli obiettivi al 2020 per le rinnovabili e la riduzione della CO2.

Scorrendo i dati raccolti da Ambiente Italia 2011 emerge quindi la fotografia di un Paese per molti versi problematico, che più di altri ha subito gli effetti della recessione economica, eppure con grandi possibilità di ripresa e risorse in grado di determinare passi avanti significativi verso la modernità e un maggiore benessere.

Polveri sottili e ossidi di azoto restano due emergenze per la qualità dell’aria nelle città. Nel 2009 è peggiorata leggermente la situazione per il biossido di azoto, con circa il 67% dei comuni capoluogo (era il 64% nel 2008) nei quali la media annuale supera il valore limite (40 microgrammi/mc) in almeno una centralina di monitoraggio. La situazione è più grave nelle grandi città dove solo 3 su 14 presentano un valore medio di tutte le centraline inferiore al limite previsto. Riduzione più netta per l’inquinamento da polveri sottili che comunque, nel 2009 registra situazioni particolarmente critiche in gran parte delle città della Pianura Padana.

In conclusione, alcune note positive arrivano dallo sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili, dalla riduzione dei consumi delle materie prime, dalla crescita dell’agricoltura biologica, dalla tutela delle risorse naturali e dall’espansione delle foreste.

Sono questi i punti positivi da cui ripartire per migliorare il nostro rapporto con l’ambiente e il territorio che ci circonda.

di Marco Catino

 

 

 

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