HomesanitàL'evoluzione delle strutture ospedaliere nell'ottica della flessibilità funzionale

L’evoluzione delle strutture ospedaliere nell’ottica della flessibilità funzionale

(Tratto da “Hospital & Public Health” n.1, Gennaio-Marzo 2009)


Gli ospedali rappresentano una delle tipologie funzionali in cui il rapporto di causa e effetto che corre tra avanzamento scientifico-tecnologico ed evoluzione formale risulta più immediato.

Nel XV secolo i luoghi della cura assunsero per la prima volta delle caratteristiche architettoniche proprie; in questo periodo storico venivano attribuite a illuminazione e ventilazione naturale forti valenze terapeutiche. Per queste ragioni gli spazi erano solitamente articolati attorno ad ariose corti o organizzati in padiglioni tra loro distanti.

Le scoperte di Pasteur e Koch del XIX secolo con l’identificazione del ruolo dei batteri nella trasmissione delle malattie resero superfluo il rigido isolamento dei volumi che aveva caratterizzato i modelli del passato. I progettisti del tempo cominciarono a ricorrere a tipologie compatte meglio capaci di risolvere le esigenze di un programma funzionale sempre più complesso. L’ospedale si convertì così in una macchina energivora impenetrabile a luce e ventilazione naturale. Ma gli alti consumi energetici e la disumanità degli spazi non furono la solo causa a decretare la fine delle tipologie compatte. Una esigenza tutta nuova porta i progettisti oggi a ricorrere a tipologie articolate: la flessibilità, intesa come capacità dell’organismo edilizio di adeguarsi ai cambiamenti funzionali e organizzativi dovuti ad avanzamenti della scienza medica o della tecnologia.

All’interno dell’intervento i relatori analizzeranno il legame che corre tra forma e flessibilità dell’organismo edilizio, mettendo in risalto i possibili espedienti costruttivi adoperati per fronteggiare la sua obsolescenza.

Relazione

Quando nel 1965 Le Corbusier morì, il suo progetto per l’ospedale di Venezia era da poco stato presentato. Nonostante l’opera non avrebbe mai avuto luce per una serie di vicissitudini economiche prima e poi per scelta della stessa amministrazione degli ospedali riuniti di Venezia, tra i teorici dell’architettura contemporanea il progetto dell’ospedale di Venezia di Le Corbusier non ha mai cessato di far discutere per via delle forti innovazioni tipologiche in esso contenute. Esso viene ancora oggi considerato l’opera testamento del maestro svizzero; al suo interno egli ripropone quasi tutti “gli ingredienti” che avevano caratterizzato le sue opere precedenti, dalla rampa di accesso fino al tetto giardino passando per una struttura continua fatta di piloties e patii; ma nell’utilizzarli Le Corbusier produce un opera assolutamente inedita, diametralmente opposta ai monumentali progetti ospedalieri che erano stati proposti poco innanzi per la stessa opera, per lo stesso sito.

Jullian de La Fuente, mano destra di Le Corbusier nel disegno dell’ospedale, era rimasto colpito dalla prima serie di schizzi e diagrammi che il maestro gli aveva mostrato prima della definizione del progetto; pensò subito che si trattasse di una nuova maniera di fare architettura. Così quando il progetto venne per la prima volta presentato sotto gli occhi di tutti nel 1965 a quanti già parlavano di invenzione, il maestro svizzero rispondeva: “non ho proprio inventato niente, ho solo progettato un ospedale che può nascere, vivere ed espandersi come una mano aperta”.

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Fig. 1 – Progetto per l’ospedale di Venezia di Le Corbusier, pianta piano terra.

Perché era effettivamente di questo che si trattava: una struttura edilizia con principi prossimi a quelli di una molecola capace di espandersi orizzontalmente al di sopra della laguna qualora ci fosse stato necessità di nuovi spazi o richiesta di modifiche successivamente alla costruzione dell’opera. Grazie alla definizione di un sistema costruttivo modulare basato sul modulor – sistema di misura da lui inventato e basato sullo studio della scala umana – modifiche significative potevano anche essere apportate all’interno dell’organismo senza per questo disturbare la operatività dell’insieme.

Le Corbusier aveva compreso e interpretato la natura più autentica dell’ospedale: quella di una struttura funzionale non solo estremamente complessa ma anche in continua evoluzione, che avrebbe richiesto all’organismo edilizio continui aggiornamenti nel corso della sua vita utile.

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Fig. 2 – Progetto per l’ospedale di Venezia di Le Corbusier, modulo e vista del plastico.

La forma dell’organismo edilizio di Le Corbusier non era solamente espressione del programma funzionale che esso era destinato a contenere ma rappresentava, secondo quanto riferisce l’architetto stesso una naturale espansione del tessuto urbano veneziano, fatto di calli e campielli dimensionati sulla scala umana. La contestualizzazione dell’opera non era basata né su una mera ripetizione formale né su una mimesi linguistica del manufatto ma sulla maniera stessa di circolare al suo interno. L’architetto svizzero parla così di urbanità e umanizzazione della struttura anticipando due dei punti informatori del meta-progetto redatto da Renzo Piano nel 2000 su invito dell’allora ministro alla sanità Umberto Veronesi.

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