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Certificazioni e prestazioni energetiche in Europa: il quadro tecnico-normativo

(tratto da “FMI Facility Management Italia” n.7, Maggio 2010)

 

La Direttiva 2002/91/CE “EPBD” ha favorito l’innesco e lo sviluppo di approcci più consapevoli e razionali al problema dei consumi energetici degli edifici da parte dei paesi dell’Unione Europea. I nodi irrisolti sono tuttavia numerosi: dalle evidenti diversità di marcia nell’attuazione dei piani nazionali, all’estrema proliferazione delle metodologie di certificazione adottate. Il processo di revisione della stessa “EPBD” e gli ancora più severi standard energetici prefigurati possono/devono stimolare a considerare e ad affrontare sistematicamente le criticità già manifestatesi e quelle già oggi presenti all’orizzonte, al fine di non ostacolare o addirittura inficiare i virtuosi processi settoriali finora avviati.

 

Certifications and energy performance in Europe: the technical-normative framework

Directive 2002/91/EC “EPBD” has promoted the start and development of a more informed and rational approach to the problem of energy consumption in buildings by the European Union countries. Many unresolved problems still exist however, ranging from the evident differences in the time needed to realise national programmes, to the extreme proliferation of the certification methods adopted. The reassessment process of the “EPBD” itself and the even more strict energy standards foreseen can/must be a stimulus to consider and systematically deal with the critical areas that have already emerged and those that are on the horizon today, so as not to hinder or even invalidate the virtuous processes that have already begun in the sector.

 


Il recepimento della Direttiva 2002/91/CE nei paesi europei

La Direttiva 2002/91/CE, denominata  “Energy Performance of Buildings Directive” (EPBD), rappresenta il principale strumento introdotto dall’Unione Europea per intervenire in modo sistematico sui consumi energetici del settore edilizio.

Se è vero che molti paesi europei erano già attivi in tale direzione e avevano emanato legislazioni specifiche per il contenimento dei consumi già a partire dagli anni ‘90, è anche vero che la EPBD ha sicuramente determinato, nella maggior parte dei paesi membri, uno slancio significativo verso una maggiore efficienza energetica degli edifici.

Gli obiettivi dell’Unione Europea in tale direzione emergono anche nel ‘‘Libro Verde sull’Efficienza Energetica “ del 2005 che stima un potenziale di risparmio energetico complessivo del 20% entro il 2020. In particolare per il settore edifici è stimato un risparmio di circa 41 MTEP (quasi il 22% del risparmio complessivo), inferiore solo a quello del settore trasporti.

In realtà alcuni paesi europei avevano introdotto sistemi di certificazione energetica già prima dell’entrata in vigore della EPBD. La stessa Italia avrebbe dovuto farlo in quanto la L. 10/1991 prevedeva all’art. 30 proprio la certificazione energetica degli edifici, ma in realtà per la mancata emanazione dei decreti attuativi tale articolo è rimasto per anni lettera morta.

Per delineare un quadro generale sulla certificazione energetica degli edifici a livello europeo è interessante analizzare lo stato dell’arte dei principali paesi, analizzando il “prima” e il “dopo” Direttiva al fine di individuare da un lato gli obiettivi raggiunti, dall’altro gli aspetti ancora irrisolti e le prospettive di sviluppo.

Austria

Nell’alta Austria già agli inizi degli anni ‘90 era stato avviato un programma di certificazione energetica di tipo volontario chiamato “EnergieAusweis” che prevedeva la concessione di incentivi federali per la costruzione di case con consumo energetico specifico (NEZ) in condizioni standard di funzionamento inferiore ad un valore limite prefissato.

L’“Energieausweis-Vorlage-Gesetz” – la legge di presentazione del certificato energetico del 2006 che ha rappresentato il recepimento della EPBD – ha reso obbligatoria la certificazione energetica per i nuovi edifici a partire dal 1° gennaio 2008 e per gli edifici esistenti che vengono immessi sul mercato immobiliare a partire dal 1° gennaio 2009.

Il certificato energetico, che ha validità 10 anni, presenta contenuti differenti in funzione della destinazione d’uso degli edifici. Se riferito ad edifici residenziali viene valutato solo il fabbisogno energetico per il riscaldamento (che deve risultare inferiore ad un certo valore limite) ed i consumi degli impianti di riscaldamento. Per gli edifici non residenziali, invece, il certificato deve comprendere anche il fabbisogno di energia per raffrescamento ed i consumi energetici dovuti agli impianti di riscaldamento, climatizzazione estiva, ventilazione ed illuminazione.

Per valutare la qualità energetica dell’involucro edilizio in regime invernale viene utilizzato l’indicatore LEK (Linie Europaischer Kriterien), che misura il livello di isolamento in relazione al fattore di forma dell’edificio.

E’ inoltre prevista una procedura semplificata per gli edifici esistenti, che come dati di input utilizza caratteristiche dell’involucro e degli impianti desunte da apposite banche dati di riferimento.

Danimarca

La Danimarca è probabilmente uno dei paesi europei dove risultava maggiormente diffusa la certificazione energetica degli edifici già prima dell’entrata in vigore della EPBD e ciò ha determinato un mercato della riqualificazione energetica assai sviluppato.

Nel 2006 è stato emanato un regolamento di attuazione della EPBD che si è andato ad inserire in un contesto legislativo già consolidato. Al 1997 risale infatti l’‘‘Act to promote Energy and Water Saving in buildings’’, per promuovere il risparmio sia di energia che di acqua negli edifici, cui hanno fatto seguito, nel 1999, l‘‘‘Order on Fees and Responsabilities for Energy Labelling of Buildings’’, e nel 2002 l’‘‘Order on Energy Labelling in Buildings’’, che hanno introdotto l’obbligo della certificazione energetica per gli edifici residenziali, per gli edifici pubblici e del terziario, non solo di nuova costruzione, ma anche esistenti se soggetti a ristrutturazione.

Esistono sostanzialmente due differenti procedure per la certificazione che vengono utilizzate in relazione alle dimensioni dell’edificio. Per gli edifici la cui superficie supera i 1.500 mq si applica l’“ELO Scheme”, che prevede la registrazione dei consumi reali (di energia termica, di energia elettrica e di acqua potabile) dell’edificio effettuata direttamente dal proprietario dell’immobile, in base alla quale il certificatore qualificato ELO valuta l’efficienza energetica del sistema edificio-impianto e successivamente effettua la classificazione (“energy-rating”), in cui la prestazione energetica dell’edificio viene confrontata con quella di edifici simili. Lo stesso certificatore redige il piano energetico (“energy plan”), che individua possibili interventi di risparmio energetico, evidenziando per ciascuno i risparmi conseguibili e il tempo di ritorno dell’investimento.

Per gli edifici con superficie inferiore ai 1.500 mq si applica invece l’“EM Scheme”, che si basa sul calcolo dei fabbisogni di energia termica, elettrica e di acqua in condizioni di funzionamento standard confrontati con quelli di edifici simili (per destinazione d’uso e numero di occupanti). Anche la procedura EM, che si applica in caso di transazione immobiliare, prevede un “energy-rating” e un “energy plan”, predisposti da un certificatore EM.

Il recepimento della EPBD ha esteso l’obbligo dell’“energy label ” anche agli edifici che vengono immessi sul mercato immobiliare per essere venduti o affittati, dovendo essi possedere, all’atto della compravendita, un attestato di certificazione rilasciato da meno di 5 anni.

E’ stata inoltre introdotta una suddivisione in ben 14 classi energetiche che vanno in ordine decrescente da A1 a G2. Tale suddivisione è motivata sia dalla notevole differenza nelle prestazioni energetiche che può esistere tra un edificio di nuova costruzione ed un edificio esistente sia dal tentativo di meglio evidenziare la diversa potenzialità di eventuali interventi di riqualificazione energetica dell’edificio. In particolare, un edificio di nuova costruzione per ottenere l’abitabilità non deve superare la classe B1.

Francia

In Francia la certificazione energetica degli edifici è stata introdotta per la prima volta dalla L. 96-1236/1996 relativa all’uso efficiente dell’energia, obbligatoria per gli edifici sia nuovi che esistenti. Nel 2006 è stato emanato il decreto di attuazione della EPBD che introduce l’obbligo del documento “Diagnostic de Performance Energétique” (DPE). Tale certificato, che deve essere redatto sia per i nuovi edifici sia per gli immobili esistenti che vengono immessi sul mercato immobiliare, prevede una suddivisione in 7 classi tanto per i consumi di energia primaria espressi in kWh/m2anno, quanto per le emissioni inquinanti espresse in kgeqco2/anno. Va precisato che il consumo annuo di energia primaria tiene conto oltre che del riscaldamento invernale e della produzione di acqua calda sanitaria, anche del raffrescamento estivo, dell’illuminazione artificiale (ad esclusione degli edifici residenziali) e dello sfruttamento delle energie rinnovabili. Per gli edifici di nuova costruzione deve essere indicata anche la temperatura interna estiva degli edifici non muniti di impianto di raffrescamento. Per gli edifici costruiti anteriormente al 1° gennaio 1948, il consumo energetico deve essere desunto dalla media dei consumi dei tre anni precedenti.

Il DPE, che deve essere rilasciato da un certificatore abilitato, deve contenere anche una sezione in cui sono individuati i possibili interventi per migliorare le prestazioni energetiche dell’immobile.

Per il settore residenziale viene fornito il metodo di calcolo “Calcul Consommation Conventionelles des Logements” (3CL), che utilizza una procedura semplificata ed è accessibile a tutti attraverso il sito internet dell’ADEME, l’agenzia francese per l’ambiente e la gestione dell’energia.

Per le altre destinazioni d’uso, nell’attesa che siano approntate metodologie di calcolo specifiche (è in fase di preparazione una procedura completa dinamica in regime orario), si procede alla valutazione energetica mediante l’utilizzo dei consumi reali. Infine per le nuove abitazioni è previsto l’utilizzo delle metodologie di calcolo contenute nelle “Reglementation Thermique” del 2000 e del 2005. La “Reglementation Thermique” (RT) del 2000, applicabile ai nuovi edifici sia residenziali che terziari, contiene norme di tipo prestazionale che nelle intenzioni del legislatore avrebbero dovuto consentire di ridurre i consumi energetici delle nuove costruzioni di circa il 20% nel residenziale e di circa il 45% nel terziario. La “Reglementation Thermique” del 2005 inserisce alcune innovazioni rispetto a quella del 2000, come ad esempio l’introduzione del calcolo del fabbisogno per climatizzazione estiva e l’incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili e della progettazione bioclimatica. L’obiettivo della RT 2005 è quello di favorire una riduzione dei consumi energetici di almeno il 15% rispetto agli edifici costruiti secondo gli standard imposti dalla RT 2000 e di arrivare ad una riduzione dei consumi del 40% entro il 2020. Per verificare il rispetto delle prescrizioni imposte possono essere impiegati specifici metodi di calcolo messi a punto dal CSTB – Centre Scientifique et Tecnique du Batiment.

Sull’onda della “Grenelle de l’environnement”, gli stati generali dell’ambiente convocati nel 2007 e del successivo forum di Grenelle, è scaturita nel 2009 la legge “Grenelle 1” che prevede che tutti i nuovi edifici siano progettati secondo gli standard di “basso consumo”, vale a dire con un consumo annuo di energia primaria inferiore ai 50 kWh. Tale standard, a partire dal 2012, diventerà obbligatorio per tutti gli edifici di nuova costruzione. Un ulteriore step è previsto per il 2020, quando  gli edifici di nuova realizzazione dovranno produrre più energia di quanta ne consumano e gli edifici esistenti dovranno essere sottoposti a piani di riqualificazioni energetica che portino ad una media annua dei consumi compresa tra i 90 e i 150 kWh. Per supportare questo ambizioso piano nazionale di intervento è in fase di preparazione la “Reglementation Thermique” 2012.

Germania

In Germania, la prima normativa in materia energetica, emanata nel 1982, stabiliva un limite di 150 kWh/m2 (poi abbassato a 100 kWh/m2 nel 1995) per il consumo energetico annuo per il riscaldamento delle nuove costruzioni.

Nel 2002 è stato emanato un regolamento energetico, che introduce per le abitazioni lo strumento del “passaporto energetico” (“energiepass”), oltre a imporre che, per i nuovi edifici destinati a civile abitazione, il fabbisogno annuale di energia termica Qp (kWh/m2anno) sia inferiore a determinati valori limite fissati in funzione del rapporto di forma dell’edificio stesso. Il recepimento della EPBD è avvenuto attraverso il regolamento sul risparmio energetico “EnEV” del 2007, all’interno del quale è previsto che il consumo annuo di energia primaria tenga conto del riscaldamento, della produzione di acqua calda sanitaria e dell’eventuale raffrescamento. Il nuovo regolamento “EnEV” del 2009 prevede che per gli edifici non residenziali il consumo di energia primaria tenga conto anche della ventilazione meccanica e dell’illuminazione artificiale. La situazione varia comunque molto da regione a regione, esistendo attualmente a livello locale più di 30 sistemi di certificazione energetica volontari. In ottemperanza alla EPBD sono attualmente in fase di sperimentazione due metodi di certificazione. Quello più complesso è indirizzato soprattutto ai casi in cui sono previsti interventi di miglioramento delle prestazioni energetiche: include un’analisi approfondita delle prestazioni energetiche di tutti i componenti edilizi, includendo anche possibili soluzioni per il risparmio energetico. Il metodo semplificato si basa invece sugli indici energetici delle diverse tipologie architettoniche ed è rivolto a quei casi in cui i dati informativi sull’edificio sono insufficienti o quando siano già stati realizzati interventi di risanamento edilizio.

Olanda

In Olanda il recepimento della DPBD è avvenuto attraverso il “Decree Energy Performance of Buildings” (BEG) del 2006, che è stato immediatamente seguito dal “Regulation on Energy Performance of Buildings” (REG).

Per i nuovi edifici viene introdotto il concetto di “Energy Performance Standard”, che in realtà utilizza come indicatore l’“Energy Performance Coefficient ” (EPC), un indice adimensionale utilizzato già dal 1996 indicante il rapporto tra il fabbisogno di energia termica ed elettrica dell’edificio in condizioni di funzionamento standard e il corrispondente valore limite, dipendente dalla forma e dalla dimensione dell’edificio. Più basso è l’EPC più alta è l’efficienza energetica dell’edificio. È interessante sottolineare che l’agenzia per l’energia olandese (Novem) ha introdotto l’“Energie Prestaie Advies” (EPA), un metodo di certificazione specifico per gli edifici esistenti che ha proprio lo scopo di incentivare la realizzazione di interventi di riqualificazione energetica, partendo dal presupposto che in Olanda gli edifici esistenti (costruiti cioè prima del 1997) rappresentano il 93% del patrimonio edilizio. Sono previsti incentivi sia per l’effettuazione della procedure EPA, sia per la realizzazione di interventi mirati di risparmio energetico.

Viene resa obbligatoria per gli edifici affittati o venduti dopo il 2008 la presenza dell’“Energielabel”, una “etichetta energetica” che dovrebbe spingere il mercato immobiliare verso una maggiore efficienza energetica.

Regno Unito

La sensibilità verso le problematiche collegate alle prestazioni energetiche degli edifici è assai diffusa e ormai consolidata nel Regno Unito, tanto che la valutazione di tali prestazioni è stata introdotta a livello legislativo già dal 1965 e già nella prima metà degli anni ’90 si sono diffuse numerose metodologie di certificazione energetica. Nel 2007 è avvenuto il recepimento della EPBD che ha reso obbligatori due tipi di certificati energetici: il “Display Energy certificate” (DEC) per gli edifici pubblici la cui superficie supera i 1000 m2 e l’“Energy Performance Certificate” (EPC) per tutti gli altri edifici. Il DEC si basa sui consumi energetici reali dell’edificio negli ultimi due anni, ma calcola anche i consumi derivabili da un utilizzo standardizzato dell’edificio. In questo modo il certificatore valuta sia le prestazioni energetiche che l’efficienza nella gestione. Il DEC deve comprendere anche l’“Advisory Report”, all’interno del quale sono indicati i suggerimenti per migliorare le prestazioni energetiche.

L’EPC invece viene calcolato sulla base di un utilizzo standard dell’edificio e valuta il fabbisogno energetico per riscaldamento, produzione di acqua calda sanitaria e illuminazione artificiale. La metodologia ufficiale per la certificazione emanata direttamente dal governo è la “Standard Assesment Procedure for Energy Rating of Dwellings” (SAP), resa obbligatoria dal 1995 per tutti gli edifici di nuova costruzione ad uso residenziale.

La SAP – attraverso una procedura di calcolo basata sul “Building Research Establishment Domestic Energy Model” (BREDEM) – stima il costo energetico specifico annuo per riscaldamento e acqua calda sanitaria in condizioni di funzionamento standard e indica anche l’impatto dovuto alle emissioni di CO2. La classificazione SAP è espressa in scala graduata da 1 a 100.

È importante evidenziare che nell’ambito della metodologia SAP è stata introdotta una procedura semplificata per valutare le prestazioni energetiche degli edifici residenziali esistenti che prende il nome di “Reduced Data Sap” (Rdsap), che necessita un minor numero di dati di input rispetto alla procedura Sap di tipo tradizionale. Attraverso di essa è possibile effettuare una stima del fabbisogno di energia primaria in condizioni di funzionamento standard e individuare i possibili interventi di risparmio energetico.

Esiste anche un’ulteriore procedura per gli edifici non residenziali, denominata “Simplified Building Energy Model” (SBEM), che calcola il fabbisogno energetico per riscaldamento, raffrescamento e produzione di acqua calda sanitaria secondo quanto previsto dalla norma EN 13790.

Va inoltre segnalata la “Part L” delle “Buildings Regulations” finalizzata a ridurre le emissioni di CO2 nel settore edilizio attraverso un approccio di tipo prestazionale che individua livelli minimi per la performance energetica degli edifici fissando tra l’altro limiti precisi per i valori di trasmittanza termica dell’involucro edilizio.

Problemi aperti e prospettive di sviluppo

A otto anni dall’emanazione della Direttiva EPBD se ne può constatare il sostanziale recepimento a livello europeo, sia pur con modalità e tempi diversi da paese a paese. Non si può fare a meno tuttavia di osservare che il processo di certificazione energetica degli edifici appare ancora oggi lontano dall’aver perseguito integralmente gli obiettivi prefissati, perdurando tuttoggi ancora oggi numerosi nodi irrisolti.

Il fatto che alcuni paesi europei già prima dell’emanazione della EPBD utilizzassero strumenti di certificazione energetica o comunque di controllo delle prestazioni energetiche probabilmente ha rappresentato uno dei motivi alla base delle notevoli differenziazioni riguardo all’applicazione della stessa Direttiva europea. Tali differenziazioni concernono prevalentemente l’ambito di intervento, le tipologie di consumi energetici interessate (riscaldamento, acqua calda sanitaria, climatizzazione, illuminazione), i requisiti minimi e le metodologie di calcolo. D’altra parte, le circa 40 norme del Comitato Europeo di Normazione (CEN) del pacchetto EPBD, emanate per dare applicazione alla Direttiva, sono risultate assai complesse e hanno lasciato forse troppa discrezionalità nell’approccio da seguire, determinando numerose e sostanziali diseguaglianze negli strumenti attuativi adottati dai vari paesi. Alcuni paesi hanno scelto di utilizzare modelli di certificazione che si basano sulla valutazione dei consumi “reali” (quelli che la norma EN 15203 definisce “operational rating”); altri paesi invece utilizzano modelli che calcolano le prestazioni dell’edificio in condizioni “standard” di funzionamento (quelli che la norma EN 15203 definisce “asset rating”).

Ulteriori differenze sono riscontrabili nella scelta delle tipologie di consumi da comprendere nelle valutazioni. L’Austria, ad esempio, ha inteso utilizzare metodologie diversificate di certificazione per gli edifici residenziali (per i quali vengono valutati solo i consumi per il riscaldamento) e per tutte le altre tipologie di edifici (per i quali è necessario calcolare anche i consumi connessi alla climatizzazione estiva e all’illuminazione). Si può facilmente intuire che il confronto tra indici di prestazione energetica di edifici ubicati in paesi differenti può risultare compito assai arduo non solo per l’utente finale ma sovente anche per gli stessi tecnici energetici. Al riguardo, se uno degli obiettivi principali della EPBD era quello di fornire una metodologia comune per tutti gli stati membri, non può non riscontrarsi – almeno fino ad oggi – un sostanziale fallimento in questa direzione. Nel percorso intrapreso verso l’efficienza energetica del settore edilizio, un merito ascrivibile alla Direttiva è sicuramente stato quello di aver contemplato anche gli edifici esistenti che rappresentano la quota più consistente del patrimonio edilizio e al tempo stesso manifestano i consumi energetici più elevati. Numerosi paesi europei in seguito al recepimento della Direttiva hanno esteso l’obbligo di certificazione energetica anche agli edifici esistenti, specie a quelli oggetto di interventi di ristrutturazione o che vengono immessi sul mercato immobiliare. Per ovviare alle problematiche derivanti dalla carenza di dati informativi affidabili sulle caratteristiche termo-fisiche del patrimonio edilizio esistente, spesso sono state adottate metodologie semplificate che per i dati di input fanno riferimento a specifiche banche dati. Merita al riguardo una menzione particolare l’approccio del Regno Unito che ha introdotto una metodologia di certificazione energetica specifica per gli edifici pubblici la cui superficie supera i 1000 mq. Il patrimonio pubblico rappresenta di certo un settore di rilievo al quale è necessario prestare particolare attenzione in un programma di generale di ottimizzazione energetica del settore edilizio: in tale direzione si muove l’art. 7 comma 3 della stessa Direttiva EPBD, che prevede negli edifici pubblici la cui superficie supera i 1000 mq l’affissione in luogo visibile per il pubblico di un attestato di certificazione che evidenzi le prestazioni energetiche in essere. Lo spirito di questo articolo intende far trasparire nella progettazione e nella gestione degli edifici pubblici un approccio energetico-ambientale esemplare, con un duplice obiettivo: da un lato determinare benefici diretti in termini di riduzione dei consumi da fonte fossile e delle emissioni; dall’altro favorire azioni dimostrative che agiscano da stimolo per il settore privato. La metodologia proposta in tal senso dal Regno Unito è particolarmente interessante perché, se da un lato si basa sulla valutazione dei consumi effettivi degli ultimi anni, dall’altro ricomprende anche il calcolo dei consumi derivanti da un utilizzo standard dell’edificio. Questo approccio fornisce la possibilità di valutare non solo le prestazioni energetiche reali dell’edificio ma anche l’efficienza nella sua gestione in termini di modalità di occupazione, di utilizzo degli impianti, di condizioni di comfort, ecc.

Nel mentre i diversi paesi europei proseguono i rispettivi percorsi di adeguamento delle proprie legislazioni a quanto imposto dalla Direttiva EPBD, è stata nel frattempo approvata a fine 2009 la revisione della Direttiva stessa che spingerà il settore edilizio verso standard energetici assai più severi: essa prevede che gli edifici costruiti a partire dal 2021 dovranno essere in grado di produrre la maggior parte dell’energia che producono, dovendo risultare ad energia “quasi zero”. Per gli edifici pubblici tale scadenza è anticipata alla fine del 2018.

Sarà in grado il mercato edilizio di rispondere a questa sfida adeguandosi ai nuovi standard energetici? E ancora: la possibilità per gli stati europei di interpretare liberamente il concetto di edificio ad energia “quasi zero” non rischia ancora una volta di accrescere la diseguaglianza e la confusione già esistenti tra gli standard energetici adottati dagli stessi paesi?

Riferimenti bibliografici

– M. Bonomi, M. Baldinazzo, S. Ferrari, V. Zanotto, R. Ramponi, Sviluppo di modelli di calcolo semplificati per la valutazione delle prestazioni energetiche degli edifici, ENEA – Ministero per lo Sviluppo Economico, Roma, 2009; 

– M. Cannaviello, A. Violano, La certificazione energetica degli edifici esistenti, Angeli, Milano, 2006; 

– M. Citterio, G. Fasano, C. Manna, Efficientamento energetico dei patrimoni immobiliari pubblici: verso un piano nazionale d’intervento?, in “FMI Facility Management Italia”, n. 6, 2010;

– M. Filippi, C. Maga, La certificazione energetica degli edifici: procedure nei paesi europei, in ‘’CDA’’, n. 10, 2004; 

– M. Sunnika, Policies for improving the energy efficiency of the existing housing stock, IOS Press, Amsterdam, 2006.

 

Monica Cannaviello*

*Docente Seconda Università di Napoli

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