HomesanitàGestione dell'acqua in ospedale: quali prassi e quali rischi?

Gestione dell’acqua in ospedale: quali prassi e quali rischi?

(tratto da “GSA” n.4, Aprile 2010)

 

Una nuova  pubblicazione ANMDO-Edicom fa luce sulla gestione delle acque in ambito ospedaliero. In tredici capitoli il manuale ne analizza tutti gli aspetti. Ampio spazio è dedicato ai rischi di una cattiva gestione dell’acqua, primo fra tutti la legionellosi, veicolata proprio dall’acqua. Si scopre così che anche nella gestione delle acque l’ospedale è un ambiente con le sue regole e le sue specificità.

 

 

Un tema di estrema attualità, negli ultimi anni, è quello dell’acqua. Una risorsa troppo spesso sprecata o usata con leggerezza, distribuita non equamente nelle zone del pianeta, un elemento essenziale della vita che a volte sottovalutiamo cullandoci nell’illusione della sua inesauribilità.

 

Acqua e ospedale: un rapporto che merita attenzione

Anche in ambito sanitario, è evidente, l’acqua riveste un ruolo di fondamentale importanza: se ne parla da un po’, ma la notizia freschissima è che a marzo l’ANMDO ha fatto uscire un manualetto di 88 pagine,pubblicato dalla nostra casa editrice Edicom, intitolato “La gestione delle acque in ambito sanitario: caratteristiche, usi, problematiche e indicazioni sulle metodologie di controllo”. La pubblicazione, che si inserisce in una serie di iniziative editoriali ANMDO/Edicom relative a diversi aspetti della gestione ospedaliera (fra gli altri sono da ricordare le Linee-guida per la gestione della pulizia ospedaliera; per il corretto utilizzo degli antisettici-disinfettanti e per l’accreditamento volontario dei fornitori di pulizia in ospedale, tutti usciti lo scorso anno), si divide in 13 capitoli (12 più un allegato) che vanno dal generale al particolare: dalle funzioni dell’acqua al suo utilizzo ospedaliero, passando per le risorse idriche e l’inquinamento ambientale; gli inquinanti delle acque originati dal processo di potabilizzazione: gli inquinanti legati alla rete di distribuzione; la distribuzione dell’acqua in ospedale; i requisiti di qualità dell’acqua in ospedale; l’acqua nei reparti ospedalieri; l’acqua nei reparti critici ospedalieri; la sorveglianza dell’acqua in ospedale e la prevenzione; aspergillus; acqua ospedaliera e legionellosi; aspetti legislativi e normativi sulle acque. L’allegato contiene le tabelle di riferimento secondo normativa.

 

Una risorsa preziosissima

L’acqua, certo, è una delle risorse fondamentali per la nostra vita: rappresenta, in media, il 70% del peso corporeo di ciascuno di noi, ed è essenziale anche in funzione degli innumerevoli impieghi che ne vengono fatti nella vita organizzata della società, al di là di quello alimentare.

Sia il settore produttivo (agricolo e industriale), sia quello dei servizi, semplici o avanzati, non potrebbero funzionare senza l’ausilio dell’acqua. Purtroppo, con il crescere del fabbisogno e della disponibilità pro-capite di acqua dolce nei paesi industrializzati, si è manifestata l’esigenza di creare dei sistemi che permettano un maggiore apporto d’acqua ma che spesso, inevitabilmente, diventano i responsabili dell’incremento delle contaminazioni dell’acqua stessa, con il conseguente peggioramento della qualità ed impedimento a un successivo utilizzo delle fonti contaminate.

 

L’acqua: importante ma facilmente contaminabile

In ambiente esterno, l’acqua partecipa a differenti cicli biogeochimici, sulla superficie come nelle profondità terrestri, ma anche all’interno degli organismi viventi, rappresentando il mezzo di trasporto di sostanze (tra cui i microrganismi) o la matrice di trasformazione maggiormente impiegata (ciclo dell’acqua).

Senza acqua non si può vivere, verità semplice ma assolutamente inconfutabile. L’acqua, peraltro, è anche una delle sostanze più facilmente contaminabili: innumerevoli sono gli agenti inquinanti che possono intaccare, a volte irreparabilmente, la qualità dell’acqua. I fattori inquinanti derivano dai processi di potabilizzazione o dalla rete distributiva. In una struttura ospedaliera, svariati sono gli impieghi di acqua, e per assicurare all’ospedale acqua sicura: per questo particolare importanza rivestono i sistemi di pre-trattamento: avere la certezza di un’acqua pre-trattata all’interno della struttura ospedaliera, che non risenta delle variabilità tipiche stagionali o accidentali dell’acqua erogata in ingresso, permette la distribuzione  dell’acqua alle utenze in tutta sicurezza. Il pre-trattamento deve garantire la normalizzazione e la stabilizzazione dei parametri chimici e fisici dell’acqua in ingresso della struttura. Tra i metodi più comuni vanno annoverati l’addolcimento e la pre-filtrazione.

Secondo passaggio: come il pre-trattamento, anche il sistema di distribuzione dell’acqua deve necessariamente essere coinvolto nella ricerca di tecnologie e materiali appropriati allo scopo di conservare il più possibile incontaminata la qualità dell’acqua fino ai punti di utilizzo. Tecnologie e materiali che devono assicurare la più efficace riduzione dei rischi: tra questi ultimi, un posto importante è occupato (se ne parla da tempo) dalla cosiddetta malattia del legionario, o legionellosi, veicolata da un batterio ubiquitario che si può trovare sia in natura sia in ambienti artificiali. Tra questi ultimi, quali prediliga è storia nota: tubazioni, serbatoi, impianti idrici e di condizionamento.

 

La legionella: un rischio concreto, più comune di quanto si pensi

Il contagio da legionella è più diffuso di quanto si pensi: esso può avvenire durante il funzionamento di docce, grandi impianti centralizzati di condizionamento, unità trattamento aria (UTA), ma anche, ad esempio, apparecchiature medicali. La prevenzione può e deve partire già dalla fase di progettazione: per gli impianti idrico-sanitari uno dei fattori-chiave è la scelta del materiale usato per la costruzione dell’impianto di pipino per la distribuzione dell’acqua. I più recenti studi nel campo dei materiali hanno messo in evidenza come il rame sia il migliore materiale per evitare la proliferazione del batterio della legionella.

Sempre in tema di metodiche contro la proliferazione del batterio responsabile della legionella, un capitolo è dedicato proprio a queste ultime.

 

Legionella negli ospedali: cosa fare?

Negli ospedali la lotta contro la legionellosi inizia, abbiamo visto, con un’idonea progettazione e realizzazione degli impianti, e prosegue con la scelta dei giusti materiali e delle metodiche più adeguate a combattere la proliferazione batterica.

Spesso si deve ricorrere all’azione incrociata di più metodi, a meno che non siano fra loro incompatibili.

Tra le più frequenti difficoltà, e anche tra le meno agevolmente superabili, c’è spesso la vetustà dell’impianto, che si presenta in condizioni strutturali molto problematiche (per conformazione, tipologia, progettazione e materiali).

Non ci si pensa, ma spesso alcune metodiche regolarmente impiegate in altri contesti diventano inapplicabili in alcuni ambienti ospedalieri: se lo shock termico, ad esempio, prevede l’innalzamento della temperatura dell’acqua oltre i  60°C, come si può pensare di metterlo in atto in reparti come pediatria, geriatria o psichiatria senza rischi per i pazienti? Insomma, anche nella gestione delle acque l’ospedale è un ambiente con le sue regole e le sue specificità. 

A ciò si aggiunge che diversi materiali malsopportano azioni ossidative spinte, e in diversi casi potrebbe essere impossibile garantire il raggiungimento in ogni parte dell’impianto di una temperatura efficace per ottenere l’effetto tecnico sulla legionella.

 

I metodi più usati (da soli o in combinazione)

E così spesso si verifica che in un ospedale sia impossibile impiegare soltanto una delle tecniche attualmente in uso. Esse sono, in sintesi:

– Shock termico, che consiste nell’aumentare la temperatura dell’acqua fino a 70-80°C e farla scorrere attraverso i rubinetti per mezz’ora al giorno, dopo aver svuotato e decontaminato con cloro i serbatoi dell’acqua;

– Mantenimento costante della temperatura tra i 55-60°C all’interno della rete e a monte della miscelazione con l’acqua fredda: una procedura molto efficace che però comporta un notevole dispendio di energia e a volte, come detto, non è sicura.

– Clorazione, previa attenta considerazione sulla concentrazione di cloro impiegata, al fine di non mutare le caratteristiche sensoriali dell’acqua e non ridurre la funzione biocida del cloro stesso;

– Biossido di cloro, considerato molto efficace a patto che se ne controlli l’impiego (dosaggio, controllo, flussaggio e manutenzione del sistema);

– Lampade UVA, utilizzato soprattutto in combinazione con altre procedure;

– Pre-filtrazione, indicato però in caso di ristrutturazioni o nuove costruzioni;

– Ionizzazione a rame-argento, materiali che agiscono sulla parte cellulare dei microrganismi determinando la distorsione della permeabilità e la denaturazione proteica con lisi e morte cellulare;

– Perossido di idrogeno e argento, miscelati in una soluzione stabile;

-Acido per acetico, soprattutto in condizioni di emergenza;

-Filtrazione ai punti d’uso terminali, per impedire il passaggio fisico del batterio direttamente nei punti terminali (rubinetti, soffioni, docce, ecc).

 

Formazione e corretta gestione: senza è tutto inutile

Tutto questo in combinazione, quasi superfluo dirlo, con un’adeguata formazione del personale, sia sanitario sia tecnico. Sempre sotto il profilo organizzativo-gestionale, è chiaro che un caso di legionellosi nosocomiale, una volta confermato, vada segnalato alle autorità competenti. Ma rientra nel compito dell’ospedale effettuare anche indagini epidemiologiche e ambientali accurate che siano in grado di analizzare le modalità che hanno determinato l’insorgere dell’evento e, soprattutto, le misure necessarie ad evitare il diffondersi dell’infezione all’interno del singolo dipartimento, reparto, o di tutta l’azienda. Per questa ragione è indispensabile il coinvolgimento di tutto il personale sanitario e la messa in atto di un protocollo apposito per identificare tutti i nuovi casi di legionella nosocomiale.  Il manuale contiene poi le indicazioni pratiche di ciò che si deve fare nel caso si verifichino emergenze legate alla legionellosi, e le misure da adottare, prima fra tutti la bonifica ambientale.

 

La filiera delle responsabilità e dei compiti

Chiude il capitolo l’indicazione delle responsabilità in caso di rischio-legionella: la responsabilità primaria è sempre del Direttore Generale, il quale può provvedere alla formazione di uno staff di persone del quale faranno parte: Direzione Sanitaria e Servizio di Igiene Ospedaliera; Responsabile risk management; Servizio Tecnico; Comitato per la lotta alle infezioni ospedaliere (CIO); Responsabile servizio protezione e prevenzione (RSPP). Tra i passi da ottemperare ci sono:

–         La definizione di un piano programmatico per la lotta alla legionella;

–         La determinazione di un piano di rilevazione dei fattori di rischio e casi clinici (con relativo archivio informatico);

–         La determinazione di un programma di manutenzione e intervento sugli impianti;

–         La determinazione periodica del livello di contaminazione degli impianti;

–         Un piano di sanificazione/bonifica e controlli periodici in tale direzione;

–         Valutazione degli indicatori di efficienza, efficacia, qualità della strategia gestionale adottata.

E’ fondamentale che ogni ospedale implementi un piano di intervento ben preciso, che preveda anche la corretta informazione e formazione di tutti gli addetti, nella logica dell’autocontrollo e di un adeguato risk management.

 

 

Umberto Marchi

 

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