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Il verde vince, in sette mosse

Sette: tanti sono i punti previsti dal Manifesto della Green economy presentato a Milano il 7 novembre e già sottoscritto da autorevoli rappresentanti di imprese ed associazioni dell’economia sostenibile. Una strategia per vincere la crisi, vivere meglio e consegnare ai nostri figli un mondo migliore.
Non di rado in questi mesi, giorni, ore che più drammatici non si può, abbiamo sentito parlare di “green economy”.  A volte anche fuori luogo, o se non altro in accezioni non pertinenti o in toni scomposti. Ma oggi di parole nuove ne nascono tante che uno ormai non ci fa più caso, una più una meno. E così anche questa strana “economia verde” ha rischiato, a più riprese, di finire nel cestino dei neologismi superflui prima ancora di essere compresa fino in fondo.

Da buona (ma scantonabile) condotta a strategia anticrisi
Ma in questo caso è andata diversamente: la cosa curiosa è come il concetto di “economia verde” abbia subito, man mano che si approfondiva la crisi e il male cominciava a puntare dritto al cuore dei sistemi finanziari globalizzati, una significativa deviazione di rotta, o meglio, abbia trovato più di un buon motivo per scrollarsi di dosso la nomea di una (facoltativa) buona condotta riservata ai più sensibili e scantonabile da tutti gli altri: dall’aspetto della responsabilità e della compatibilità ambientale, che pure è rimasto prioritario ma che, diciamocelo, faticava ad attecchire con le sole sue forze, si è passati a evidenziare sempre più quello della razionalizzazione dei consumi vista come importante misura anticrisi. E con un cavallo di Troia così, come far finta di nulla?

Economia e ambiente: finalmente la quadratura del cerchio?
E così si è giunti a contemperare le due istanze, e a considerare la green economy come una necessità impellente sia per la salute del nostro pianeta (e delle generazioni future che lo abiteranno), sia per quella della nostra economia: e ancora, per la crescita, lo sviluppo, l’occupazione. In una parola, la ripresa. Già, perché economia verde, o “economia ecologica”, un’espressione che appena una generazione fa sarebbe suonata ossimorica, significa, oggi, soprattutto questo: un’economia che prenda in considerazione, e non come elementi secondari, l’impatto ambientale e le ricadute sociali dei suoi processi. In pratica, al di là di grafici, schemi e formule di oscura comprensione, si tratta di trovare il modo di conciliare resa economica e sostenibilità umana e ambientale, nella convinzione che solo quando entrambe le istanze avranno un segno positivo si sarà raggiunto un modello economico e di vita effettivamente praticabile. Non facile, certo; ma nessuno ha detto che lo sia.

Gli autorevoli firmatari
Intanto però gli organismi sovranazionali, ma anche i singoli stati, enti, associazioni e singole aziende e imprese sensibili al tema stanno moltiplicando le iniziative in tale direzione. A maggior ragione in Italia, paese che, purtroppo, è stato gravemente colpito dalla crisi pur avendo, sottolineiamolo bene, tutte le risorse e le energie per risollevarsi: giusto il 7 novembre scorso, a Milano, è andata in scena la presentazione di un Manifesto della green economy in sette punti, in cui le imprese e le organizzazioni promotrici delineano per il nostro Paese un futuro all’insegna della ripresa economica sostenibile. Il manifesto, presentato per la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ha tra i promotori e primi firmatari Roberto De Santis, Presidente Conai; Danilo Bonato, Presidente del Coordinamento dei consorzi Raee; Monica Cerroni, Presidente Fise-Assoambiente; Corrado Scapino, Presidente Fise-Unire; Daniele Fortini, Presidente Federambiente; Simone Togni Presidente Anev; Agostino Rebaudengo Presidente Aper; Edo Ronchi, Presidente Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile; Giancarlo Morandi, Presidente Cobat; Flavio Sarasino, Presidente Federpern; Aldo Fumagalli, Presidente della Commissione sviluppo sostenibile di Confindustria; Roberto Testore, Presidente del Green economy network di Assolombarda. E la raccolta di firme è tuttora in corso. Si tratta di una nutrita e autorevole rappresentanza del settore della green economy, che si unisce e fa squadra contro la difficoltà economica e per la promozione dello sviluppo.

Poveri di materie prime, ricchi di fonti rinnovabili
L’Italia -questo il punto di partenza del Manifesto- è un paese povero di risorse fossili e di materie prime, ma ricco sul versante delle fonti rinnovabili. Una potenzialità su cui fino ad ora non si è puntato in modo ordinato, ma che d’ora in poi sarà indispensabile iniziare a sfruttare concretamente, con politiche che siano finalmente all’altezza. Non a caso il Manifesto propone obiettivi concreti e precisi che dovrebbero essere valutati dai decisori politici e istituzionali con grande attenzione, nell’ottica di importanti investimenti di risorse mirati a ridurre la dipendenza e i costi delle importazioni, tagliare quelli delle bollette e le emissioni di gas serra, migliorare la competitività economica e creare migliaia di nuovi posti di lavoro. I sette punti, in dettaglio, si muovono dal campo delle grandi strategie di vasta scala ai più minuti aspetti della nostra vita quotidiana.

I 7 punti
Ecco in dettaglio i punti e le indicazioni per realizzarli:
1)Efficienza e risparmio energetico attraverso la riqualificazione degli edifici esistenti, la realizzazione di nuovi edifici a consumo zero o quasi zero, la mobilità urbana sostenibile, le analisi energetiche dei processi produttivi e dei prodotti, la diffusione delle best practices e delle tecnologie ad alta efficienza energetica nell’industria e nei servizi. Il tutto, per ridurre i costi delle importazioni, tagliare quelli delle bollette, ridurre le emissioni, migliorare la competitività economica, creare occupazione.
2) Sviluppo delle energie rinnovabili col mantenimento di adeguati sistemi di incentivazione sia nel settore elettrico, sia in quello termico, il rafforzamento delle filiere produttive e il miglioramento della rete. Si sottolinea, in questo punto, la necessità di quadri normativi e programmatici nazionali e regionali certi e adeguati.
3) Importante anche la questione del riciclo, che deve affiancarsi all’uso efficiente delle risorse. IKn particolare, è centrale adottare, già in fase di produzione, misure preventive e una progettazione dei prodotti che tenga conto del loro intero ciclo di vita: dalla culla alla culla. L’obiettivo di riferimento europeo è quello di avviare al riciclo almeno il 50% dei rifiuti urbani e il 70% dei rifiuti da costruzione e demolizione.
4) Il patrimonio culturale e naturale richiede una migliore tutela. Importante (argomento tristemente attuale) la prevenzione dei dissesti idrogeologici e lo sviluppo delle attività economiche legate al turismo, all’agroalimentare, al made in Italy.
5) Si auspica un’elevata qualità ecologica e una nuova sobrietà anche attraverso una normativa ambientale di qualità europea, più semplice e stabile, con procedure di autorizzazione più veloci e controlli efficaci, che incoraggi, ad esempio, la tendenza alla certificazione con etichetta ecologica dei prodotti e a quella ambientale delle imprese.
6) Le città (che sono i laboratori più capaci di contenuti innovativi) dovranno essere rilanciate come protagoniste della green economy.
7) Le imprese del settore green propongono di individuare un percorso condiviso e di sviluppo, anche in vista del risanamento del debito pubblico.

I contenuti innovativi
Il documento, secondo la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, prevede due importanti novità: la prima è la proposta unitaria, di tipo generale e articolata per obiettivi, degli esponenti delle più importanti organizzazioni italiane di imprese della green economy, insieme a esponenti di importanti aziende, per affrontare la crisi italiana. La seconda è la richiesta avanzata dal mondo delle imprese, per la prima volta in modo netto e rappresentativo, di affrontare la crisi economica e sociale insieme a quella ecologica, riqualificando lo sviluppo nella direzione di una green economy perché l’innovazione e la conversione ecologica possano dare un grande contributo ad un progetto condiviso di cambiamento non solo per tutelare l’ambiente, ma per produrre occupazione, rivitalizzare l’economia e creare nuove opportunità occupazionali.

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