HomesanitàAree d’attesa in ambito sanitario: il progetto dalla parte degli utenti

Aree d’attesa in ambito sanitario: il progetto dalla parte degli utenti

(tratto da “Hospital & Public Health” n.2, Aprile-Giugno 2010)

 

Aree d’attesa, soggettività ambientale e percezione del tempo

Dall’esperienza comune emerge che gli ambienti destinati alla cura e alla sanità in generale, corrispondono spesso a luoghi impersonali, scanditi da un tempo indefinito, privo di ogni possibilità d’azione. Ciò può indurre sensazioni differenti: ansia, impazienza, ma anche semplice noia. 

Il lavoro di questa ricerca è partito da un’analisi delle zone oggi destinate all’attesa. A tal proposito, per quanto riguarda l’ambito sanitario, sono stati effettuati vari rilevamenti ambientali in alcune strutture della realtà genovese, da cui abbiamo ricavato dati, sia a livello quantitativo che qualitativo, utili per capire in che direzione occorre muoversi per progettare luoghi non più solo d’attesa ma anche di accoglienza, capaci di suscitare rassicurazione e contenimento delle paure.

 

Gli stati d’animo e i sentimenti in una sala d’aspetto sono differenti, ma variano soprattutto in funzione di alcuni parametri. Innanzitutto dipendono dal genere di utente: non bisogna infatti tenere in considerazione solo i pazienti, ma anche gli accompagnatori, che vivono anch’essi una delicata condizione emotiva dovendo subire una doppia attesa, prima e durante la visita; senza dimenticare gli operatori, che sono coloro che trascorrono più tempo in questi ambienti. Tenere conto del personale durante la progettazione significherà allora agevolarne il lavoro e migliorarne l’efficienza. Ma tornando ai pazienti, va ricordato che differiscono a loro volta per lo stato di salute: potrebbero infatti essere esterni alla struttura o ricoverati e in tal caso anche barellati, situazione che abbiamo constatato (per motivi diversi) essere tenuta poco in considerazione.

Le differenti tipologie dipendono dal tipo di servizio per cui si è in attesa: se si attende per un responso, una visita importante, o per commissioni amministrative come il pagamento di un ticket, ecc…

Va ricordato che in genere nella progettazione degli ambienti sanitari la massima attenzione è rivolta dai progettisti alla soluzione ottimale delle aree ritenute più importanti, come le sale operatorie  e di intervento (ambulatori, diagnostiche), le aree tecniche e le zone di degenza; gli altri spazi quali aree di accoglienza, attesa e corridoi vengono da sempre considerati come spazi più o meno residuali, quasi di risulta.

In realtà queste zone non andrebbero sottovalutate in quanto luoghi d’accoglienza e primi ambienti incontrati dagli utenti, e quindi parte di quel processo conscio e inconscio che è la creazione del giudizio. E il giudizio dato alla struttura diviene poi giudizio su tutta l’organizzazione.

Una persona colpita positivamente da una struttura sanitaria, sarà poi ben disposta a sottoporsi alle cure necessarie e, in generale, verso gli operatori.

Proprio perché l’ambiente è un fattore determinante della qualità dell’esperienza umana, un ospedale ben progettato proprio in tali zone di accoglienza può alleviare il sentimento inevitabile di disorientamento, la separazione dalle routines familiari e da rassicuranti e sperimentate  relazioni interpersonali.

Ciò che è più difficile gestire in una sala d’attesa è la sensazione di un tempo sospeso, improduttivo; infatti nella nostra società il tempo ha acquisito il ruolo di un bene primario. Non è forse vero che  i nuovi ricchi sono anche quelli che hanno a disposizione maggiori quote di tempo, libero dal lavoro?

La definizione di attesa contiene in sé una doppia connotazione: attesa è sia il concetto dell’attendere, sia quello del luogo in cui avviene questa azione. Attendere significa interrompere qualunque attività, vivere in un tempo sospeso e immobile; dove l’assenza dell’azione è l’attesa stessa, lo scorrere del tempo ne diventa l’espressione principale e il luogo diviene allora come un limbo, collocato in una posizione temporale intermedia tra ciò che era e ciò che sarà.

Il tempo è il tema ricorrente delle nostre frenetiche esistenze. Dall’alba al tramonto, condizionato dalle situazioni, il tempo sembra essere o nostro alleato o nostro antagonista.

Non c’è mai abbastanza tempo per tutto, viviamo trattenendo il respiro come se fossimo in debito d’attimi, di minuti, di secondi. E’ il paradosso della società della comunicazione, in cui le cosiddette tecnologie salva-tempo, occupano con gran mole d’informazioni, spazi della nostra vita trasformando il tempo in una risorsa sempre più scarsa, col risultato di lottare quotidianamente contro di esso per il diritto a vivere e a pensare più lentamente.  Queste esigenze di lentezza, che hanno appunto terreno favorevole se aiutate da condizioni lavorative e da orari delle città più flessibili, hanno generato la considerazione che il tempo debba essere vissuto come risorsa da investire, che deve “rendere“ e dunque cronologicamente ben pesato e monetizzato.

Ciò genera la sensazione di inadeguatezza del tempo a disposizione rispetto agli impegni quotidiani o alle cose che si vorrebbero realizzare, un’ansia collegata alla percezione che il tempo sia sempre insufficiente (in senso quotidiano ed esistenziale) e alla necessità del controllo del tempo che scorre e dei tempi da impiegare nelle varie attività.

Tutto ciò genera una particolare ansia negli individui, che si ritrovano incapaci di gestire un tempo privo di ogni possibilità di azione che non sia l’attendere stesso, un tempo indefinito, carico di ansia e nel contempo di noia, proprio perché percepito come spreco della risorsa-tempo.

Molte porzioni della nostra vita fluiscono veloci tra un’attesa ed un’altra: è il tempo che accompagna il nostro cammino esistenziale, tanto che possiamo definire la vita una lunga successione di attese. Avendo stabilito l’importanza dell’interazione tra percezione e aspettativa, è importante esaminare come è possibile influenzarle.

Intanto vanno esplicitati alcuni concetti iniziali.

Primo: il tempo occupato viene percepito come più corto rispetto a quello inoccupato. Come sostenne il filosofo William James “Si sente la noia quando si presta attenzione al passaggio del tempo”, o più colloquialmente “pentola osservata non bolle”.

Secondo punto:  le persone percepiscono la prima attesa come la più lunga. Gli utenti vogliono cominciare il processo e coloro che attendono il primo contatto con l’organizzazione del servizio sono molto più impazienti di coloro che hanno già “iniziato”; il livello di ansia è più alto mentre si attende di essere serviti piuttosto di quando si comincia ad esserlo, anche se quest’ultima attesa potrebbe essere più lunga; si ha infatti paura di essere stati ”dimenticati”. Alcune organizzazioni mediche hanno in proposito adottato il sistema di far contattare i pazienti ancora prima della visita da unità di personale che, prendendo nota dei dati e dei sintomi del paziente, decide modalità e tempi della visita. Questo sicuramente non riduce i tempi di attesa per la visita, ma i pazienti una volta “entrati nel sistema”, li percepiscono in maniera minore.

Terzo punto:  l’ansia fa sembrare l’attesa più lunga.

Ogni individuo vive le proprie esperienze in maniera diversa, e può incorrere in stati d’ansia causati dall’attesa per i più svariati motivi. Il gestore degli spazi, il manager dei servizi, dovrà chiedersi quali fattori (razionali o irrazionali) potrebbero generare preoccupazione nel cliente e cercare di alleviarli.

Quarto punto: le attese indefinite vengono percepite come più lunghe rispetto alle attese definite. La più profonda fonte d’ansia nell’attesa è il fatto di non conoscere quanto questa sarà lunga. In particolare questo accade spesso agli individui con un appuntamento poiché si creano una specifica aspettativa sul tempo di attesa, e se questa non viene mantenuta, l’attesa sembra interminabile e lo stato d’ansia è addirittura maggiore rispetto a quello generato dall’annullamento dell’appuntamento.

Quinto punto: le attese ingiustificate vengono percepite come più lunghe rispetto alle attese giustificate. L’attesa genera un sentimento d’impotenza, che frequentemente si manifesta da parte dei clienti con visibile stato di irritazione e scortesia nei confronti del personale, reclamando il proprio stato di dolenti o di paganti. Per questo un’attesa giustificata tenderà a calmare i clienti più che un’attesa (apparentemente) senza giustificazioni.

Sesto punto: le attese percepite come ingiuste vengono vissute come attese più lunghe rispetto alle attese giuste. Il senso di equità/giustizia nei confronti dei clienti non è sempre ovvio e deve per questo essere esplicitamente gestito.

Settimo punto:  più è alta l’aspettativa nei confronti del servizio, più i clienti sono disposti ad attendere.

Ottavo punto: l’attesa in solitaria viene percepita come più lunga rispetto all’attesa in compagnia.

 

Occorre considerare che in ospedale attendere rappresenta un momento di concentrazione su un evento spesso carico di significati ansiogeni e di emotività. Proprio a causa di queste problematiche intrinseche, è necessario che gli spazi di attesa abbiano una connotazione ed un valore preciso, infatti la neutralità dell’ambiente rifletterebbe l’ansia dell’individuo nei confronti della malattia, accentuandone la solitudine.

Il luogo d’attesa deve essere invece pensato come uno spazio pieno di significati e di idee,  ricco ed articolato che, pur garantendo la possibilità di privacy e di raccoglimento in sé stessi, contenga elementi ed appigli visuali che distraggano in modo congruo dall’ansia ed interrompano la lunghezza e la monotonia dell’attesa.

Una delle esigenze della società contemporanea è, inoltre, immaginare lo spazio pubblico come l’insieme di tanti spazi personali e privati. Questo è dovuto soprattutto al fatto che trascorriamo sempre più tempo lontani da casa, la quale sta perdendo la sua caratteristica primaria di contenitore di affetti e dati. La casa infatti non è più l’esclusivo luogo di accumulo delle nostre esperienze di vita; possono assolvere questa funzione computer, cellulari, iPod/iPad, che facilmente possiamo portare con noi, per mantenere contatti, per lavorare ovunque e per svolgere tutte quelle azioni una volta legate a determinati ambienti.

Da tutte queste considerazioni nasce l’idea di ripensare le aree di attesa come un insieme di differenti microhabitat capaci di assecondare le persone nelle loro differenti necessità, siano queste di tipo fisico, psicologico o emotivo; quindi dotate per quanto possibile di tutti quegli  ausili che riportano l’utente alle comodità di casa: uso consapevole della televisione, anche per dialogare con l’utente e per presentazioni, possibilità di accessi al Web, presenza di musica, implementazione di tutte quelle finiture e complementi d’arredo presenti in casa ma spesso assenti in comunità: quadri, piante ornamentali e fiori, cromatismi nella struttura e negli arredi, attenzione alla mancanza di odori “ospedalieri”, buon grado di igiene e pulizie ecc…

 

 

Dalla medicalizzazione all’umanizzazione

La nostra ricerca è partita da un tema di grande attualità, ovvero il concetto di umanizzazione degli ambienti sanitari.

La nozione di umanizzazione dell’ambiente di cura ha radici antiche. In passato, infatti, il primo luogo di cura per gli ammalati era la loro casa. Solo nel XIX secolo fu progettato un vero edificio di cura “umanizzato”, quello che viene oggi chiamato l’ospedale Nightingale.

Fu un’infermiera, Florence Nightingale (1820-1910), la prima persona a definire la necessità di umanizzazione negli edifici ospedalieri: basandosi sulla sua esperienza a Scutari, la Nightingale si accertò del fatto che il tasso di mortalità dei pazienti avrebbe potuto essere ridotto fornendo un ambiente fisico migliore. Così propose di aumentare la penetrazione della luce solare e la circolazione di aria fresca, nonché di avere una temperatura più appropriata nelle stanze; verificò inoltre che la vicinanza delle varie sale di degenza era un fattore chiave nella crescita della malattia e del tasso di ricoveri e di mortalità.

In sostanza, Nightingale suggerì un nuovo modello di edificazione ospedaliera, nel quale l’attenzione fosse esplicitamente centrata sulla distribuzione degli spazi in funzione delle necessità e del benessere dei pazienti e non solo sulle necessità dei medici: soffitti alti, larghi spazi attorno al letto ed una disposizione dei reparti suddivisi su un’ampia area.

Oggi per umanizzazione si intende quel processo di sensibilizzazione nei confronti dell’utenza che ha l’obiettivo di rendere gli ambienti più ospitali e i rapporti con gli operatori più umani. Per questo è necessario ripensare le relazioni tra le strutture e gli operatori finalizzandole all’utenza, che troppe volte è stata considerata solo per la sua malattia o stato di salute.

Si può riattivare questo processo superando la forte tecnologizzazione della cura medica che privilegia il rapporto medico-malattia, per tornare a dar precedenza alla relazione medico-paziente.

Quindi il processo di umanizzazione consiste sostanzialmente nel ricondurre al centro l’uomo, con la sua esperienza di malattia ma anche i suoi vissuti. Tale concetto di umanizzazione intesa come centralità dell’uomo facendosi carico anche di tutte le sue esigenze, riporta all’altro, sinonimo, di ergonomia, che tante implicazioni progettuali offre.

 

 

Strutture sanitarie marketing oriented

La recente e costante attenzione verso l’utente-cliente nasce dal concetto di umanizzazione che porta in sé un nuovo pensiero progettuale in linea con le necessità logistiche ed economiche degli ambienti sanitari.

Progetti gestionali marketing oriented sono così diventati di ordinaria amministrazione, per rispondere alle richieste di salute, comfort e servizi di un’utenza evoluta, consapevole ed esigente.

Infatti, secondo la “teoria dei bisogni” di Maslow, l’individuo si realizza passando attraverso vari stadi psicofisiologici che devono essere soddisfatti in modo progressivo, dai bisogni primari a quelli intellettuali ed infine, nelle società evolute e mature come la nostra, estetici.

Da qui nasce l’esigenza di sviluppare progetti orientati al raggiungimento di un piano di qualità totale, cioè l’insieme di:

qualità tecnico professionale, relativa al livello di applicazione delle conoscenze scientifiche, delle abilità professionali e delle tecnologie disponibili;

qualità percepita, che si riferisce a come la struttura sanitaria e gli aspetti relazionali verranno vissuti dai protagonisti del processo assistenziale, utenti e operatori. Per la tutela della soddisfazione dell’utente-consumatore assume particolare rilievo anche il rispetto dei principi enunciati nella carta dei servizi sanitari.

qualità edilizia, che attiene alle prestazioni, ai contenuti tecnologici e alle caratteristiche costruttive.

Dalla qualità percepita dall’utente dipende la customer satisfaction che misura il grado di soddisfazione dell’utenza rispetto alle prestazioni offerte, assumendo un ruolo essenziale nella competizione tra strutture sanitarie e rappresentando di conseguenza un obiettivo aziendale strategico. Per prestazioni intendiamo, è bene ribadirlo, non solo la qualità tecnica della terapia, ma anche altri parametri quali l’accessibilità, l’accoglienza, le prestazioni alberghiere e il comfort, il comportamento degli operatori.

Nella rilevazione della custmer satisfaction vengono presi in considerazione non solo i clienti ma anche gli operatori dell’azienda, i quali contribuiscono alla realizzazione e alla divulgazione delle prestazioni e dei servizi aziendali, diventando risorse strategiche al fine del successo di un determinato servizio.  E tra le tante variabili che contribuiscono alla customer satisfaction, una è sicuramente legata al tempo di attesa per l’erogazione di un servizio.

Ognuno di noi può infatti affermare che la qualità dell’attesa per l’erogazione di un servizio influenza significativamente la percezione complessiva della qualità del servizio stesso.

Se ad esempio ci si aspetta un servizio di buon livello e ci si accorge che questo è stato pensato, studiato per essere ancora migliore, con accuratezza ed un atteggiamento che potremmo definire di tipo “I care”, si è un cliente soddisfatto. Se si percepisce invece un livello insufficiente dallo stesso, mancanza di accuratezza, si può dire che ci si aspettava di più, ci si sente delusi e di conseguenza si è un cliente insoddisfatto.

E quante più risorse (denaro, unità di personale, tempo competenze e attenzione) verranno investite per aumentare la qualità percepita del servizio, tanto più il cliente avrà vantaggi nella stessa salute e ripagherà con la propria soddisfazione e fedeltà.

 

 

Benessere e comfort

Il benessere è strettamente collegato alla quotidianità e di conseguenza l’ambiente con cui ci rapportiamo esercita una notevole influenza sulla nostra condizione psicofisica.

Infatti, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’ambiente è definito come “un sistema integrato di fattori antropici e fisici che esercitano un effetto significativo sulla salute della collettività”. Tali fattori rivestono un ruolo fondamentale ai fini della salute dell’uomo considerata non solo come assenza di malattia ma come completo stato di benessere fisico, psichico e sociale.

Risulta evidente la stretta connessione tra uomo-benessere-ambiente che si determina in ogni situazione delimitata da uno spazio confinato; infatti anche la qualità dell’ambiente indoor influenza notevolmente il livello qualitativo di benessere di ciascun individuo.

Per rispondere alle esigenze di comfort, benessere e sicurezza devono essere soddisfatti requisiti di:

–          benessere termico: corretta gestione di umidità relativa, calore radiante, velocità e temperatura dell’aria

–          benessere acustico: assenza di sonorità sgradevoli; fonti d’inquinamento superiori a determinate intensità sonore potrebbero indurre stress e ansia in operatori e pazienti che necessitano di tranquillità e riposo; eventuale presenza di suoni gradevoli

–          benessere visivo: dato dalla qualità, natura e potenza della luce e dalla corretta integrazione tra luce naturale e artificiale; presenza di colori da luci naturali ed artificiali (led) gradevoli e mutevoli, che determinino buoni appigli visuali

–          benessere olfattivo: mancanza di odori sgradevoli che richiamino lo stato di malattia (corporali, di sostanze medicinali); eventuale presenza di odori gradevoli (fiori, profumazioni discrete)

–          benessere psicologico: dato da elementi che possono influire sulle sensazioni soggettive dell’utente quali ad esempio la configurazione della struttura, forme, colori e materiali utilizzati, arredi ed elementi di finitura come piante, fiori, immagini a muro, tende, il rispetto della privacy ed il tipo di rapporti col personale

–          benessere sociale: dato dalle prestazioni che caratterizzano il luogo di cura, sia per quanto riguarda la gestione interna che il rapporto con il contesto urbano.

 

 

L’umanizzazione all’estero

Il concetto di umanizzazione applicato alla progettazione e all’allestimento degli ambienti ospedalieri è da tempo applicato in diverse realtà internazionali, come nel caso dei paesi nord europei e scandinavi in particolare e degli Stati Uniti. In quest’ultimo caso sappiamo che l’elevata disponibilità di fondi, dovuta alla ricchezza generale della società e a un modello gestionale differente, ha fatto sì che si verificasse un processo “spontaneo” di competitività tra strutture, oltre che in termini prestazionali, anche dal punto di vista estetico. Ciò ha contribuito negli anni a creare una vera e propria cultura dell’accoglienza.

Per questo motivo le realizzazioni italiane orientate in tal senso hanno spesso proprio negli USA e nel Canada i loro riferimenti. Va però ricordato che le differenze tra i nostri ospedali e quelli del nord america si sono negli ultimi anni attenuate e la rimanente superiorità si manifesta soprattutto nelle zone a bassa tecnologia come le “waiting areas”, i corridoi, le zone di contatto, gli uffici e le aree di degenza; via via che gli spazi ospedalieri si fanno più di tipo tecnico, le differenze con le nostre realtà divengono infatti minori.

 

 

Soft qualities, sensibilizzazione verso l’ambiente; l’esempio dei reparti di radioterapia

Come detto, l’aspetto delle aree d’accoglienza, è la prima e immediata fonte di informazioni sul servizio offerto. Un ambiente accogliente e comunicativo è più confortevole per il personale, per i pazienti e per i visitatori, che a loro volta con i loro comportamenti possono influenzare la percezione dei ricoverati, con una successione di eventi che si struttura come un vero e proprio circolo virtuoso.

Per fare ciò è necessaria una progettazione attenta anche alle “soft qualities”, che tenga in considerazione elementi come pavimenti, controsoffitti, progetto illuminotecnico, arredi, materiali e finiture, posizionamento più opportuno e gradevole anche dei terminali impiantistici e delle dotazioni antincendio. L’obiettivo è quello di dar luogo ad un ambiente di cura accogliente e funzionale; è evidente che una disattenzione nei confronti di questi aspetti può invece produrre un immediato messaggio di noncuranza estetica che influirà anche sulla percezione della qualità prestazionale della struttura.

Per raggiungere tale obiettivo è necessario realizzare il progetto con una concezione globale, inteso come unicità e coerenza d’intervento (dalla prima idea agli arredi e finiture finali) sotto la guida di una figura che riunisca in sé tutte le valenze almeno di impatto estetico.

Durante la nostra ricerca abbiamo visionato personalmente alcuni reparti di radioterapia presenti sul territorio Ligure e indagato su altri all’interno di strutture nazionali e internazionali.

Abbiamo potuto constatare che quello dei reparti di radioterapia è un caso particolare in quanto la maggior parte di questi ambienti presenta caratteristiche di posizionamento particolari, con ampie zone buie e isolate, anche se simili all’interno dei vari nosocomi.

Infatti, la progettazione di questi ambienti, è strettamente legata alle caratteristiche dei macchinari per le terapie; si tratta di macchine di grandi dimensioni e dal peso molto elevato che, per non compromettere la stabilità strutturale dell’intero edificio, vengono posizionati al pian terreno o più sotto anche per creare più facilmente veri e propri bunker in cemento necessari a contenere le radiazioni prodotte.

I reparti di radioterapia risultano quindi quasi sempre situati in ambienti ipogei, privi di luce naturale e con un sistema di ricircolo dell’aria forzato.

Durante i necessari momenti di attesa in questi reparti, non c’è possibilità né per gli utenti né per il personale di mantenere un contatto con l’esterno; in questo modo si perde facilmente la cognizione del tempo ed è quindi ancor più possibile avere una distorsione o un’acutizzazione negativa dei propri stati d’animo.

Questa situazione lascia intendere la particolare difficoltà progettuale di questi spazi, che richiedono una ancor maggiore attenzione alla qualità e al comfort, segnatamente nelle sale d’aspetto, sia per utenti che per chi quotidianamente vi lavora.

Abbiamo quindi analizzato dal punto di vista qualitativo la situazione attuale delle aree destinate all’attesa in tali presidi. In primo luogo attraverso i nostri sensi e la nostra esperienza abbiamo preso annotazioni e giudizi sui tipi di arredi e materiali usati, sulla disposizione, sulle sensazioni finali che restituisce l’ambiente nel suo insieme. Abbiamo osservato sia sale d’attesa ristrutturate recentemente che quelle meno recenti. Nel primo caso abbiamo notato, con piacere, una maggiore attenzione nei confronti sia della qualità che dell’aspetto estetico dell’ambiente, attraverso anche il semplice uso del colore e la scelta di arredi non immediatamente riconducibili all’ambiente ospedaliero.

Esistono però anche altri casi in cui gli ambienti, pur percepiti come “normali” (in linea con la nostra lettura media di spazio ospedaliero), possono apparire davvero alienanti.

In seguito abbiamo svolto una ricerca più analitica, utilizzato strumenti come luxmetro e stazione microclimatica per valutare la quantità di luce, la temperatura secca, la temperatura radiante, la velocità e l’umidità dell’aria.

Raccolti e confrontati questi dati con le normative UNI e ISPESL, abbiamo verificato che in realtà nella maggior parte dei casi i valori rimanevano all’interno dei range stabiliti dalle normative, con poche eccezioni per l’umidità dell’aria che spesso si presentava più elevata e per la quantità di lux che, nonostante raggiungessero quasi sempre in media la soglia dei 200, non erano però ben distribuiti nell’area. Queste analisi hanno confermato le nostre constatazioni precedenti sulla natura di questi luoghi, infatti luce e umidità sono più difficilmente controllabili in ambienti sotterranei.

Nel caso specifico della luce, i dati raccolti dimostrano che in realtà la normativa esistente, anche quando viene rispettata non risulta sufficiente.

L’utilizzo dei lux medi, non garantisce infatti la reale e corretta distribuzione dell’illuminamento che nel caso della presenza di sola luce artificiale deve essere il più uniforme possibile.

Ne consegue il fatto che la normativa dovrebbe essere integrata con un’attenzione che va ben al di là dei dati quantitativi, facendosi carico della verifica dei dati più qualitativi dell’ambiente e di ciò che lo compone. In altre parole: una volta soddisfatte le misure minime occorre la sensibilità di capire ed interpretare la realtà, al di là delle regole.

 

Contributi qualitativi a supporto del progetto delle sale d’attesa

Le relazioni che gli individui stabiliscono con l’ambiente ospedaliero, in termini di coinvolgimento personale e di orientamento fisico ed emozionale, sono molto complesse e possono essere influenzate dalla situazione di disagio psicologico in cui si può trovare l’utente o l’accompagnatore.

Abbiamo già visto come l’esperienza con lo spazio-ospedale è fortemente condizionata da una serie di fattori ambientali sia di tipo architettonico-distributivo che estetico-funzionale, come la scelta degli arredi, colori, materiali, la quantità e qualità dell’illuminazione. E come questi ultimi elementi, se gestiti all’interno di un progetto coerente ed unitario, possono restituire un’immagine di sicurezza e comfort all’ambiente, portando benefici sul paziente che ne sarà condizionato in modo positivo.

Per quanto riguarda la luce che, come nei reparti di radioterapia, a volte non è possibile avere completamente naturale, è necessaria l’elaborazione di un buon progetto illuminotecnico.

Prima prerogativa: è sempre necessario integrare alla luce di base diffusa, che preferibilmente dovrebbe essere semidiretta o indiretta, una luce puntiforme che potrebbe essere costituita da spot, piantane o lampade d’appoggio. Infatti per favorire un maggiore comfort visivo è necessario creare zone con differenti intensità luminose, come avviene in natura.

Le tipologie di lampade utilizzabili possono essere fluorescenze ad alta resa cromatica, lampade a led a sistema rgb che rendono possibili ogni temperatura di colore, fluorescenze a 3 tubi (rgb) oppure a due tubi (uno di tonalità calda l’altro di tonalità fredda). Un’altra possibilità è quella di utilizzare un’illuminazione di tipo dinamico a fluorescenze oppure a led (rgb), con i noti vantaggi di tipo estetico, di consumo e durata.

E’ necessario anche contrastare una malintesa tendenza al risparmio, per cui si utilizzano pochi corpi illuminanti con lampade ad alta efficienza ma con spettri squilibrati per percorrere invece quella opposta: alto numero di corpi illuminanti con alto coefficiente resa-colore e un vasto spettro di emissione (raggi oltre il visibile). In realtà quello che si potrebbe teoricamente risparmiare  dal punto di vista economico, va a discapito del benessere del personale rendendo più difficile lo svolgimento del lavoro e quindi indirettamente anche dei pazienti. Inoltre la qualità della luce costituisce anche uno dei fattori che, determinando il livello di qualità ambientale, evidenzia il grado di accoglienza degli spazi.

Pur all’interno di un’ovvia preferenza per tonalità di tipo “caldo” o ”solar light” (che conferirà immediatamente un’atmosfera di maggior calore, naturalezza ed eleganza agli ambienti) saranno possibili anche accostamenti tra tipologie e temperature colore diverse; differenze cromatiche all’interno dello stesso ambiente possono anche aggiungere tridimensionalità, naturalezza e dinamicità allo spazio. Il colore poi di tutte le finiture, arredi e complementi dovrebbero essere in accordo cromatico e legate tra di loro armoniosamente dal piano del colore, l’unico strumento che può garantire un’armonia da inserimenti complessi e numericamente elevati di tante diverse colorazioni. La definizione e descrizione del piano del colore, pur fondamentale per la definizione degli ambienti in questione, necessiterebbe qui di ben altri spazi e tempi; sarà semmai ripresa in un’altra occasione-trattazione.

I materiali usati per le finiture e gli arredi risultano determinanti per il benessere ambientale, in quanto l’inattività che si accompagna all’attesa indirizza l’attenzione verso i particolari del luogo in cui ci si trova (ricerca degli appigli visuali), ed ogni materiale ha caratteristiche proprie che stimolano sensazioni percettive differenti.

Gli arredi sono infatti uno degli elementi dell’ambiente che più influenzano l’esperienza diretta degli utenti e degli operatori. Un buon livello di comfort, durevolezza, affidabilità e facilità di pulizia sono requisiti fondamentali per tutti gli oggetti interni a questi luoghi.

L’aspetto, la forma, la tipologia degli arredi attribuiscono un carattere proprio all’ambiente e influiscono in modo determinante sulla modalità d’uso degli spazi stessi.

Nelle aree di attesa, dove non esiste una necessità reale di inserire arredamenti propri del settore medicale, si potrebbero utilizzare oggetti provenienti dal settore domestico e contract, col  vantaggio di avere minori costi, maggior scelta e migliori performance estetiche. Ciò vale anche per i complementi di arredo, tutti quegli oggetti di finitura che arricchiscono l’arredamento di base (tende, immagini a muro, segnaletiche, piante, fiori ecc…) e che oltre a svolgere una specifica funzione, rendono l’ambiente più elegante, accogliente, familiare; creando, se accuratamente pensati e posizionati, numerosi e ricchi “appigli visuali”, vero valore aggiunto per gli ambienti.

 

Il futuro?

Questa la situazione attuale delle zone di accoglienza ed attesa nelle nostre strutture sanitarie e le nostre considerazioni per il miglioramento di questi spazi: ma cosa c’è da attendersi per il futuro?

Inevitabilmente queste attenzioni per la customer satisfaction non potranno che aumentare da parte degli attori dei progetti sanitari (professionisti interni ed esterni alle aziende, amministratori), conseguentemente tutte le tendenze che come abbiamo visto si stanno affacciando solo ora nei nostri spazi nosocomiali (attenzione alle soft qualities, uso dei piani del colore, progetto forte degli arredi e dei complementi di arredo ecc…) aumenteranno, rendendo l’attenzione per questi aspetti, una volta considerati marginali, centrali per la cultura progettuale sanitaria. Probabilmente aumenterà anche la complessità della gestione qualitativa di questi nuovi parametri, fino al punto da dover attivare una nuova figura di esperto in “layout ospedaliero”, per poter gestire, con professionalità e sensibilità, tutti questi nuovi strumenti e parametri di qualità per arrivare ad un’armoniosa sintesi finale.

Intanto cominciano a nascere anche e soprattutto in ambito ospedaliero realizzazioni che cercano di tenere insieme i criteri fondamentali qui trattati tentando di “farne Architettura” anche d’interni. Tra le immagini si vedono anche due realizzazioni recentissime a Grosseto e Siena.

Siamo certamente solo all’inizio di una nuova, più consapevole e matura fase della cosiddetta “deospedalizzazione” negli spazi sanitari, iniziata in Italia solo negli ultimi anni del secolo scorso.

Staremo a vedere.

 

Da una tesi di laurea della Facoltà di Architettura di Genova,

Laurea Specialistica in Disegno Industriale

 

            Dott.ssa  Chiara Scaldaferri

            Dott.ssa  Alice Sobrero

            Dott.ssa  Chiara Tentori

 

              Supervisor: Arch. Alessandro Lenzi

 

 

 

 

Bibliografia

 

Articoli da riviste specializzate:

 

Progettare per la sanità /41, Gli ospedali americani, dal mito alla realtà, Alessandro Lenzi.

Progettare per la sanità /68, Il progetto delle “soft qualities” nell’edilizia ospedaliera, Alessandro Lenzi, Raffaele Boccaccini.

Progettare per la sanità /67, Dinamica storica dell’ospedale moderno, Giorgio Cosmacini

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Progettare per la sanità /106, Progettare le soft quality negli ospedali pubblici, Claudia Raimondo

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Articoli on-line

L’architettura nel dolore: il difficile cammino verso una specificità socio sanitaria, Alessandro Lenzi

The Psychology of Waiting Lines, David H. Maister

La nuova immagine dell’ospedale. Atti del convengo “Centralità del cittadino nel percorso del comfort alberghiero, dell’umanizzazione e dell’accoglienza” Bologna, Settembre 2001

Atti del Convegno L’ospedale del terzo millennio, 4 edizione, Alba (CN)

 

Testi

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Stefano Capolongo, Laura Daglio, Ilaria Oberti, Edificio, Salute, Ambiente, tecnologie sostenibili per l’igiene edilizia e ambientale, Hoepli, Milano, 2007

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