HomesanitàFederalismo e Sanità: speranze e paure

Federalismo e Sanità: speranze e paure

(Tratto da “L’ospedale” n.2, Aprile-Maggio 2009)


Riassunto

A partire dalla fine degli anni ’90 ha si è sviluppato in Italia un forte movimento federalistico che ha potenziato la già pronunciata tendenza autonomistica iniziata nel 1992 con l’aziendalizzazione del servizio sanitario. E’ ormai un dato di fatto che in Italia coesistono almeno due o tre modelli di organizzazione della sanità con differenze sostanziali che vanno sempre più approfondendosi e radicandosi. Col trasferimento alle Regioni della responsabilità fiscale verrà meno la possibilità di impiegare la leva del trasferimento delle finanze, dallo Stato alle Regioni, come strumento correttivo di eventuali tendenze centrifughe dei poteri locali. A presidio dell’universalismo del Servizio Sanitario e dell’uguaglianza dei cittadini restano i LEA. Saranno sufficienti ad assicurare l’unitarietà del Sistema o abbiamo imboccato una via senza ritorno verso la frantumazione del nostro Servizio Sanitario?

Premessa

Lo scorso Novembre le Regioni hanno raggiunto un accordo per la mobilità sanitaria del 2007, che, tra debiti e crediti vale 3,47 mld. di euro. E’ questo il costo sostenuto dalle Regioni per assicurare le cure ai propri residenti al di fuori del proprio territorio. Il debito delle dodici regioni con saldo negativo ammonta a 1,2 mld., mentre il credito residuo di quelle in attivo vale circa 1,1 mld.; poco meno di 87 mil. sono dovuti, dalla quasi totalità delle Regioni, al Bambin Gesù (49,56 mil.) e alle varie sedi dell’Ordine di Malta (37 mil.).

Le Regioni che incassano di più dalla mobilità sono la Lombardia con 446,5 mil. (756,1 mil. di crediti a fronte di 309,7 mil. di debiti) e l’Emilia Romagna con quasi 329 mil (532,5 mil, di crediti a fronte di 203,5 mil. di debiti); seguono la Toscana con 106,3 mil. (262,2 mil. di crediti a fronte di 155,9 mil. di debiti) ed il Veneto con 101,5 mil. (295,5 mil di crediti a fronte di 194 mil. di debiti). Sul versante opposto, i maggiori debiti sono stati accumulati dalla Campania con 297,7 mil., dalla Calabria con 229 mil., dalla Sicilia con 204,3 mil. e dalla Puglia con 184 mil.(1)

La migrazione rappresenta un potente indicatore dei livelli essenziali di assistenza che le regioni sono tenute ad assicurare ed un possibile indicatore di ineguaglianza nell’accesso ai servizi.

I sistemi sanitari regionali si stanno inesorabilmente modificando, dando luogo a regimi di offerta differenziati, che da un lato arichiscono la libertà di scelta dell’utente e dall’altro incentivano, per effetto della concorrenza fra Regioni, la mobilità sanitaria.

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Le ragioni del federalismo

Il rapporto tra efficienza ed equità è uno dei temi classici del dibattito in Sanità. La dicotomia tra equità ed efficienza è il trade off economi­co più importante tant’è che fra gli economisti è radicata la convinzione che u­guaglianza ed efficienza siano valori conflittuali (2). I limiti di sostenibilità finan­ziaria del welfare e l’istanza di  partecipazione dal basso, cresciuti nella società italiana a partire dagli anni ’70 ed enfatizzati dall’attuale crisi economica, hanno rafforzato l’idea che il decentramento renda i governi locali più responsabili nel perseguire l’allineamento tra risorse disponibili e domanda di servizi dei cittadini. Il decentramento è ritenuto inoltre capace di innescare e mantenere una maggiore competizione, tra i diversi soggetti  locali, che incrementerebbe l’efficienza del settore pubblico (3).

Il nostro Servizio Sanitario Nazionale, è  stato caratterizzato, fin dalla sua nascita, da una progressione incontrollabile dei livelli di spesa tendente a rendere il sistema finanziariamente insostenibile ( box 1). L’incapacità del sistema di rimanere all’interno dei fabbisogni determinati nei bilanci di previsione è stata imputata alla mancata attribuzione in capo al soggetto responsabile della spesa, della responsabilità del reperimento delle relative risorse finanzia­rie. Secondo questa visione, il federalismo assicurerebbe  l’efficienza del Servizio e la riduzione dei costi per effetto dell’autonomia di bilancio del Potere decentrato aumentando l’efficienza nell’allocazione delle risorse (appropriatezza delle prestazioni) e nell’azione amministrativa (efficienza organizzativa e gestionale).

Il federalismo quindi come rimedio allo storico squilibrio tra domanda di servizi e disponibilità di risorse (4), tradizionalmente tenuto a bada più riducendo l’accesso degli utenti ai servizi (tagli) che aumentando l’appropriatezza delle prestazioni e l’efficienza della strutture.

Il procedere delle riforme in senso federalista, elemento costante della legislazione dell’ultimo decennio, ha fatto assumere alle Regioni competenza primaria e autonomia legislativa quasi completa in materia di organizzazione della sanità e si accinge a dare ad esse, con l’approvazione del DDL sul federalismo fiscale, la responsabilità esclusiva del reperimento delle risorse.

Il DDL sul federalismo fiscale già approvato dai due rami del Parlamento e attualmente in Senato per la seconda lettura, completa, le innovazioni introdotte dalla riforma costituzionale del 2001 (7). Il DDL stabilirà come reperire e ripartire le risorse economiche che dovranno alimentare il nuovo assetto statuale articolato, nell’attribuzione di competenze e poteri tra Stato e Regioni,secondo la previsione della Legge Costituzionale 3/2001 (Box 2).

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Opportunità e rischi

Sul federalismo le opinioni sono contrastanti; temuto da alcuni, è visto da altri come l’unica salvezza per l’Italia. Secondo i fautori rappresenta l’unico strumento in grado di ridurre la spesa pubblica, contenere la pressione fiscale e determinare, quindi, una ripresa dell’economia. Per i contrari, il federalismo non può rappresentare la soluzione perché ciò che la crisi rende ancor più necessario è uno Stato programmatore, mentre il decentramento potrebbe generare frammentazione  organizzativo-gestionale e maggiori spese. Si profila inoltre un restringimento dei margini di manovra nella politica fiscale-erariale con un conseguente depotenziamento dello Stato (6).

Il governo della sanità negli ultimi anni (segnatamente dall’entrata in vigore del Decreto 56/00) (8), ha caratterizzato il confronto Stato-Regioni, più come momento di contrattazione dei budget che di programmazione, verifica e indirizzo delle politiche economiche e sanitarie creando disaggregazione e differenziazione nel tipo e nella qualità dei servizi erogati dalle Regioni.

Lo testimoniano i resoconti delle riunioni della Conferenza Stato-Regioni che rendono atto di una contrapposizione tra lo Stato erogatore di risorse, che persegue tout court l’obiettivo di contenere al massimo la spesa, e i poteri regionali, gestori del servizio, che spingono per l’allentamento dei vincoli finanziari. Il rapporto Stato-Regioni in materia sanitaria sembra segnato da una logica contingente, di breve periodo, rivolta al tamponamento delle negatività dei bilanci e non all’organizzazione e alla programmazione (5). La mancanza di una governance nazionale del servizio sanitario, di cui la soppressione del ministero della Salute è stato il più recente epifenomeno, ha accelerato la tendenza centrifuga,  già presente nel sistema, sia per livelli di spesa (box 3) che per modelli organizzativi, generando un panorama regionale  molto differenziato.

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